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Sentenza

Natura elusiva dell'operazione di fusione....
Natura elusiva dell'operazione di fusione.
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE DI MILANO

QUARANTUNESIMA SEZIONE

riunita con l'intervento dei Signori:

DEODATO GIACOMO - Presidente

CHIAMETTI GUIDO - Relatore

MORONI RICCARDOMARIA - Giudice

ha emesso la seguente

SENTENZA

- sul ricorso n. 3016/2014

depositato il 12/03/2014

- avverso AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (...) IRAP 2008

contro:

DIREZIONE REGIONALE LOMBARDIA UFFICIO CONTENZIOSO

proposto dal ricorrente:

B.I. S.P.A.

VIA M. 8 20811 C.M. M.

difeso da:

MARINO PROF. AVV. GIUSEPPE

STUDIO MARINO E ASSOCIATI

PIAZZA DIAZ, 5 20123 MILANO MI

- sul ricorso n. 3025/2014

depositato il 12/03/2014

- avverso AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (...) IRES-OP.STRAOR. 2008

- avverso AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (...) IRES-FISC.PRIV. 2008

- avverso AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (...) IRES-ALTRO 2008

contro:

DIREZIONE REGIONALE LOMBARDIA UFFICIO CONTENZIOSO

proposto dal ricorrente:

B.I. S.P.A. CON SOCIO UNICO

IN PROPRIO ED QUALITA' DI INCORPORANTE B.I. SRL

VIA M. 8 20811 C.M. M.

difeso da:

MARINO PROF. AVV. GIUSEPPE

STUDIO MARINO E ASSOCIATI

PIAZZA DIAZ, 5 20123 MILANO MI

PROCEDIMENTI RIUNITI PER CONNESSIONE OGGETTIVA E SOGGETTIVA



FATTO E DIRITTO

Con ricorsi depositati il 12 marzo 2014, la società ricorrente, "B.I. S.p.a.", contestava ed impugnava gli avvisi di accertamento in epigrafe emessi dall' Ufficio Grandi Contribuenti della Direzione Regionale della Lombardia. Gli atti impositivi de quibus, contenenti quattro diversi rilievi a carico della suddetta società, prendevano le mosse dal P.V.C., redatto dai militari della GdF in data 9 febbraio 2012 e notificato alla allora B. S.r.l., ora B.I. S.p.a. Di conseguenza la DRE della Lombardia, in data 9 agosto 2012 inviava alla società, il questionario n. Q00273/2012, con la richiesta di maggiori prove e documenti, in ordine alla verifica della sussistenza delle esimenti previste dall'art. 110, commi 10 e 11 del TUIR.

Nello specifico, l'ufficio recuperava a tassazione:

1) costi indeducibili per Euro. 1.949.616,00., a 'sensi dell'art. 6, comma 4, D.Lgs. n. 358 del 1997, art. 4, comma 1, D.Lgs. n. 344 del 2003 e art. 172 del TUIR;

2) costi indeducibili per Euro. 349.524,82., a'sensi dell'art. 172, comma 2 del TUIR;

3) costi indeducibili per Euro. 60.025,00., a'sensi dell'art. 110, comma 10 del TUIR;

4) costi indeducibili per Euro. 23.701.833,00., a'sensi dell'art. 110, comma 7, e art. 9, comma 3, del TUIR.

In diritto e in via preliminare ed assorbente la società eccepiva l'illegittimità dell'avviso per violazione dell'art. 41-bis del D.P.R. n. 600 del 1973. Evidenziava come gli avvisi quivi impugnati non erano conformi al c.d. accertamento parziale, in quanto tale metodo accertativo era esperibile solo sulla base di elementi derivanti da una segnalazione esterna, elementi che dovevano essere immediatamente utilizzabili. L'ufficio rispondeva a tale eccezione ricordando che tale tipo di accertamento era un'alternativa a quello ordinario e che, comunque, non precludeva ulteriori azioni accertatrici. Aggiungeva che gli elementi probatori, immediatamente utilizzabili, scaturivano da due PVC e da tre questionari inviati alla parte e che l'ufficio aveva il potere di scegliere, ai fini della convenienza dell'Erario, quale tipo di accertamento utilizzare e anche quando far scattare lo stesso. Concludeva tale punto adducendo che l'ambito applicativo e la portata operativa dell'accertamento parziale erano state sensibilmente ampliati e ciò comportava, in linea teorica, la qualifica di qualunque accertamento mosso dagli uffici finanziari come accertamento parziale.

