Delitto di dichiarazione infedele. Reato tributario
Cass. pen. Sez. feriale, 27/08/2020, n. 24589
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE FERIALE PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. COSTANZO Angelo - Presidente -
Dott. MANTOVANO Alfredo - Consigliere -
Dott. DE GREGORIO Eduardo - Consigliere -
Dott. GALTERIO Donatella - rel. Consigliere -
Dott. DOVERE Salvatore - Consigliere -
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
R.G., nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza in data 22.10.2019 della Corte di Appello di Ancona;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Donatella Galterio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Domenico Seccia, che ha concluso per la declaratoria di inammissibilità del ricorso.
Svolgimento del processo
1.Con sentenza in data 22.10.2019 la Corte di Appello di Ancona ha integralmente confermato la pronuncia resa all'esito del primo grado di giudizio con cui il Tribunale di Macerata ha condannato R.G. alla pena condizionalmente sospesa di un anno di reclusione ritenendolo responsabile del reato di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4 per aver indicato nella dichiarazione dei redditi relativa all'anno di imposta 2010, al fine di evadere la relativa imposta, elementi attivi per un ammontare inferiore a quello effettivo, costituito dalla somma di Euro 1.339.955 relativa alle vincite conseguite presso il Casinò di Montecarlo, e superiore al 10% di quelli indicati in dichiarazione.
2. Avverso il suddetto provvedimento l'imputato ha proposto, per il tramite del proprio difensore, ricorso per cassazione articolando quattro motivi di seguito riprodotti nei limiti di cui all'art. 173 disp. att. c.p.p..
2.1. Con il primo motivo lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito al D.Lgs. n. 74 del 2000 art. 13, il mancato riconoscimento della causa di non punibilità in presenza dell'integrale pagamento del debito tributario completato dall'imputato, in conformità al piano di rateizzazione concordato con l'Agenzia delle Entrate, in data 28.6.2015.
2.2. Con il secondo motivo deduce il vizio di violazione di legge riferito all'art. 67 T.U.I.R. ed il vizio motivazionale. Nel premettere, in fatto, che gli elementi positivi di reddito non dichiarati sono costituiti dalle vincite conseguite al Casinò di Montecarlo, qualificate dalla Guardia di Finanza e dall'Agenzia delle Entrate come redditi diversi, soggetti ad un'aliquota del 20%, secondo la Guardia di Finanza, e ad un'aliquota progressiva del 43%, secondo l'Agenzia delle Entrate, evidenzia l'errore in cui è caduta la Corte di appello che, qualificando il Principato di Monaco come Stato a fiscalità privilegiata, si contraddice, non avendo realizzato che l'Agenzia delle Entrate aveva riconosciuto un abbattimento delle somme rientrate in Italia nella misura del 33% a titolo di provvista utilizzata dal giocatore (quale costo sostenuto da costui per sedersi al tavolo da gioco acquistando le fiches necessarie), somma che, secondo il tenore letterale del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, non avrebbe potuto essere in alcun modo dedotta (e ciò a prescindere dal fatto che le entrate erano inferiori alle uscite, segno di perdite al gioco).
2.3. Con il terzo motivo deduce, in relazione al vizio di violazione di legge riferito al D.P.R. n. 640 del 1972, art. 3 e al vizio motivazionale, che le vincite al gioco sono esenti dalle imposte sui redditi, essendo esclusivamente assoggettate all'ISI (Imposta sugli Spettacoli) corrisposta direttamente dal Casinò in presenza di incassi superiori alle vincite pagate, e non già dal singolo utente. Non potendo i redditi subire discriminazioni o regimi differenziati a seconda dello Stato di provenienza, come si evince dall'art. 49 del Trattato EU e come comprovato dalla circostanza che i provvedimenti della Corte di Giustizia trovano generalizzata applicazione a prescindere dal luogo di produzione del reddito, contesta la classificazione del Principato di Monaco come uno Stato a fiscalità privilegiata, tanto più che l'assoggettamento ad imposizione di tali somme avviene in Italia. Invoca al riguardo l'applicazione del principio affermato dalla Corte di Giustizia Europea del 22.10.2014 secondo la quale non si possono esonerare le vincite in Casinò italiani ed assoggettare ad imposizione quelle provenienti da altri Paesi, locuzione questa che non può essere circoscritta ai soli Paesi Europei, come peraltro confermato dalla L.122 del 2016 emanata al fine di evitare la procedura di infrazione aperta contro l'Italia per sospetta violazione del principio della libera circolazione dei capitali: secondo tale legge quando si parla di vincite tassate ai sensi dell'art. 67 TUIR si fa riferimento soltanto a vincite di lotterie, di concorsi a premio, di giochi e scommesse per il pubblico, a premi derivanti da prove di abilità o di fortuna o in riconoscimento di particolari meriti individuali, nel cui ambito non rientrano le vincite al Casinò.
