In tema di accertamenti bancari l'onere della prova grava sul contribuente
Cass. civ. Sez. V, Ord., (ud. 06/07/2023) 24-07-2023, n. 22047
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MANZON Enrico - Presidente -
Dott. CARADONNA Lunella - rel. Consigliere -
Dott. HMELJAK Tania - Consigliere -
Dott. SALEMME Andrea Antonio - Consigliere -
Dott. GORI Pierpaolo - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso n. 9968/2015 proposto da:
A.A., rappresentato e difeso, anche disgiuntamente tra loro, come da procura a margine del ricorso per cassazione, dall'Avv. Remo Danovi e dall'Avv. Prof. Francesco Giorgianni, con domicilio eletto presso lo studio del secondo dei nominati difensori, in Roma, via Sistina, n. 42. - ricorrente -
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12. - controricorrente-
sul ricorso n. 12126/2017 proposto da:
A.A., rappresentato e difeso, anche disgiuntamente tra loro, come da procura a margine del ricorso per cassazione, dall'Avv. Remo Danovi, dall'Avv. Matteo Gozzi e dall'Avv. Prof. Francesco Giorgianni, con domicilio eletto presso lo studio del secondo dei nominati difensori, in Roma, via Sistina, n. 42. - ricorrente-
contro
Agenzia delle Entrate, nella persona del Direttore pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici è elettivamente domiciliata in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12. - controricorrente -
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA n. 5201/2014, depositata in data 8 ottobre 2014, non notificata (il ricorso n. 9968/2015 R.G.);
avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della LOMBARDIA n. 5863/2016, depositata in data 14 novembre 2016, non notificata (il ricorso n. 12126/2017 R.G.);
udita la relazione delle cause svolta nella camera di consiglio del 6 luglio 2023 dal Consigliere Lunella Caradonna.
Svolgimento del processo
1. La Commissione Tributaria Regionale della Lombardia, con la sentenza n. 5201/2014, depositata in data 8 ottobre 2014, ha rigettato l'appello proposto da A.A., avverso la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Milano n. 187/18/13, depositata in data 13 maggio 2013, avente l'avviso di accertamento n. (Omissis) avente ad oggetto l'imposta Irpef, Iva, Irap ed altro, dovuta per gli anni di imposta 2006 e 2007 e con il quale era stato chiesto il pagamento dell'importo complessivo di Euro 507.159,62.
2. La Commissione tributaria regionale ha, in via preliminare, osservato che: l'atto impugnato mediante il ricorso alla mediazione, accolto in data 17 ottobre 2013, riguardava la cartella esattoriale (Omissis) relativo all'anno d'imposta 2006 (che richiamava l'avviso di accertamento (Omissis)); relativamente all'anno 2006 la pretesa fiscale era stata annullata in accoglimento della richiesta mediazione e che tale annullamento risulta essere stato effettuato per altro avviso di accertamento che nulla aveva a che vedere con quello oggi in discussione; conseguiva che per l'anno 2006 non vi era materia da decidere essendo la stessa stata definita in mediazione e per la quale, come si era detto, l'Agenzia aveva provveduto ad annullare l'atto per l'anno 2006 per soli vizi relativi alla notifica; ciononostante la presente sentenza veniva resa per entrambe le annualità 2006 e 2007 (avviso accertamento (Omissis)) in quanto la sentenza impugnata le riguardava entrambe e perchè l'appello era stato correttamente proposto per gli stessi anni.
3. I giudici di secondo grado hanno, poi, ritenuto infondato l'appello, sul rilievo che il contribuente non aveva fornito la prova diretta a confutare quanto contestato dall'Ufficio e, in particolare, che i c.d. "introiti in nero" potessero essere dimostrati solo attraverso i mezzi di pagamento (assegni) ovvero i versamenti e (scarsamente) i bonifici; la "confusione" fra i patrimoni di cui il contribuente aveva la possibilità di disporre (indipendentemente a chi fossero intestati i conti correnti) legittimava ancor di più l'operato dell'Agenzia; vi era, inoltre, da evidenziare l'aggravante del fatto che il contribuente non ricopriva nessun incarico nella società Immobiliare Cesalpino Srl (pur potendo disporre di somme), che i dati dichiarati dalla società erano incompatibili con le risultanze del conto corrente e che nessuna giustificazione era stata fornita da parte del contribuente; mentre apparivano evidenti da parte dell'Agenzia le singole poste riprese (avendo l'Ufficio elencato una serie precisa di operazioni per complessivi Euro 202.067,45 in entrata ed Euro 184.004,89 in uscita), altrettanto non poteva dirsi del contribuente e conseguentemente le contestazioni sollevate dall'appellante risultavano pretestuose ed infondate e non meritavano accoglimento.
4. Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 5201/2014, depositata in data 8 ottobre 2014, A.A. ha proposto sia ricorso per revocazione alla Commissione tributaria regionale della Lombardia, che ricorso per cassazione con atto affidato a sei motivi.
5. In sede di ricorso per cassazione, l'Agenzia delle Entrate ha resistito con controricorso.
6. Il ricorrente ha depositato memoria.
7. Il ricorso per revocazione della sentenza di appello è stato rigettato con sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 5863/2016, depositata in data 14 novembre 2016.
8. La Commissione tributaria regionale, in sede di revocazione, ha, affermato che era fuori dubbio che la Commissione, erroneamente, avesse supposto la inesistenza della documentazione prodotta dal contribuente, che in effetti risultava agli atti processuali e, tuttavia, il punto sul quale era caduto l'errore aveva già costituito oggetto di controversia fra le parti, avendo l'Ufficio contestato che il contribuente non avesse prodotto sufficiente documentazione a giustificazione delle movimentazioni finanziarie contestate; pertanto, nella fattispecie se da un lato era pacifico che la Commissione avesse presupposto come base del suo ragionamento l'inesistenza di alcuna documentazione e ciò, in contrasto con quanto risultava dagli atti del processo, pur tuttavia l'errore di fatto aveva costituito oggetto di controversia fra le parti, e dalla lettura della sentenza era evidente anche la valutazione compiuta dal giudice laddove era stato espressamente dichiarato che il contribuente non aveva dimostrato quale fosse "il rapporto sottostante fra due persone (fisiche e giuridiche che siano) che hanno messo in atto la transazione e, secondo, quello evidenziato dalla legge che prevede che tutti i soggetti giuridici abbiano una loro autonoma gestione patrimoniale. La "confusione" tra i patrimoni di cui il contribuente aveva la possibilità di disporre (indipendentemente a chi fossero intestati i conti correnti) legittima ancor più l'operato dell'agenzia".
9. Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Lombardia n. 5863/2016, depositata in data 14 novembre 2016, A.A. ha proposto ricorso per cassazione con atto affidato a quattro motivi.
10. L'Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
11. Il ricorrente ha depositato memoria.
Motivi della decisione
1. Preliminarmente deve essere disposta la riunione del ricorso n. 12126/2017 R.G. a quello recante il n. 9968/2015 R.G..
1.1 Deve darsi, al riguardo, continuità al principio affermato da questa Corte secondo cui "i ricorsi per cassazione, proposti, rispettivamente, contro la decisione della Corte d'appello e contro quella che decide l'impugnazione per revocazione avverso la prima debbono, in caso (come quello in esame) di contemporanea pendenza in sede di legittimità, essere riuniti in applicazione analogica, trattandosi di gravami avversi distinti provvedimenti, della norma dell'art. 335 c.p.c., che impone la trattazione che impone la trattazione in un unico giudizio di tutte le impugnazioni proposte contro la stessa sentenza. Infatti, la riunione dei ricorsi, pur non espressamente prevista dalla norma del codice di rito, discende dalla connessione esistente tra le due pronunce, atteso che sul ricorso per cassazione proposto contro la sentenza resa in sede di appello può risultare determinante la pronuncia di cassazione riguardante la sentenza resa in sede di revocazione" (cfr. Cass., 5 agosto 2016, n. 16435 e, più di recente, Cass., 6 luglio 2022, n. 21315).
2. Il carattere pregiudiziale delle questioni inerenti alla revocazione, poste nel ricorso avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale n. 5863/2016, depositata in data 14 novembre 2016, comporta che il loro esame abbia la precedenza su quello del ricorso proposto conto la sentenza della Commissione tributaria regionale n. 5201/2014, depositata in data 8 ottobre 2014.
Ricorso n. 12126/2017 avente ad oggetto la sentenza della Commissione tributaria regionale n. 5863/2016, depositata in data 14 novembre 2016.
3. Con il primo motivo si lamenta, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della decisione posto che la stessa, se da un lato aveva correttamente dato atto che nel caso di specie vi era stata pacificamente l'erronea supposizione della mancata produzione e della inesistenza dei documenti giustificativi di tutte le poste contestate al contribuente, così come di fatto ivi rappresentati (ciò che avrebbe dovuto comportare la revocazione della decisione ai sensi dell'art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c.), dall'altro, la Commissione aveva comunque rigettato il ricorso sostenendo che le generiche affermazioni dell'Agenzia delle Entrate sulla correttezza dell'avviso di accertamento valessero a rendere i fatti controversi così come avrebbe avuto rilevanza un passaggio motivazionale generale contenuto nella motivazione della decisione impugnata in merito alla posizione processuale del contribuente. Costituiva, peraltro, principio pacifico quello secondo il quale l'onere della specifica contestazione trovasse applicazione anche nel processo tributario e, nel caso di specie, non era dato rinvenire nelle difese dell'Agenzia delle Entrate alcun tipo di contestazione o di rilievo che potesse rendere controversi i fatti non essendo di certo sufficiente il fatto che quest'ultima avesse difeso genericamente la legittimità del suo operato.
