L'art. 2 del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, nel testo modificato dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 12, ha esteso la giurisdizione tributaria a tutte le controversie riguardanti i tributi, con carattere pieno ed esclusivo, comprensivo dei giudizi sull'impugnazione del provvedimento impositivo e di quelli relativi alla legittimità di tutti gli atti del procedimento. (Dichiara il difetto di giurisdizione a beneficio del giudice tributario.)
T.A.R. Lazio Roma Sez. I, 12/09/2020, n. 9536
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio
(Sezione Prima)
ha pronunciato la presente
SENTENZA
ex art. 60 cod. proc. amm.;
sul ricorso numero di registro generale 6299 del 2020, proposto da
H.I.E. Società Cooperativa D'Acquisto, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Brizia Castrignanò e Stefano Baiardo, con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
contro
Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall'Avvocatura Generale dello Stato, presso cui domicilia "ex lege" in Roma, via dei Portoghesi, 12;
per l'annullamento, previa sospensione,
1) della comunicazione del 23/06/2020, a mezzo della quale l'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ha richiesto a HOGAST il versamento del contributo all'onere derivante dal funzionamento dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato per l'anno 2020 pari ad Euro19.370,95 giusta Delib. n. 28248 del 10 marzo 2020 dell'AGCM;
2) della Delibera AGCM 10 marzo 2020, N. 28248 - Contributo all'onere derivante dal funzionamento dell'Autorità garante della Concorrenza e del Mercato per l'anno 2020, non comunicata;
3) dell'atto AGCM denominato FAQ, non comunicato, aggiornato al 1 giugno 2020;
nonché di ogni ulteriore atto presupposto, infraprocedimentale, connesso e conseguente, nonché
per l'accertamento e la declaratoria:
in via principale, della totale non debenza della società ricorrente dell'importo preteso da AUTORITÀ GARANTE DELLA CONCORRENZA E DEL MERCATO, in materia di obbligo versamento Contributo Oneri Funzionamento AGCM di cui all'art.10 c., 7 ter e 7 quater L. n. 287 del 1990.
Visti il ricorso e i relativi allegati;
Vista la memoria di costituzione in giudizio dell'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato, con la relativa documentazione;
Visti tutti gli atti della causa;
Visti gli artt. 11 e 60 cod. proc. amm.;
Relatore nella camera di consiglio del 9 settembre 2020 il dott. Ivo Correale e uditi per le parti i difensori come specificato nel verbale;
Sentite le stesse parti ai sensi dell'art. 60 cod. proc. amm.;
Svolgimento del processo - Motivi della decisione
Con il ricorso a questo Tribunale, la società indicata in epigrafe ("Hogast") ha impugnato la richiesta di pagamento inviata dall'Autorità Garante della Concorrenza e del Mercato ("Agcm"), avente ad oggetto i contributi dovuti per il funzionamento dell'Autorità, di cui all'art.10, commi 7 ter e 7 quater, L. n. 287 del 1990, presentando anche domanda declaratoria di "non debenza" dei suddetti contributi.
La ricorrente, in particolare, ha esposto di essere una società cooperativa di acquisto, "leader" nel settore gastronomico e alberghiero altoatesino, disciplinata secondo il principio della mutualità senza fini di speculazione privata, con il solo scopo di fornire ai propri associati merci e servizi a condizioni vantaggiose, in termini di prezzo e di pagamento, nonché di dare loro assistenza in ogni particolarità della loro attività.
Hagast ha quindi lamentato la violazione e falsa applicazione dell'art. 10, commi 7 ter e quater, cit., nonché varie figure sintomatiche di eccesso di potere, ritenendo illegittima l'estensione dell'obbligo di versamento anche a carico delle società cooperative, soggettivamente e oggettivamente diverse dalle società di capitale con ricavi totali superiori a 50 milioni di Euro, richiamate dalla norma e uniche tenute a corrispondere il contributo.
Rilevava, infatti, la ricorrente che le società cooperative (ai sensi dell'art. 2511 e seguenti c.c.) hanno come scopo primario quello mutualistico, sono caratterizzate dal voto capitario e non possono certamente essere ricomprese nelle cd. società di capitale, tanto più che lo stesso codice civile ha recepito "in toto" il D.Lgs. n. 6 del 2003, che riconosce al suo interno tale differenza rispetto alle società di capitale, intese quali organizzazioni di persone e mezzi per l'esercizio in comune di attività produttiva perseguente esclusivamente uno scopo di lucro e la distribuzione di utili tra i soci.
In subordine, stante il concetto di "fatturato" cui fa riferimento esplicito l'art.10, comma 7 ter, l. cit., questo non poteva che considerarsi al netto della "rifatturazione" operata da Hogast nei confronti dei propri associati, con la conseguenza per la quale la ricorrente aveva comunque ricavi effettivi di moltissimo inferiori ai 50 milioni di Euro.
Si costituiva in giudizio l'intimata Autorità, affidando a una memoria illustrativa l'esposizione dei motivi orientati a rilevare l'infondatezza del gravame.
Alla camera di consiglio del 9 settembre 2020, il Collegio rappresentava, ai sensi dell'art. 73, comma 3, c.p.a., dubbi sul profilo legato alla giurisdizione e, previo avviso ex art. 60 c.p.a., tratteneva la causa in decisione.
Il Collegio rileva di essersi recentemente occupato di medesima fattispecie, rilevando il proprio difetto di giurisdizione (TAR Lazio, Sez. I, 14.7.20, n. 8028). In assenza di contributi specifici sul punto delle parti, non può che riportare quanto già evidenziato in quella sede.