Sempre in diritto e in via preliminare ed assorbente la società eccepiva l'illegittimità degli avvisi per violazione dell'art. 37-bis, comma 4, del D.P.R. n. 600 del 1973, in quanto la stessa non era stata invitata a fornire chiarimenti in ordine alla presunta natura elusiva dell'operazione di fusione i cui effetti sono stati disconosciuti dall'amministrazione finanziaria. L'ufficio con proprie controdeduzioni, evidenziava come il suo comportamento era stato perfettamente aderente ai dettami di legge avendo, sin dal principio, ottemperato a quanto prescritto.

Ancora, in diritto e in via preliminare eccepiva la violazione dell'art. 12, comma 7 della L. n. 212 del 2000, violazione dell'art. 42 del D.P.R. n. 600 del 1973 e l'assenza di un apposito processo verbale di constatazione, nonché l'attivazione di una effettiva e sostanziale procedura di contradditorio con il contribuente. A riguardo lamentava il fatto che, l'ufficio doveva attendere almeno 60 giorni dalla conclusione delle operazioni di verifica per consentire al soggetto controllato di formulare apposite memorie difensiva. Da qui invocava l'annullamento degli atti, in quanto viziati da un insanabile vizio di legittimità.

1) In riferimento al primo rilievo effettuato dall'ufficio, riguardava l'indeducibilità per Euro. 1.949.616,11 dell'ammortamento dei maggiori valori iscritti a bilancio a seguito dell'operazione di fusione mediante incorporazione di "B.A. S.p.A.", deliberata il 27 aprile 2004.

Il rilievo in questione, concerneva l'indeducibilità dell'ammortamento (quota parte) del disavanzo da annullamento derivante dall'operazione da fusione mediante incorporazione di "B.A. S.p.A." nella ricorrente. La contestazione veniva effettuata sulla base del convincimento, da parte dei verificatori, del fatto che la società non avesse correttamente compilato, in dichiarazione dei redditi, gli appositi righi che permettevano di optare per il riconoscimento fiscale dei maggiori valori iscritti a bilancio a seguito dell'imputazione del disavanzo da annullamento delle partecipazioni della società incorporanda (c.d. affrancamento gratuito), in applicazione dell'art. 172 del TUIR.

La società ricorrente, in riferimento alla prima ripresa fiscale, 1) di Euro. 1.949.616,11., eccepiva l'illegittimità del rilievo, attesa l'abrogazione dell'art. 6 del D.Lgs. n. 358 del 1997 e considerata la manifestazione di volontà, palesata dalla stessa ricorrente, di godere del riconoscimento fiscale a seguito dell'operazione di fusione mediante incorporazione, del disavanzo da annullamento delle azioni della società incorporanda "B.A. S.p.A.". Evidenziava come, a seguito dell'avvenuta abrogazione del citato articolo 6, la ricorrente non era più tenuta alla compilazione dei righi RR24 e RR29 della dichiarazione dei redditi. Citava sentenze di merito conformi. Sempre in riferimento alla prima ripresa fiscale, la società lamentava l'inesistenza di un'operazione elusiva a'sensi dell'art. 37-bis, D.P.R. n. 600 del 1973, attesa la presenza di valide ragioni economiche sottese alla contestata operazione di fusione, nonché considerata l'assenza di aggiramento di obblighi e divieti previsti dall'ordinamento e l'assenza di un indebito risparmio di imposta. Nel caso di specie, la società precisava che la fusione tra "B.A. S.p.A." e la stessa B.I. rispecchiava esattamente le politiche di espansione del G.B.. Esso infatti prima acquisiva società estranee al G., leader nel mercato di appartenenza o portatrici di know-how esclusivo (nel caso in oggetto la "C.A. S.p.A., poi divenuta B.A. S.p.A.) e successivamente le fondeva per incorporazione in società del G.. Ciò al fine di sfruttare economie di scala che permettevano di aumentare i ricavi e di ridurre i costi.

Vi erano quindi, a detta della ricorrente, tutti i presupposti affinché fossero presenti valide ragioni economiche, senza che vi fosse stato un aggiramento di obblighi e divieti.

In riferimento al primo rilievo, riguardante la ripresa a tassazione di costi indeducibili per Euro. 1.949.616,11., l'ufficio precisava che esso era riconducibile alla quota di un diciottesimo, per l'anno 2006, dell'ammortamento del disavanzo da annullamento della partecipazione, imputato dalla società ad avviamento e derivante dalla fusione tra le società "B.I. S.p.A." e "B.A. S.p.A.", pari a complessivi Euro.35.093.090,00..