4. Con il secondo motivo (erroneamente indicato come motivo n. III a pag. 40 del ricorso per cassazione) si lamenta, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione delle norme di cui all'art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 64 e ss., posto che la decisione impugnata aveva escluso l'ammissibilità dell'errore revocatorio in relazione ad un pacifico errore di percezione del giudice e in relazione a fatti assolutamente pacifici.
5. Con il terzo motivo (erroneamente indicato come n. IV a pag. 41 del ricorso per cassazione) si lamenta, in relazione all'art. 395, comma 1, n. 5, c.p.c., l'omesso esame del fatto che l'Agenzia delle Entrate non aveva mai svolto alcun rilievo in merito ai documenti e ai fatti e che questi erano incontroversi; che la svista del giudice in merito ai documenti e ai fatti precludeva la possibilità di configurare un'attività di cognizione e di giudizio; il passaggio motivazionale della decisione di secondo grado citato nella decisione sulla revocazione costituiva una mera argomentazione generale svolta in replica ad alcune affermazioni del contribuente ed era stata per di più riportata parzialmente ed erroneamente.
6. Con il quarto motivo si lamenta, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullità della sentenza (erroneamente indicato come n. V a pag. 42 del ricorso per cassazione) per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. e violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio ex Cost., artt. 3, 24 e 111. La decisione impugnata era censurabile per non essersi pronunciata sugli altri vizi di carattere revocatorio che erano stati denunciati dal contribuente con riferimento alle allegazioni di fatto e ai fatti indicati nei documenti e in relazione all'assenza di qualunque indagine preventiva della Agenzia delle Entrate presso la società Cesalpino Srl quale condizione per qualunque ripresa impositiva; inoltre, sempre in sede di revocazione, il contribuente aveva evidenziato che tutto il ragionamento presuntivo dell'Agenzia delle Entrate poggiava sulla supposizione dell'assenza di movimenti in entrata da parte della società Cesalpino Srl corrispondenti ai movimenti in uscita e la Commissione non si era avveduta del fatto che i movimenti in entrata erano invece ben presenti e documentati (trattandosi di un investimento immobiliare era comprensibile che un'operazione fosse stata effettuata un anno e che la stessa avesse generato ricavi l'anno successivo come in effetti era stato allegato e dimostrato); neppure ci si era accorti che le dichiarazioni prodotte in giudizio e riferibili alla società erano state rese dall'amministratore in carica e che quest'ultimo era l'unico ad avere la disponibilità delle scritture contabili (l'Agenzia delle Entrate aveva sostenuto che sarebbe stato necessario richiedere le dichiarazioni degli ex amministratori, il che era manifestamente illogico); la Commissione non si era avveduta che i conteggi di cui all'avviso di accertamento erano per di più erronei avendo erroneamente applicato l'Iva. Da ultimo, era stato denunciato il fatto che non ci si era accorti che l'Agenzia delle Entrate aveva affermato in primo e secondo grado, contrariamente al vero, che l'anno precedente a quello in contestazione, vi sarebbe stato un avviso di accertamento analogo e divenuto definitivo, mentre il contribuente aveva fatto constare la verità documentando in giudizio che vi era stata una mediazione accolta dal medesimo Ufficio e l'annullamento dell'atto.
7. I motivi che vanno trattati unitariamente perchè connessi, sono infondati.
7.1 Deve premettersi che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 64, nella formulazione vigente ratione temporis, al comma 1 stabilisce che "contro le sentenze delle commissioni tributarie che involgono accertamenti di fatto e che sul punto non sono ulteriormente impugnabili o non sono state impugnate è ammessa la revocazione ai sensi dell'art. 395 del codice di procedura civile" (la nuova formulazione del comma 1, come sostituito dal decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 156, art. 9, comma 1, lett. cc), si applica a decorrere dal 1 gennaio 2016, ai sensi di quanto disposto dal D.Lgs. n. 156 del 2015, art. 12, comma 1).
La norma richiamata, dunque, con riferimento alle decisioni delle commissioni tributarie che involgano accertamenti di fatto e che sul punto non siano ulteriormente impugnabili o non siano state impugnate, ammette la revocazione, ai sensi dell'art. 395 c.p.c..