I contributi per il funzionamento dell'Agcm sono disciplinati dall'art. 10, comma 7 ter, della L. n. 287 del 1990, secondo cui: "All'onere derivante dal funzionamento dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato si provvede mediante un contributo di importo pari allo 0,08 per mille del fatturato risultante dall'ultimo bilancio approvato dalle società di capitale, con ricavi totali superiori a 50 milioni di Euro, fermi restando i criteri stabiliti della L. n. 287 del 1990, art. 16, comma 2. La soglia massima di contribuzione a carico di ciascuna impresa non può essere superiore a cento volte la misura minima".
La natura tributaria dei contributi in questione, seppur con riferimento a quelli spettanti all'Autorità di Vigilanza sui lavori pubblici della L. n. 266 del 2005, ex art. 1, commi 65 e 67, è stata già affermata dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 256 del 20 giugno 2007, laddove la Consulta ha statuito che tali contributi sono riconducibili alla categoria delle entrate tributarie statali, di cui soddisfano i principali requisiti, trattandosi di una contribuzione, imposta in base alla legge e connessa ad una particolare situazione in cui i soggetti obbligati si vengono a trovare per effetto dell'attività dell'ente, alle spese necessarie a consentire l'esercizio della sua attività istituzionale, che si caratterizza per la doverosità della prestazione, il collegamento di questa ad una pubblica spesa ed il riferimento ad un presupposto economicamente rilevante.
Tali argomentazioni sono state espressamente richiamate nella successiva sentenza n. 269 del 14 dicembre 2017 con la quale la Corte Costituzionale, pur dichiarando inammissibili e non fondate le questioni di legittimità costituzionale della L. 10 ottobre 1990, n. 287, art. 10, commi 7 ter e 7 quater, ha affermato, sia pure incidentalmente, che il contributo obbligatorio dovuto all'Agcm, in base alla nuova normativa, ha natura tributaria, consistendo in una prestazione patrimoniale, destinata a una spesa pubblica, imposta dalla legge a favore della medesima Autorità con carattere coattivo che prescinde da qualsiasi rapporto sinallagmatico con l'Autorità stessa alla quale è dovuto, indipendentemente dal fatto che il contribuente sia stato destinatario dei poteri dell'ente o abbia beneficiato della sua attività.
Alla luce di tali principi la più recente giurisprudenza della Corte di Cassazione (Cass. Civ. Sez.Un., ordinanza n. 10577 del 4 giugno 2020), nel delibare su regolamento preventivo di giurisdizione proposto dal giudice ordinario, ha affermato che i contributi in questione devono essere qualificati a tutti gli effetti come "tributi", in applicazione dei principi espressi dalla Corte costituzionale, a tenore dei quali "...una fattispecie deve ritenersi di natura tributaria, indipendentemente dalla qualificazione offerta dal legislatore, laddove si riscontrino tre indefettibili requisiti: la disciplina legale deve essere diretta, in via prevalente, a procurare una definitiva decurtazione patrimoniale a carico del soggetto passivo; la decurtazione non deve integrare una modifica di un rapporto sinallagmatico; le risorse, connesse ad un presupposto economicamente rilevante e derivanti dalla suddetta decurtazione, debbono essere destinate a sovvenire pubbliche spese".
Ciò premesso, la Suprema Corte nella pronuncia citata ha affermato che i contributi in esame soddisfano tutti i requisiti, come sopra illustrati, per la configurazione della natura tributaria, trattandosi "...di una prestazione patrimoniale imposta dalla legge a favore dell'Autorità indipendente, con carattere coattivo, che si caratterizza per la doverosità della prestazione e che prescinde completamente da qualsiasi rapporto sinallagmatico con l'Autorità, alla quale è dovuta indipendentemente dal fatto che il contribuente sia stato destinatario dei poteri dell'ente o abbia beneficiato della sua attività. Inoltre, il contributo è collegato ad una pubblica spesa (siccome risorsa per il funzionamento di un'Autorità chiamata a svolgere servizi a salvaguardia delle regole del mercato a tutela della concorrenza) ed è riferito ad un presupposto economicamente rilevante, essendo commisurato al volume di fatturato che viene assunto a indice della capacità contributiva (cfr. Corte Cost. n. 269 del 2017 cit.)".
Ne consegue la devoluzione della controversia alla giurisdizione del giudice tributario, in applicazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 2, nel testo modificato dalla L. 28 dicembre 2001, n. 448, art. 12, il quale ha esteso la giurisdizione tributaria a tutte le controversie riguardanti i tributi, con carattere pieno ed esclusivo, comprensivo dei giudizi sull'impugnazione del provvedimento impositivo e di quelli relativi alla legittimità di tutti gli atti del procedimento.
Nella presente fattispecie, pertanto, deve quindi essere dichiarato il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo, appartenendo la cognizione della causa alla giurisdizione del giudice tributario, dinanzi al quale il giudizio potrà essere riproposto nel termine previsto dall'art. 11 c.p.a.
Ricorrono, in considerazione della natura della questione controversa e dell'esito del giudizio, le ragioni che giustificano la compensazione integrale delle spese di lite.
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio (Sezione Prima), definitivamente pronunciando ai sensi dell'art. 60 c.p.a. sul ricorso, come in epigrafe proposto, dichiara il proprio difetto di giurisdizione a beneficio del giudice tributario, dinanzi al quale il giudizio potrà essere riproposto nei sensi di cui all'art. 11 c.p.a.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 9 settembre 2020 con l'intervento dei magistrati:
Antonino Savo Amodio, Presidente
Ivo Correale, Consigliere, Estensore
Roberta Ravasio, Consigliere
27-09-2020 21:57
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