Deduce che in ogni caso, in applicazione dei principi di esclusività della legge tributaria, di sovranità territoriale e di non discriminazione, sanciti dagli artt. 21 della CFDUE e 18 e 49 TFUE, le vincite conseguite presso le case da gioco estere non potrebbero essere soggette ad una tassazione superiore a quella applicabile in Italia e che comunque, a tutto volere concedere, l'imponibile non potrebbe essere pari ad Euro 1.339.955,00, come erroneamente affermato dalla Corte di Appello, bensì ad Euro 933.333,00, ottenuto dalla detrazione del 33% della provvista, tale soltanto da "sfiorare" la soglia di punibilità che non sarebbe comunque superata se la deduzione fosse superiore al 33%.
2.4. Con il quarto motivo lamenta, in relazione al vizio di violazione di legge riferito all'art. 4 del protocollo CEDU, la violazione del principio del ne bis in idem processuale stante la mancanza di connessione tra il procedimento amministrativo e quello penale sia sul piano sostanziale non perseguendo i due procedimenti obiettivi complementari, sia temporale tenuto conto che quello penale era tuttora pendente mentre quello amministrativo si era definitivamente concluso nel 2009.
Motivi della decisione
1.Il primo motivo non può ritenersi fondato.
La speciale causa di non punibilità invocata dalla difesa risulta disciplinata dal D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 13, come modificato dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, art. 11, comma 1, che, nella versione applicabile ratione temporis, così recitava: "1. I reati di cui agli artt. 10-bis e 10-ter e art. 10-quater, comma 1, non sono punibili se, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, i debiti tributari, comprese sanzioni amministrative e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, anche a seguito delle speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento previste dalle norme tributarie, nonchè del ravvedimento operoso. 2. I reati di cui agli artt. 4 e 5 non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d'imposta successivo, semprechè il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l'autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali. 3. Qualora, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado, il debito tributario sia in fase di estinzione mediante rateizzazione, anche ai fini dell'applicabilità dell'art. 13-bis, è dato un termine di tre mesi per il pagamento del debito residuo. In tal caso la prescrizione è sospesa. Il Giudice ha facoltà di prorogare tale termine una sola volta per non oltre tre mesi, qualora lo ritenga necessario, ferma restando la sospensione della prescrizione".
Come si evince dalla lettura del comma 2, il ravvedimento operoso, al quale la norma subordina l'applicazione della causa di non punibilità per il delitto di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000, art. 4, deve intervenire prima che l'autore del reato abbia formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell'inizio di una qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali, di talchè non rientrano nell'ambito applicativo della norma i pagamenti effettuati a seguito di speciali procedure conciliative e di adesione all'accertamento che presuppongono l'accertamento della pretesa tributaria, i quali possono esclusivamente rilevare ai fini della applicazione della circostanza attenuante di cui all'art. 13-bis, comma 1, del medesimo legislativo, con una riduzione di pena fino alla metà.