7.2 Questa Corte, di recente, ha statuito il principio, che si condivide, secondo cui "Nell'ambito del processo tributario, la proposizione di motivi di revocazione ordinaria ex art. 395, comma 1, nn. 4) e 5) c.p.c. avverso le sentenze delle Commissioni Tributarie Regionali rese in funzione di giudice d'appello è ammissibile anche se impugnate con ricorso per Cassazione, ovvero siano ancora pendenti i termini per proporre tale ricorso, alla luce del complessivo quadro sistematico e anche della riformulazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, comma 1 dell'art. 64, ad opera dell'art. 9, comma 1, lett. cc), D.Lgs. n. 24 settembre 2015, n. 156 il quale ha voluto espressamente fugare le incertezze chiarendo l'equiparazione della disciplina della revocazione ordinaria prevista dal rito speciale tributario a quella prevista dal codice di rito ordinario; le condizioni di proposizione dei motivi di revocazione straordinaria di cui ai commi secondo e terzo dell'art. 64, non modificate dal D.Lgs. n. 156 del 2015, restano a loro volta le medesime fissate dall'art. 396 comma 1 c.p.c. per il processo civile ordinario." (Cass., 5 luglio 2022, n. 21169).
Ancora questa Corte ha affermato che "Nel processo tributario, l'impugnazione per revocazione per i motivi previsti dai nn. 4 e 5 dell'art. 395 c.p.c. - anche nel regime anteriore all'entrata in vigore del D.Lgs. n. 156 del 2015, art. 9, comma 1, lett. cc), che ha modificato il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 64, comma 1, - è ammissibile nei confronti delle sentenze d'appello avverso le quali sia stato già proposto ricorso per cassazione o sia pendente il termine per proporlo, poichè nel giudizio di cassazione non sono ammessi nuovi accertamenti di fatto, nè rivalutazioni del giudizio sul fatto compiuto dal giudice d'appello" (Cass., 11 maggio 2022, n. 14893).
7.3 Deve, quindi, concludersi che sulla base dell'espresso richiamo contenuto nella norma all'art. 395 c.p.c. e dello specifico riferimento del processo tributario sul modello processuale civile, contro le sentenze di secondo grado, l'esperibilità della revocazione si giustifica in base al fatto che essa, in quanto fondata su motivi diversi da quelli che legittimano il ricorso per cassazione, concorre con questo, come espressamente previsto dall'art. 398, comma 4, c.p.c.. 8. Passando all'esame delle censure formulate, deve rilevarsi che, in riferimento al giudizio di revocazione, che, secondo il consolidato insegnamento di questa Corte, l'art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c. circoscrive la rilevanza e decisività dell'errore di fatto al solo caso in cui la decisione sia fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa ovvero sull'inesistenza di un fatto la cui verità è positivamente stabilita, sempre che il fatto non abbia costituito un punto controverso sul quale il giudice si sia poi pronunciato. Pertanto, la circostanza che un certo fatto non sia stato considerato dal giudice non implica necessariamente che quel fatto sia stato espressamente negato nella sua materiale esistenza (potendo invece esserne stata implicitamente negata la rilevanza giuridica ai fini del giudizio), perchè altrimenti si ricondurrebbe all'ambito del giudizio per revocazione, piuttosto che nell'ordinario giudizio di impugnazione, ogni fatto non espressamente considerato nella motivazione giudiziale, tanto più che la Cost., art. 111 non impone di prevedere quale causa di revocazione l'errore di giudizio o di valutazione (Cass., 7 febbraio 2017, n. 3200).
L'errore di fatto, idoneo a costituire motivo di revocazione ex art. 395, comma 1, n. 4, c.p.c. presuppone, dunque, il contrasto tra due diverse rappresentazioni dello stesso oggetto, emergenti una dalla sentenza e l'altra dagli atti e documenti processuali, purchè, da un lato, la realtà desumibile dalla sentenza sia frutto di supposizione, e non di valutazione o di giudizio e, dall'altro, quella risultante dagli atti e documenti non sia stata contestata dalle parti (Cass., 18 settembre 2008, n. 23856; Cass., Sez. U., 7 marzo 2016, n. 4413), con la conseguenza che non è configurabile l'errore revocatorio per vizi della sentenza che investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico (Cass., 15 gennaio 2009, n. 844).
Si è, quindi, evidenziato che "In generale l'errore non può riguardare la violazione o falsa applicazione di norme giuridiche ovvero la valutazione e l'interpretazione dei fatti storici; deve avere i caratteri dell'assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti e i documenti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo, nel senso che tra la percezione asseritamente erronea da parte del giudice e la decisione da lui emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l'errore la pronuncia sarebbe stata diversa" (Cass., 13 giugno 2017, n. 14656). Di conseguenza, non è idoneo ad integrare errore revocatorio l'ipotizzato travisamento di dati giuridico-fattuali acquisiti attraverso la mediazione delle parti e l'interpretazione dei contenuti espositivi degli atti del giudizio, e dunque mediante attività valutativa, insuscettibile in quanto tale, quand'anche risulti errata, di revocazione (Cass., 5 aprile 2017, n. 8828; Cass., 30 ottobre 2018, n. 27570).
