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Sentenza

Il limite alla pignorabilità fissato dal comma 1, lettera a), dell’art. 76 del d...
Il limite alla pignorabilità fissato dal comma 1, lettera a), dell’art. 76 del d.p.r. n. 602 del 1973 - nel testo introdotto dall’art. 52, comma 1, lettera g), del d.l. n. 69 del 2013, convertito, con modificazioni dalla legge n. 98 del 2013: si riferisce alle sole espropriazioni da parte del fisco e non a quelle promosse da altre categorie di creditori; non riguarda la prima casa, ma l’unico immobile di proprietà del debitore; non trova comunque applicazione alla confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, nè al sequestro preventivo ad essa preordinato.
Cassazione penale, sez. III, sentenza 5 marzo 2020, n. 8995 
Cass. pen. Sez. III, Sent., (ud. 07/11/2019) 05-03-2020, n. 8995
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. LIBERATI Giovanni - Presidente -
Dott. GAI Emanuela - Consigliere -
Dott. REYNAUD Gianni Filippo - Consigliere -
Dott. CORBO Antonio - Consigliere -
Dott. ANDRONIO Alessandro - rel. Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
P.M., nato a (OMISSIS);
avverso l'ordinanza del 14/06/2019 del Tribunale di Varese;
visti gli atti, la sentenza impugnata e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ANDRONIO Alessandro Maria;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. CANEVELLI Paolo,
che ha concluso chiedendo che il provvedimento impugnato sia annullato limitatamente al
periculum in mora e che il ricorso sia rigettato nel resto;
udito il difensore, avv. MERLI Vincenzo.
Svolgimento del processo
1. Con ordinanza del 14 giugno 2019, il Tribunale di Varese, in sede di riesame, ha confermato
l'ordinanza del Gip del Tribunale di Busto Arsizio del 15 aprile 2019, con la quale era stato
disposto il sequestro preventivo, finalizzato alla confisca diretta, delle giacenze attive sui conti
della società della quale l'indagato era legale rappresentante, nonchè alla confisca per
equivalente su beni dello stesso indagato, fino alla concorrenza di Euro 957.696,17, quale
profitto del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 2.
2. Avverso l'ordinanza l'indagato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione,
chiedendone l'annullamento.
2.1. Con un primo motivo di doglianza, si censura la mancanza assoluta della motivazione in
relazione agli indizi del reato. Si sostiene che il Tribunale non si sarebbe confrontato con quanto
argomentato dalla difesa in relazione alla documentazione depositata, ovvero 53 documenti
(riferiti a pagamenti, trasporti, certificati di conformità della merce e ulteriori elementi a
dimostrazione dell'oggettiva esistenza delle operazioni fatturate).
2.2. Si deduce, in secondo luogo, la mancanza assoluta della motivazione in relazione alla non
confiscabilità dell'abitazione "prima casa". La difesa ricorda che il sequestro è stato eseguito per
equivalente anche sui beni dell'indagato, fra cui l'abitazione, da considerare "prima casa" in base
a quanto documentato con copia del rogito di acquisto e con le dichiarazioni di legge. Secondo
la prospettazione difensiva, tale abitazione non potrebbe essere sottoposta a confisca, per il
disposto del D.L. n. 69 del 2013, art. 52, come sostanzialmente affermato dalla Corte di
cassazione con la sentenza n. 22581 del 2019, la quale non sarebbe stata presa in adeguata
considerazione dal Tribunale.
2.3. Si deduce, in terzo luogo, la violazione del D.L. n. 69 del 2013, art. 52, sul rilievo che tale
disposizione impedirebbe la confisca e, dunque, il prodromico sequestro della "prima casa" in
relazione a reati fiscali.
Motivi della decisione
1. Il ricorso è infondato.
1.1. Il primo motivo di doglianza - riferito alla mancata considerazione della documentazione
della depositata dalla difesa, ai fini della valutazione della non fittizietà delle operazioni oggetto
delle fatture utilizzati in dichiarazione - è inammissibile per genericità.