Pur dandosi atto nella sentenza del Tribunale in più punti dell'integrale pagamento del debito tributario, delle sanzioni e degli interessi, risulta tuttavia che tale pagamento si era concluso nel 2015, "a processo avviato" (pag. 6): essendo infatti il dibattimento iniziato il 28/11/2014 ed avendo a tale udienza il difensore del ricorrente prodotto l'istanza di accertamento con adesione relativa (anche) all'anno 2010 ed il provvedimento di adesione dell'Agenzia delle Entrate, solo all'udienza del 20/11/2015 risulta essere stato prodotto il piano di ammortamento concordato con l'amministrazione finanziaria per il versamento rateale delle somme oggetto di accertamento. Nel caso in esame, non essendo il pagamento del debito tributario intervenuto prima dell'apertura del dibattimento e non avendo, pertanto, il ricorrente esercitato la facoltà attribuitagli dalla norma citata, già vigente (in quanto introdotta dal D.Lgs. 24 settembre 2015, n. 158, art. 12) al momento dell'apertura del dibattimento - essendone stata univocamente sottolineata dalla giurisprudenza la portata retroattiva applicabile cioè ai procedimenti in corso (Sez. 3, n. 30139 del 12/04/2017, Fregolent, Rv. 270464; Sez. 3, n. 15237 del 01/02/2017, Volanti, Rv. 269653; Sez. 3, n. 40314 del 30/03/2016, Fregolent, Rv. 267807) -, la decisione del Tribunale di valorizzare l'integrale estinzione del debito quale condotta positivamente valutabile ai soli fini della applicazione delle circostanze attenuanti generiche deve ritenersi, non potendo l'imputato fruire della causa di non punibilità sollecitata con il presente ricorso, corretta.
1.2. Il secondo ed terzo motivo possono essere esaminati congiuntamente e sono infondati.
2.1. Il D.P.R. n. 917 del 1986, art. 67, (TUID), indica tra i "redditi diversi" "le vincite delle lotterie, dei concorsi a premio, dei giochi e delle scommesse organizzati per il pubblico e i premi derivanti da prove di abilità o dalla sorte nonchè quelli attribuiti in riconoscimento di particolari meriti artistici, scientifici o sociali". I "redditi diversi" concorrono a formare il reddito complessivo (art. 8, TUID) e sono determinati secondo le disposizioni che li prevedono; i premi e le vincite di cui alla lettera dell'art. 67, cit., "costituiscono reddito per l'intero ammontare percepito nel periodo di imposta, senza alcuna deduzione" (art. 69, comma 1, TUID). Il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 30, "Ritenuta sui premi e sulle vincite" stabiliva quanto segue: "(1) I premi derivanti da operazioni a premio assegnati a soggetti per i quali gli stessi assumono rilevanza reddituale ai sensi dell'art. 6 del testo unico delle imposte sui redditi, approvato con D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, gli altri premi comunque diversi da quelli su titoli e le vincite derivanti dalla sorte, da giuochi di abilità, quelli derivanti da concorsi a premio, da pronostici e da scommesse, corrisposti dallo Stato, da persone giuridiche pubbliche o private e dai soggetti indicati nel comma 1 dell'art. 23, sono soggetti a una ritenuta alla fonte a titolo di imposta, con facoltà di rivalsa, con esclusione dei casi in cui altre disposizioni già prevedano l'applicazione di ritenute alla fonte. Le ritenute alla fonte non si applicano se il valore complessivo dei premi derivanti da operazioni a premio attribuiti nel periodo d'imposta dal sostituto d'imposta al medesimo soggetto non supera l'importo di lire 50.000; se il detto valore è superiore al citato limite, lo stesso è assoggettato interamente a ritenuta. Le disposizioni del periodo precedente non si applicano con riferimento ai premi che concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente. (2) L'aliquota della ritenuta è stabilita nel dieci per cento per i premi delle lotterie, tombole, pesche o banchi di beneficenza autorizzati a favore di enti e comitati di beneficenza, nel venti per cento sui premi dei giuochi svolti in occasione di spettacoli radio-televisivi, competizioni sportive o manifestazioni di qualsiasi altro genere nei quali i partecipanti si sottopongono a prove basate sull'abilità o sull'alea o su entrambe, nel venticinque per cento in ogni altro caso. (...) (4) La ritenuta sulle vincite e sui premi del lotto, delle lotterie nazionali, dei giuochi di abilità e dei concorsi pronostici esercitati dallo Stato, è compresa nel prelievo operato dallo Stato, in applicazione delle regole stabilite dalla legge per ognuna di tali attività di giuoco. (5) La ritenuta sulle vincite dei giuochi di abilità e dei concorsi pronostici.
esercitati dal Comitato olimpico nazionale italiano e dalla Unione nazionale incremento razze equine è compresa nell'imposta unica prevista dalle leggi vigenti.