Questa Corte ha anche affermato che è necessario che il fatto oggetto della supposizione di esistenza o inesistenza non abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciarsi e che non è configurabile l'errore revocatorio qualora l'asserita erronea percezione degli atti di causa abbia formato oggetto di discussione e della consequenziale pronuncia a seguito dell'apprezzamento delle risultanze processuali compiuto dal giudice (Cass., 4 aprile 2019, n. 9527; Cass., 15 dicembre 2011, n. 27094).
8.1 Le censure, alla luce dei principi sopra esposti, sono infondate, atteso che, come correttamente affermato dai giudici di appello, se da un lato era pacifico che la Commissione avesse presupposto come base del suo ragionamento l'inesistenza di alcuna documentazione e ciò, in contrasto con quanto risultava dagli atti del processo, pur tuttavia l'errore di fatto aveva costituito oggetto di controversia fra le parti, ed era evidente anche la valutazione compiuta dal giudice del gravame laddove era stato espressamente dichiarato che il contribuente non aveva dimostrato quale fosse "il rapporto sottostante fra due persone (fisiche e giuridiche che siano) che hanno messo in atto la transazione e, secondo, quello evidenziato dalla legge che prevede che tutti i soggetti giuridici abbiano una loro autonoma gestione patrimoniale. La "confusione" tra i patrimoni di cui il contribuente aveva la possibilità di disporre (indipendentemente a chi fossero intestati i conti correnti) legittima ancor più l'operato dell'agenzia"; ed invero, per quanto diffusamente rilevato, l'errore di fatto revocatorio si configura soltanto nel caso in cui la decisione sia fondato sull'affermazione di esistenza od inesistenza di un qualcosa che la realtà effettiva, quale documentata in atti, induce ad escludere o ad affermare e non anche quando la decisione sia conseguenza (come nel caso in esame) di una pretesa errata valutazione od interpretazione dei motivi del ricorso e dei documenti in essi richiamati e ciò perchè l'attività interpretativa del giudice sulla domanda a lui sottoposta costituisce parte del giudizio stesso, quale sua imprescindibile premessa, e non è riconducibile al fatto (cfr. Cass., 23 maggio 2006, n. 1154); in conclusione, l'errore di fatto può assumere rilievo solo in quanto determini un errore di percezione di immediata ed oggettiva evidenza e non anche un errore di argomentazione o di giudizio.
9. In conclusione, il ricorso per cassazione proposto avverso la sentenza n. 5863/2016, depositata in data 14 novembre 2016, va rigettato.
Ricorso n. 9968/2015 avente ad oggetto la sentenza della Commissione tributaria regionale n. 5201/2014, depositata in data 8 ottobre 2014.
10. Il primo mezzo deduce la nullità, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. e la violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio ex Cost., art. 3, 24 e 111, avendo la Commissione omesso di statuire sui precisi motivi di appello redatti prendendo analiticamente in esame i singoli passaggi della sentenza di primo grado (erronea applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, che escludeva l'inversione dell'onere probatorio a carico del contribuente senza prima avere accertato le scritture contabili sulle quali i movimenti in contestazione avrebbero dovuto essere registrati; la produzione di tutta la documentazione rilevante in relazione alle singole operazioni sul conto (Omissis), peraltro nemmeno contestata dall'Agenzia delle Entrate e specificamente l'importo di un assegno circolare, il rogito notarile per l'acquisto di un immobile riportante gli estremi dell'assegno; le rate di pagamento di un mutuo bancario da parte della società e il pagamento degli oneri di urbanizzazione corrisposti al Comune di (Omissis); l'erroneità concettuale di considerare presunzione il fatto che il conto corrente della società immobiliare presentasse una serie di rilevanti voci in uscita per il 2007 e pressochè nessuna voce Iva per lo stesso anno, a fronte della quale il contribuente aveva dimostrato, producendo i bilanci sociali, che nel 2007 la società aveva effettuato acquisti immobiliari e nel 2008 e 2009 li aveva messi a reddito, vendendoli; l'errore materiale circa la data di liquidazione della società che ea quella del 30 dicembre 2010 e non quella, successiva all'apertura dell'indagine finanziaria, del 20 luglio 2011; il ritenere irrilevante la dichiarazione dell'amministratore prima e liquidatore dopo, dal 26 aprile 2010 al 20 luglio 2011 (Dott. B.B.), dovendosi produrre la dichiarazione di chi era amministratore al momento delle operazioni; l'errore concettuale e di calcolo con il quale l'Agenzia, in sede di ripresa, aveva ritenuto di applicare l'Iva ai movimenti finanziari, dovendosi scorporare l'Iva da tali importi).