Il ricorrente non spiega - neanche con il ricorso per cassazione - quale sarebbe la rilevanza
probatoria della documentazione in questione, di cui non riporta il contenuto. Non specifica, in
particolare, come tale documentazione possa inficiare i risultati della complessa attività di
indagine posta in essere dalla Guardia di Finanza, da cui - secondo quanto riportato nel
provvedimento impugnato - era emerso che la società dell'indagato aveva intrattenuto rapporti
commerciali con altre imprese, da queste ricevendo fatture fittizie per operazioni inesistenti, e
successivamente aveva emesso, nei confronti delle società originariamente emittenti, fatture di
vendita non imponibili Iva al fine di eseguire compensazioni di partite ed annullare il pagamento
dovuto (meccanismo fraudolento ampiamente descritto alle pagg. 1-2 dell'ordinanza
impugnata).
1.2. Il secondo e il terzo motivo di doglianza, che possono essere trattati congiuntamente, perchè
attengono entrambi alla pretesa impignorabilità della "prima casa" dell'indagato, sono infondati,
perchè l'art. 52 (in particolare, D.L. n. 69 del 2013, comma 1, lett. g), convertito, con
modificazioni dalla L. n. 98 del 2013, non può trovare applicazione nel caso in esame,
contrariamente a quanto affermato in un obiter dictum dalla sentenza Sez. 3, n. 22581 del
13/01/2019 (punto 4.1.), richiamata dalla difesa.
In particolare, per quanto qui rileva, la disposizione in questione ha modificato l'art. 76, comma
1, lettera a), (Espropriazione immobiliare) del D.P.R. n. 602 del 1973 (Disposizioni sulla
riscossione delle imposte sul reddito), inserito nella sezione 4^ (Disposizioni particolari in
materia di espropriazione immobiliare) di tale testo normativo, nei seguenti termini: "Ferma la
facoltà di intervento ai sensi dell'art. 499 c.p.c., l'agente della riscossione: a) non dà corso
all'espropriazione se l'unico immobile di proprietà del debitore, con esclusione delle abitazioni di
lusso aventi le caratteristiche individuate dal decreto del Ministro per i lavori pubblici 2 agosto
1969, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 218 del 27 agosto 1969, e comunque dei fabbricati
classificati nelle categorie catastali A/8 e A/9, è adibito ad uso abitativo e lo stesso vi risiede
anagraficamente".
1.2.1. Da tale formulazione letterale emerge, in primo luogo, che il limite posto dal legislatore
all'espropriazione immobiliare non riguarda la "prima casa", ma "l'unico immobile di proprietà
del debitore". Si tratta di un concetto evidentemente diverso da quello di "prima casa", perchè
ha a che vedere con la consistenza complessiva del patrimonio del debitore e non semplicemente
con la qualificazione del singolo immobile oggetto di pignoramento. Ne consegue che, per
invocare l'applicazione della disposizione in tema di espropriazione immobiliare, il debitore non
può limitarsi a prospettare che l'immobile pignorato è la sua "prima casa", perchè una tale
prospettazione non esclude di per sè che lo stesso debitore sia proprietario di altri immobili.
1.2.2. Deve poi rilevarsi che - contrariamente a quanto ritenuto dal ricorrente - la disposizione
in questione non fissa un principio generale di impignorabilità, perchè si riferisce solo alle
espropriazioni da parte del fisco per debiti tributari e non a quelle promosse da altre categorie
di creditori per debiti di altro tipo. Nè, a ben vedere, la disposizione in questione può trovare
applicazione in relazione alla confisca penale, sia essa diretta o per equivalente, perchè l'oggetto
della confisca è il profitto del reato e non il debito verso il fisco. E i due concetti devono essere
tenuti distinti, perchè il profitto di delitti consistenti nell'evasione dell'imposta per mezzo di
omessa, infedele o fraudolenta dichiarazione o di omesso versamento, che può essere oggetto
di sequestro preventivo funzionale alla confisca, è costituito dal risparmio economico derivante
dalla sottrazione degli importi evasi alla loro destinazione fiscale e non comprende nè le sanzioni
dovute a seguito dell'accertamento del debito, che rappresentano, invece, il costo del reato
stesso, derivante dalla sua commissione (Sez. 3, n. 17535 del 06/02/2019, Rv. 275445; Sez. 3,
n. 28047 del 20/01/2017, Rv. 270429), nè gli interessi maturati in favore dello Stato (Sez. 3, n.