(6) L'imposta sulle vincite nelle scommesse al totalizzatore ed al libro è compresa nell'importo dei diritti erariali dovuti a norma di legge. (7) La ritenuta sulle vincite corrisposte dalle case da gioco autorizzate è compresa nell'imposta sugli spettacoli di cui al D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 640, art. 3". Il D.P.R. n. 640 del 1972 assoggetta ad imposta gli intrattenimenti, i giochi e le altre attività indicati nella tariffa allegata al presente decreto, che si svolgono nel territorio dello Stato (art. 1). Soggetto di imposta è "chiunque organizza gli intrattenimenti e le altre attività di cui alla tariffa allegata al presente decreto ovvero esercita case da gioco. 2. Nei casi in cui l'esercizio di case da gioco è riservato per legge ad un ente pubblico, questi è soggetto d'imposta anche se ne delega ad altri la gestione". Ai sensi del D.P.R. n. 640 del 1972, art. 3, comma 4, "per le case da gioco la base imponibile è costituita giornalmente dalla differenza attività fra le somme introitate per i giochi e quelle pagate ai giocatori per le vincite e da qualsiasi altro introito connesso all'esercizio del gioco".
Dunque, in base al combinato disposto di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 67, comma 1, lett. d), art. 69, comma 1, TUID, e art. 30, comma 7, le vincite corrisposte dalle case da gioco costituivano "redditi diversi" soggetti alla ritenuta alla fonte nella misura del venti per cento; se le vincite erano corrisposte da case da gioco italiane, l'imposta era compresa in quella sostitutiva dovuta dalla casa da gioco ed assolta direttamente ed esclusivamente da essa.
2.2.A mutare il quadro è intervenuta la Corte di Giustizia dell'Unione Europea che, con sentenza del 22 ottobre 2014 pronunciata nelle cause riunite C-344/13 e C-367/13, Blanco e Fabretti, aventi ad oggetto alcune domande di pronuncia pregiudiziale proposte ai sensi dell'art. 267 TFUE dalla Commissione tributaria provinciale di Roma, ha stabilito che "gli artt. 52 e 56 TFUE devono essere interpretati nel senso che ostano alla normativa di uno Stato membro, la quale assoggetti all'imposta sul reddito le vincite da giochi d'azzardo realizzate in case da gioco situate in altri Stati membri, ed esoneri invece dall'imposta suddetta redditi simili allorchè provengono da case da gioco situate nel territorio nazionale di tale Stato".
Nel ribadire un principio già affermato da una precedente sentenza del 13/11/2003, n. C-42/02, Lindman, secondo la quale, pur rientrando la materia delle imposte dirette nella competenza degli Stati membri, questi ultimi devono tuttavia esercitare tale competenza nel rispetto del diritto comunitario, vietando l'art. 49 CE (oggi 56 TFUE) "non solo qualsiasi discriminazione, basata sulla cittadinanza, di un prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro, ma anche qualsiasi restrizione e qualsiasi ostacolo alla libera prestazione dei servizi, anche qualora esse si applichino indistintamente ai prestatori nazionali e a quelli stabiliti in altri Stati membri", la CGUE precisa che "la libera prestazione dei servizi prevista dall'art. 56 TFUE esige non soltanto l'eliminazione nei confronti del prestatore di servizi stabilito in un altro Stato membro di qualsiasi discriminazione fondata sulla sua cittadinanza, ma anche la soppressione di qualsiasi restrizione - ancorchè applicabile indistintamente ai prestatori nazionali e a quelli degli altri Stati membri - quando è idonea a vietare, a ostacolare o a rendere meno attraenti le attività del prestatore stabilito in un altro Stato membro, dove egli fornisce legittimamente servizi analoghi". Le disposizioni del Trattato FUE relative alla libera prestazione dei servizi - aggiunge - "si applicano (...) ad un'attività che consista nel permettere agli utilizzatori di partecipare, dietro corrispettivo, a un gioco d'azzardo e della libertà di prestazione dei servizi beneficiano tanto il prestatore quanto il destinatario dei servizi". La normativa italiana, osserva la CGUE, "assoggetta le vincite realizzate in case da gioco situate in Italia