11. Il secondo mezzo deduce la violazione e falsa applicazione, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, n. 2 e dell'art. 37, nonchè del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 e degli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè degli artt. 2697 e 2727, 2728 e 2729 c.c., oltre che del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 38, 39, comma 1, lett. d); del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 5 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54, comma 5, e del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 6, comma 8, e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 55, nonchè Cost., artt. 3, 24, 111 e 53. L'Agenzia delle Entrate e la Commissione tributaria regionale avevano trascurato la circostanza che la prima logica presunzione di fronte al conto corrente di una società è che si trattasse di ricavi e compensi della medesima società sui quali quest'ultima doveva assolvere a ogni onere fiscale e che sarebbe stato sufficiente un semplice domanda o un semplice esame delle scritture contabili della società per accertare che non si trattava di redditi "in nero" del contribuente e che i dieci movimenti contestati si riferivano al pagamento degli oneri di urbanizzazione del Comune di (Omissis), all'acquisto di un immobile, al pagamento della fattura di un Notaio e al pagamento di alcune rate di un mutuo bancario. Degli asseriti undici rapporti erano rimasti in contestazione solo tre conti non intestati al contribuente, di cui due presentavano un solo movimento dubbio eseguito da terzi soggetti e per importi non di rilievo ed uno era il normale conto corrente di una società. Il contribuente, comunque, aveva allegato e indicato tutte le operazioni cui i movimenti si riferivano, producendo fin dal giudizio di primo grado e anche all'Agenzia delle Entrate i documenti dai quali risultava che i movimenti contestati non erano altro che operazioni sociali sulle quali la società aveva pagato ogni imposta e tassa. La decisione era, pertanto, errata, laddove aveva affermato che l'onere della prova spettava al contribuente, in quanto l'Agenzia delle Entrate doveva dapprima esaminare la posizione della società e le relative scritture contabili. I giudici di secondo grado avevano errato anche laddove avevano affermato che il contribuente non aveva prodotto ulteriori prove a suo favore, dato che il contribuente aveva richiamato e prodotto nuovamente in appello le prove che erano state prodotte in primo grado e che non erano state minimamente esaminate relative ai movimenti in uscita (trascritti alle pagine 44 -55 del ricorso per cassazione) e dai quali emergeva che la società Cesalpino Srl aveva già pagato le tasse su tutti i movimenti. Inoltre, una corretta applicazione delle norme di legge avrebbe condotto a escludere qualsiasi rilievo anche in relazione ai movimenti in entrata e all'asserita debenza dell'Iva su ogni voce. Anche le norme sul ragionamento presuntivo ex art. 2729 e ss. c.c. erano state violate, in quanto gli elementi presuntivi posti a base dell'accertamento erano in realtà deboli congetture prive di sostegno fattuale (l'irrilevanza delle dichiarazioni dell'ultimo amministratore della società Immobiliare Cesalpino Srl ; l'anomalia di una società immobiliare di avere rilevanti movimenti in uscita nel 2007 e di non avere rilevanti movimenti in entrata anche in relazione alla dichiarazione Iva; il contribuente aveva subito l'accertamento di molti conti correnti e rapporti bancari anche nel 2006, quando non era emersa alcuna irregolarità al riguardo).
12. Il terzo mezzo deduce, in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per omesso esame di fatto decisivo per il giudizio oggetto di discussione tra le parti, in quanto i vizi denunciati rilevavano anche sotto il differente profilo dell'omesso esame di fatto decisivo e, specificamente, omesso esame delle scritture contabili della società Immobiliare Cesalpino Srl ; di tutti i movimenti in uscita della stessa società contestati al contribuente come redditi personali; delle dichiarazioni rese dalla società immobiliare, nella persona del suo amministratore; del fatto che nessuna irregolarità era emersa a carico del contribuente nell'anno precedente; del fatto che era del tutto normale che una società immobiliare effettuasse in un anno una serie di operazioni in uscita e realizzasse le correlative operazioni in entrata negli anni successivi; dell'erroneità della ripresa Iva sommando la quota del 20% a tutti i movimenti in entrata e in uscita.
13. Il quarto mezzo deduce la nullità della sentenza e del procedimento, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, in relazione alle norme di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32, comma 1, n. 2 e 37, nonchè al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 e agli artt. 115 e 116 c.p.c., nonchè ex artt. 2697 e 2727, 2728 e 2729 c.c. e Cost., artt. 3, 24 e Cost., 53 e art. 111, comma 2, ed ex art. 88 c.p.c.. Tutti i rilievi svolti nei motivi precedenti rilevavano anche sotto il profilo della nullità della sentenza e del procedimento nella parte in cui il processo svoltosi aveva violato le norme in tema di ripartizione dell'onere della prova e di legittimità del ricorso al metodo presuntivo e di corretta identificazione della nozione di presunzione, oltre a riflettersi sui diritti costituzionali di difesa del contribuente e sulla giustizia del sistema tributario.