40358 del 05/07/2016, Rv. 268329); mentre il debito verso il fisco è sempre comprensivo
dell'originario debito tributario, degli interessi e delle sanzioni (sostanzialmente in tal senso, Sez.
3, n. 7359 del 04/02/2014, Rv. 261500).
1.2.3. Tali conclusioni si pongono in consapevole parziale contrasto con quanto già affermato da
questa Corte di cassazione, oltre che con la citata sentenza n. 22581 del 2019, anche con la
sentenza Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016, dep. 20/01/2017, Rv. 268797, la quale afferma che,
in tema di reati tributari, la disposizione di cui al D.L. n. 69 del 2013, art. 52, comma 1, lett. g),
- che vieta all'agente della riscossione, in specifiche ipotesi e condizioni, di procedere
all'espropriazione della "prima casa" del debitore preclude l'applicazione del sequestro
preventivo, finalizzato alla confisca diretta, dell'abitazione di soggetto indagato per il delitto di
cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 11, comma 1, commesso mediante l'alienazione simulata del
cespite immobiliare. La pronuncia giunge a tale conclusione evidenziando che il delitto di
sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte - cui la stessa si riferisce - è reato di pericolo
concreto ed esige, pertanto, che la condotta sia idonea a rendere inefficace la procedura di
riscossione coattiva, sull'assunto che la stessa sia ex ante non consentita, per mancanza dei
relativi presupposti normativi. Si rileva, in particolare, che il principio espresso da Sez. 3, n.
7359 del 04/02/2014 - secondo cui la preclusione fissata dal D.L. n. 69 del 2013, art. 52, comma
1, lett. g), non trova applicazione nell'ambito del processo penale e, pertanto, non impedisce il
sequestro preventivo, finalizzato alla confisca per equivalente, dell'abitazione dell'indagato - era
riferito a una fattispecie concreta in cui l'imputato rispondeva del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del
2000, art. 10-ter e la questione riguardava esclusivamente la possibilità di sottoporre a
sequestro penale l'immobile destinato ad abitazione del contribuente, il cui valore costituiva
l'equivalente delle imposte non versate. Mentre, nella vicenda oggetto della sentenza n. 3011
del 2016, l'immobile rileva di per sè quale oggetto materiale della condotta e la norma violata
prevede espressamente che la condotta sia idonea a rendere inefficace la procedura esecutiva.
Si giunge così - senza espressamente contestare il principio espresso dalla sentenza n. 7359 del
2014 alla conclusione che "consentire la confisca diretta di un bene che non può più essere
oggetto di espropriazione immobiliare e che dunque non costituisce più profitto del reato,
equivale a consentire in modo surrettizio quel che il legislatore espressamente esclude", perchè
la confisca costituirebbe, "di fatto, una misura inutilmente punitiva e ingiustamente afflittiva che
si aggiungerebbe alla pena principale prevista per il reato, trasformandosi in una vera e propria
confisca di valore"..
Come anticipato, tali conclusioni non possono essere condivise, perchè - pur non ponendosi in
contrasto con il principio dell'inapplicabilità del limite dell'espropriazione nel procedimento penale
per reati tributari - si basano sull'assunto che la disposizione limitativa dell'espropriazione
esprima un principio generale applicabile alla "prima casa" del debitore tributario. Bisogna,
invece, ribadire che il limite alla pignorabilità fissato dal D.P.R. n. 602 del 1973, art. 76, comma
1, lett. a), - nel testo introdotto dal D.L. n. 69 del 2013, art. 52, comma 1, lett. g), convertito,
con modificazioni dalla L. n. 98 del 2013: si riferisce solo alle espropriazioni da parte del fisco e
non a quelle promosse da altre categorie di creditori; non riguarda la "prima casa", ma "l'unico
immobile di proprietà del debitore; non trova comunque applicazione alla confisca penale, sia
essa diretta o per equivalente, nè al sequestro preventivo ad essa preordinato.
2. Da quanto precede consegue che il ricorso deve essere rigettato, con condanna del ricorrente
al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 7 novembre 2019.
Depositato in Cancelleria il 5 marzo 2020
Avv. Antonino Sugamele

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