ad un'imposizione alla fonte che consiste nel tassare tali stabilimenti. Più precisamente, le vincite conseguite nelle case da gioco nazionali costituiscono l'oggetto di una ritenuta calcolata in base alla differenza tra le somme incassate per i giochi e quelle versate ai giocatori per le vincite realizzate". Il governo italiano aveva precisato che le vincite ottenute nelle case da gioco situate in Italia erano esonerate dall'imposta sul reddito al fine di evitare una doppia imposizione sulle medesime somme, ossia a monte, in capo alla casa da gioco, e a valle, in capo al giocatore. Per contro, le vincite da giochi d'azzardo conseguite in case da gioco stabilite all'estero erano considerate come redditi da inserire nella corrispondente dichiarazione ed essere dunque assoggettati all'imposta sul reddito. Tale normativa - osserva la CGUE - "riservando il beneficio di un'esenzione dall'imposta sul reddito alle sole vincite al gioco realizzate nello Stato membro interessato, assoggetta la prestazione di servizi costituita dall'organizzazione, dietro corrispettivo, di giochi d'azzardo ad un regime fiscale differente a seconda che essa venga svolta nello Stato suddetto oppure in altri Stati membri. Inoltre... una differenza di trattamento fiscale, per effetto della quale soltanto le vincite al gioco conseguite in un altro Stato membro sono considerate redditi assoggettati ad imposizione, riduce l'attrattività di uno spostamento in un altro Stato membro allo scopo di giocare a giochi d'azzardo. Infatti, i destinatari dei servizi in questione che risiedono nello Stato membro in cui vige una siffatta differenza di trattamento sono dissuasi dal partecipare a giochi del genere i cui organizzatori siano stabiliti in altri Stati membri, in considerazione dell'importanza che riveste per loro la possibilità di ottenere delle esenzioni fiscali (...) Il fatto che i prestatori di giochi stabiliti in tale Stato membro siano assoggettati all'imposta in quanto organizzatori di giochi d'azzardo non priva la normativa in esame nei procedimenti principali del suo carattere manifestamente discriminatorio, dal momento che detta imposta non è analoga all'imposta sul reddito che colpisce le vincite provenienti dalla partecipazione dei contribuenti ai giochi d'azzardo organizzati in altri Stati membri. Pertanto, una normativa nazionale come quella in esame nei procedimenti principali genera una restrizione discriminatoria della libera prestazione dei servizi, quale garantita dall'art. 56 TFUE, nei confronti non soltanto dei prestatori ma anche dei destinatari di tali servizi". Tale discriminazione non è giustificata - per le ragioni ampiamente indicare dalla CGUE nei punti 35-46 della sentenza - da nessuno dei motivi indicati dall'art. 52 TFUE. 2.3.Con L. 7 luglio 2016, n. 122, il legislatore è intervenuto in modo definitivo per adeguare al principio sovrannazionale della libertà di stabilimento la normativa interna in materia di tassazione delle vincite corrisposte dalle case da gioco. In particolare, l'art. 6, significativamente intitolato "Disposizioni in materia di tassazione delle vincite da gioco. Esecuzione della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione Europea 22 ottobre 2014 nelle cause riunite C-344/13 e C367/13. Caso EU Pilot 5571/13/TAXU", ha abrogato il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 30, u.c., ed ha contestualmente modificato l'art. 69 TUID inserendovi il comma 1-bis. Per effetto di tale intervento, l'art. 69 attualmente recita: ""1. Fatte salve le disposizioni di cui al comma 1-bis, i premi e le vincite di cui alla lettera d) del comma 1 dell'art. 67 costituiscono reddito per l'intero ammontare percepito nel periodo di imposta, senza alcuna deduzione. 1-bis. Le vincite corrisposte da case da gioco autorizzate nello Stato o negli altri Stati membri dell'Unione Europea o in uno Stato aderente all'Accordo sullo Spazio economico Europeo non concorrono a formare il reddito per l'intero ammontare percepito nel periodo di imposta". Resta invariato il comma 2 che non ha rilevanza nel caso di specie.