14. Il quinto motivo deduce l'inesistenza e la nullità della sentenza per motivazione apparente ex artt. 360, comma 1, n. 4, c.p.c. e D.Lgs. n. 546 del 1992, 62, in violazione degli artt. 132 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, 36, comma 2, n. 4, nonchè degli artt. 24, primo e comma 2, Cost. e 111, comma 6, Cost., avendo la sentenza motivato nel senso che nessuna spiegazione era stata resa o che nessun ulteriore documento era stato prodotto o che tutto era superficiale prescindendo dalle allegazioni e motivazioni esposte dal contribuente, nonchè dai documenti.
15. Il sesto motivo deduce violazione e falsa applicazione di una norma di legge ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione agli artt. 112, 132 c.p.c., nonchè Cost., artt. 24, primo e comma 2, e art. 111, comma 6, Cost. e D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, in mancanza di un percorso motivazionale idoneo ad esplicitare le ragioni della decisione sulle questioni di fatto sollevate.
16. L'esame delle esposte censure porta all'accoglimento del quinto motivo, che per ragioni di ordine logico e giuridico deve essere esaminato per primo, con assorbimento dei restanti motivi.
16.1 Secondo il costante orientamento di questa Corte, anche a sezioni unite, la deduzione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata con ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito della intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico - formale, delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l'attendibilità e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad esse sottesi, dando, così, liberamente prevalenza all'uno o all'altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge. Ne consegue che il preteso vizio di motivazione, sotto il profilo della omissione, insufficienza, contraddittorietà della medesima, può legittimamente dirsi sussistente solo quando, nel ragionamento del giudice di merito, sia rinvenibile traccia evidente del mancato (o insufficiente) esame di punti decisivi della controversia, prospettato dalle parti o rilevabile di ufficio, ovvero quando esista insanabile contrasto tra le argomentazioni complessivamente adottate, tale da non consentire l'identificazione del procedimento logico - giuridico posto a base della decisione (v. tra le tante, Cass., 9 agosto 2017, n. 17477; Cass., Sez. U., 27 dicembre 1997, n. 13045).
Più in particolare, questa Corte ha affermato che "costituisce ius receptum il principio secondo cui il vizio di motivazione meramente apparente della sentenza ricorre allorquando il giudice, in violazione di un preciso obbligo di legge, costituzionalmente imposto (Cost., art. 111, comma 6), e cioè dell'art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 (in materia di processo civile ordinario) e dell'omologo D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4 (in materia di processo tributario), omette di esporre concisamente i motivi in fatto e diritto della decisione, di specificare o illustrare le ragioni e l'iter logico seguito per pervenire alla decisione assunta, e cioè di chiarire su quali prove ha fondato il proprio convincimento e sulla base di quali argomentazioni è pervenuto alla propria determinazione, in tal modo consentendo anche di verificare se abbia effettivamente giudicato iuxta alligata et probata" (Cass., 8 settembre 2022, n. 26477, in motivazione).
16.2 Ciò posto, nella vicenda in esame, la motivazione della Commissione tributaria regionale è completamente carente dell'illustrazione delle critiche mosse dal contribuente appellante alla statuizione di primo grado, oltre che alle considerazioni svolte in sede di appello, riguardanti l'erronea applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, primo comma, che escludeva l'inversione dell'onere probatorio a carico del contribuente senza prima avere accertato le scritture contabili sulle quali i movimenti in contestazione avrebbero dovuto essere registrati; l'esame della documentazione rilevante in relazione alle singole operazioni sul conto (Omissis), peraltro nemmeno contestata dall'Agenzia delle Entrate e specificamente dell'importo di un assegno circolare, del rogito notarile per l'acquisto di un immobile riportante gli estremi dell'assegno; delle rate di pagamento di un mutuo bancario da parte della società e del pagamento degli oneri di urbanizzazione corrisposti al Comune di (Omissis); l'erroneità concettuale di considerare presunzione il fatto che il conto corrente della società immobiliare presentasse una serie di rilevanti voci in uscita per il 2007 e pressochè nessuno voce Iva per lo stesso anno, a fronte della quale il contribuente aveva asserito di avere dimostrato, producendo i bilanci sociali, che nel 2007 la società aveva effettuato acquisti immobiliari e nel 2008 e 2009 li aveva messi a reddito, vendendoli; l'errore materiale circa la data di liquidazione della società che era quella del 30 dicembre 2010 e non quella, successiva all'apertura dell'indagine finanziaria, del 20 luglio 2011; la ritenuta irrilevanza da parte dei giudizi di primo grado della dichiarazione dell'amministratore prima e liquidatore dopo, dal 26 aprile 2010 al 20 luglio 2011 (Dott. B.B.), dovendosi produrre la dichiarazione di chi era amministratore al momento delle