2.4. Attualmente, dunque, e nel periodo di imposta oggetto di odierna regiudicanda, le vincite corrisposte dalle case da gioco autorizzate nello Stato o negli altri Stati membri dell'Unione Europea o in uno Stato aderente all'Accordo sullo Spazio economico Europeo non concorrono a formare il reddito e non sono soggetti ad alcun prelievo alla fonte. Il Principato di Monaco non è uno Stato membro dell'Unione Europea e non aderisce all'Accordo sullo Spazio economico Europeo, ed anzi, come correttamente osservato dalla Corte di appello, è uno Stato con regime fiscale privilegiato ai sensi del D.M. Min. Fin. 4 maggio 1999, art. 1.
In conclusione, le vincite corrisposte da case da gioco situate al di fuori dello Stato italiano o degli altri Stati membri dell'Unione Europea o aderenti allo Spazio economico Europeo "costituiscono reddito per l'intero ammontare percepito nel periodo di imposta, senza alcuna deduzione" (art. 69, comma 1, TUID), e senza alcuna ritenuta alla fonte (D.P.R. n. 600 del 1973, art. 30). L'inapplicabilità, alle vincite corrisposte dalle case da gioco, dell'art. 30 cit. (quale conseguenza dell'abrogazione del suo ultimo comma) impedisce che tali somme siano soggette a tassazione secondo le aliquote ordinarie. L'abrogazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 30, u.c., esclude, infatti, l'applicabilità dell'aliquota del dieci per cento calcolata per determinare l'imposta comunque dovuta dalle case da gioco italiane ai sensi del D.P.R. n. 640 del 1972, art. 1.
2.5.La circostanza poi che l'Agenzia delle Entrate, nell'ambito delle prerogative che le competono in sede di accertamento con adesione, avesse sostanzialmente negoziato un abbattimento del 33% sulle somme corrisposte dalla casa da gioco monegasca a titolo di provvista che il contribuente aveva speso per poter giocare, non priva la vincita della sua qualificazione come "reddito diverso" interamente tassabile e certamente non ridonda a danno della logicità e della coerenza della motivazione della sentenza impugnata che non ha potuto che prendere atto di tale abbattimento. Si tratta, piuttosto, di una determinazione erariale che ha favorito il ricorrente diminuendo in modo consistente l'imponibile senza che ciò determinasse il mancato superamento delle soglie di punibilità.
2.6. Da tali premesse discende, a cascata, l'inconsistenza dell'ulteriore rilievo difensivo secondo il quale, citando la sentenza Libman della CGEU, i redditi non possono subire una discriminazione o un diverso regime a seconda dello Stato di provenienza ed i provvedimenti della Corte di Giustizia devono trovare generalizzata applicazione a prescindere dal luogo di produzione del cd. "reddito". Premesso che quello che viene messo in discussione non è il principio di non discriminazione dei cittadini dell'Unione, bensì di quello, assai diverso, della libertà di stabilimento, che invece consente ad ogni Stato membro dell'Unione Europea di sottoporre a forme di tassazione diversa i medesimi redditi in base al luogo di produzione purchè ciò non comporti alcun pregiudizio della libertà di stabilimento dei cittadini e delle imprese dell'Unione, non di cittadini e paesi ad essa estranei, va comunque rilevato che le imprese che hanno sede nel Principato di Monaco non possono avvalersi, non facendo parte tale Stato dell'Unione Europea, di un principio o di una norma di un ordinamento giuridico al quale non appartengono.
Nè la scelta del legislatore interno di mantenere il regime di tassazione piena delle vincite conseguite in Stati che non sono membri dell'Unione, non aderiscono all'Accordo SEE e hanno un regime fiscale privilegiato, appare irragionevolmente discriminatorio a danno dei propri contribuenti. A prescindere dalle evidenti ragioni prettamente fiscali, soccorre la necessità di prevenire il rischio di possibili forme incontrollabili di riciclaggio, autoriciclaggio, di fuga all'estero di capitali o di introduzione in Italia di capitali di incerta provenienza. Non vi è dunque alcuna violazione degli artt. 3 e 53 Cost. perchè l'intenzione di disincentivare la migrazione di capitali verso paesi a fiscalità privilegiata non è affatto irragionevole.