operazioni; l'errore concettuale e di calcolo con il quale l'Agenzia, in sede di ripresa, aveva ritenuto di applicare l'Iva ai movimenti finanziari, che, di contro, doveva essere scorporata da tali importi; il contribuente, in particolare, aveva documentato che i dieci movimenti contestati si riferivano al pagamento degli oneri di urbanizzazione del Comune di (Omissis), all'acquisto di un immobile, al pagamento della fattura di un Notaio e al pagamento di alcune rate di un mutuo bancario e che, degli asseriti undici rapporti ne erano rimasti in contestazione solo tre, relativi a conti non intestati al contribuente, di cui due presentavano un solo movimento dubbio eseguito da terzi soggetti e per importi non di rilievo ed uno era il normale conto corrente della società Immobiliare Cesalpino Srl ; il contribuente, in ogni caso, aveva allegato e indicato tutte le operazioni cui i movimenti si riferivano, producendo fin dal giudizio di primo grado e anche all'Agenzia delle Entrate i documenti dai quali risultava che i movimenti contestati non erano altro che operazioni sociali sulle quali la predetta società aveva pagato ogni imposta e tassa; i giudici di secondo grado, dunque, hanno omesso di considerare le specifiche censure mosse dal A.A. alla statuizione di primo grado, oltre che le considerazioni svolte dallo stesso in ragione della documentazione prodotta e non hanno tenuto in considerazione, con il dovuto rigore analitico, tutta la documentazione prodotta dall'appellante idonea a giustificare i dieci movimenti contestati e diretta a dimostrare, l'illegittimità dell'avviso di accertamento impugnato, limitandosi ad affermare che il contribuente non aveva fornito idonea giustificazione e che le contestazioni sollevate apparivano pretestuose ed infondate (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata); i giudici di secondo grado non prendendo in esame i motivi di gravame formulati dal contribuente e la documentazione ad essi sottesa, hanno omesso ogni provvedimento indispensabile per la soluzione del caso concreto, in modo non conforme, peraltro, ai canoni giuridici che governano la materia in esame.
16.3 Ed invero, il costante insegnamento della giurisprudenza di legittimità è nel senso che, "In tema di accertamenti bancari, il D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 32 e il D.P.R. n. 633 del 1972, 51 prevedono una presunzione legale in favore dell'erario che, in quanto tale, non necessita dei requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall'art. 2729 c.c. per le presunzioni semplici, e che può essere superata dal contribuente attraverso una prova analitica, con specifica indicazione della riferibilità di ogni versamento bancario, idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non attengono ad operazioni imponibili, cui consegue l'obbligo del giudice di merito di verificare con rigore l'efficacia dimostrativa delle prove offerte dal contribuente per ciascuna operazione e di dar conto espressamente in sentenza delle relative risultanze" (Cass., 5 ottobre 2022, n. 28858; Cass., 30 giugno 2020, m. 13112; Cass., 3 maggio 2018, n. 10480). Dunque, la prova deve essere "idonea a dimostrare che gli elementi desumibili dalle movimentazioni bancarie non sono riferibili ad operazioni imponibili, con indicazione specifica della riferibilità di ogni versamento bancario, in modo da dimostrare come ciascuna delle singole operazioni effettuate sia estranea a fatti imponibili (Cass., 30 giugno 2020, n. 13112, citata, in motivazione) e, a tale dimensionamento dell'onere della prova gravante sul contribuente, corrisponde l'obbligo del giudice di merito, da un lato, di operare una verifica rigorosa dell'efficacia dimostrativa delle prove fornite dal contribuente a giustificazione di ogni singola movimentazione accertata, e, dall'altro, di dare espressamente conto in sentenza delle risultanze di quella verifica (Cass., 18 novembre 2021, n. 35258).
17. Per le ragioni di cui sopra, deve essere accolto il quinto motivo di ricorso, con assorbimento dei restanti motivi; la sentenza impugnata va cassata, in relazione al motivo accolto, e la causa va rinviata alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte, riunito il ricorso n. 12126/2017 R.G. al ricorso n. 9968/2015 R.G., con riferimento al ricorso n. 12126/2017 R.G. rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, in favore dell'Agenzia controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.600,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito. Con riferimento al ricorso n. 9968/2015 R.G., accoglie il quinto motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti motivi; cassa la sentenza impugnata, in relazione al motivo accolto, e rinvia la causa alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado della Lombardia, in diversa composizione, anche per la determinazione delle spese del giudizio di legittimità.
Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, a carico del ricorrente, dell'ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso n. 12126/2017 R.G., a norma del comma 1 bis, dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso in Roma, il 6 luglio 2023.
Depositato in Cancelleria il 24 luglio 2023
09-08-2023 14:15
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