Nè vi è violazione dell'art. 21 CFDUE, posto che il diverso regime fiscale al quale sono soggette le vincite conseguite presso le case da gioco situate in Paesi terzi non è fondato su nessuna delle ragioni ivi indicate (sesso, razza, colore della pelle, origine etnica o sociale, caratteristiche genetiche, lingua, religione, convinzioni personali, opinioni politiche, appartenenza ad una minoranza nazionale, patrimonio, nascita, disabilità, età, orientamento sessuale del contribuente e/o dell'impresa che esercita la casa da gioco).
Nè è corretto evocare la violazione dell'art. 165 TUID, posto che il regime di tassazione delle vincite conseguite presso case da gioco di paesi terzi è stabilito dalla medesima legge e che il ricorrente non deduce di aver corrisposto al Principato di Monaco alcuna imposta a titolo definitivo sul reddito costituito dalla vincita, sicchè non ha diritto alla detrazione di imposta riconosciuto, a condizione di reciprocità, dall'art. 165, cit..
3. Il quarto motivo è generico ed infondato.
3.1.E' generico perchè non è chiaro cosa il ricorrente intende quando afferma che non si è tenuto conto della sanzione già irrogata all'esito del procedimento amministrativo, posto che la Corte di appello afferma chiaramente che le sanzioni complessivamente inflitte sono proporzionate alla complessiva gravità del fatto. Il ricorrente, infatti, è stato condannato al minimo della pena edittale prevista per il reato a lui ascritto limitatamente ad un solo anno di imposta. La Corte territoriale dà correttamente atto che gli anni di imposta in contestazione erano ben tre e che per due di essi è intervenuta declaratoria di estinzione del reato per prescrizione, mentre la sanzione amministrativa riguarda tutte le annualità. Sicchè la sua valutazione di congruità del complessivo trattamento sanzionatorio fonda su solide basi fattuali e razionali che il ricorrente non contesta.
3.2.E' infondato ove si consideri che l'art. 4 del Protocollo n. 7 alla Convenzione EDU non proibisce la litispendenza, ma il fatto che il secondo procedimento venga avviato dopo che il primo si è già concluso. Tuttavia, anche in caso di litispendenza, pur non essendo richiesto che i procedimenti (amministrativo e penale) siano condotti simultaneamente dall'inizio alla fine, è comunque necessario che vi sia tra essi una connessione stretta, tale da proteggere dall'incertezza nel ritardo e dal loro protrarsi nel tempo.
Il ricorrente lamenta che nel caso di specie il procedimento amministrativo si è definito in pochi mesi nel 2012 laddove quello penale è ancora pendente. Ma, a differenza del caso Johannesson e altri c/Islanda, espressamente citato dalla difesa, in cui la violazione del citato art. 4 si fondava sulla circostanza che i due procedimenti (amministrativo e penale), entrambi avviati per lo stesso fatto (evasione fiscale), avevano viaggiato in parallelo per poco più di un anno, a fronte di una durata complessiva dei due procedimenti di circa nove anni e tre mesi e che i contribuenti erano stati incriminati a distanza di oltre 15 mesi dalla conclusione del procedimento amministrativo e condannati ben quattro anni dopo la conclusione dello stesso (Sez. 1, n. 22007/11 del 18/05/2017), nel caso in esame, invece, il procedimento amministrativo si è definito in pochi mesi perchè il ricorrente ha prestato adesione all'accertamento evitando così di essere sostanzialmente "processato" e ricavandone vantaggi, non solo, come visto, in sede di ridefinizione dell'imponibile (abbattuto del 33%), ma anche in termini sanzionatori complessivi (avendone tenuto conto la Corte di appello ai fini dell'applicazione delle circostanze attenuanti generiche ed applicandosi una sanzione amministrativa pari a un terzo del minimo previsto dalla legge; D.Lgs. n. 218 del 1997, art. 2, comma 5). La diversa durata dei due procedimenti, dunque, è dovuta all'iniziativa del ricorrente che ha sostanzialmente ed immediatamente negoziato la definizione del procedimento amministrativo, non certo per l'inerzia dell'autorità giudiziaria.
Il ricorso deve, in conclusione, essere rigettato. Segue a tale esito la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali a norma dell'art. 616 c.p.p..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, il 27 agosto 2020.
Depositato in Cancelleria il 31 agosto 2020
27-09-2020 22:00
Richiedi una Consulenza