L'ufficio, dal momento che la società non aveva manifestato, in sede di dichiarazione, a'sensi dell'art. 6, comma 4 la volontà di usufruire della disposizione agevolativi di cui al comma 2, spiegava di aver ritenuto applicabile al caso di specie l'art. 172, comma 2 del TUIR, secondo il quale, nella determinazione del reddito della società risultante dalla fusione, non si teneva conto del disavanzo iscritto in bilancio per effetto dell'annullamento della azioni o quote.

Non avendo pertanto la società provveduto ad effettuare una variazione in aumento corrispondente alla quota di ammortamento calcolata sui maggiori valori iscritti in bilancio a seguito della fusione, l'ufficio precisava di aver correttamente recuperato a tassazione il corrispondente importo pari ad Euro. 1.949.616,11..

Sull'asserita abrogazione dell'art. 6, comma 4, D.Lgs. n. 358 del 1997, l'Ade riteneva che la norma transitoria contenuta nell'art. 4, comma 1, lett. a), D.Lgs. n. 344 del 2003 avesse mantenuto ferma l'applicazione del suddetto articolo 6, relativamente alle operazioni di fusione e scissione.

Oltre a ciò, l'ufficio riteneva che l'operazione di fusione realizzata da B.I. S.p.A., non fosse supportata da valide ragioni economiche, ma, ex adverso, era volta esclusivamente a perseguire un vantaggio meramente fiscale. Ciò, a suo dire, rendeva l'intera operazione inopponibile al Fisco, a'sensi dell'art. 37-bis, in quanto atto privo di valide ragioni economiche, diretto ad aggirare obblighi e divieti e ad ottenere riduzioni di imposta altrimenti indebiti.

A tal proposito l'ufficio precisava che l'intera operazione di fusione era avvenuta tramite una prima acquisizione, da parte di B.I. S.p.A., delle partecipazioni di B.A. con pagamento mediante addebito in conto cash pooling; successiva delibera di fusione per incorporazione di B.A. in B.I. S.p.A.; successivo ottenimento di un prestito da una società del gruppo di diritto belga, al fine di ripianare il saldo negativo del conto di cash pooling; ed infine, con attuazione della fusione in contestazione, il tutto sottolineava l'agenzia avveniva in un breve lasso di tempo.

Osservava a tal riguardo la D.R.E. che, il gruppo avrebbe potuto raggiungere lo stesso risultato anziché attraverso l'acquisto delle partecipazioni ed il conseguente indebitamento, mediante una semplice e più lineare operazione di fusione diretta delle società coinvolte, con contestuale aumento di capitale sociale di B.I. S.p.A. e assegnazione delle azioni a B. AG in base al rapporto di concambio.

Operazione questa che, a detta dell'ufficio, non avrebbe comportato neppure la necessità di ricorrere al finanziamento con conseguente onere di pagamento dei relativi ed ingenti interessi passivi. Ma l'ufficio, sottolineava che questa seconda soluzione non avrebbe permesso al gruppo di generare alcun disavanzo da annullamento ma, semmai, un eventuale disavanzo da concambio, fiscalmente irrilevante sia a'sensi dell'art. 6, D.Lgs. n. 35 del 1997, sia dell'art. 172, comma 2 del TUIR. Sulla eccepita sussistenza delle valide ragioni economiche, l'Agenzia eccepiva l'infondatezza delle argomentazioni di controparte. Evidenziava infatti che già prima della fusione vi erano "economia di scala" tra le società poi fuse e che, pertanto, l'operazione posta in essere non era certamente finalizzata a tale scopo. L'ufficio quindi precisava di contestare non l'operazione di fusione in sé, bensì l'intero disegno realizzato secondo modalità elusive.

Riteneva altresì violati i restanti requisiti contenuti nel dettato normativo, e costituiti dall'aggiramento di obblighi e divieti previsti dall'ordinamento e dall'indebito risparmio di imposta, ovverosia il vantaggio fiscale derivante dall'operazione effettuata.

2) Indeducibilità di Euro. 349.524,82., non avendo la ricorrente, a giudizio dei verificatori, domandato in dichiarazione dei redditi l'applicazione delle disposizioni di cui al citato art. 6, commi 1 e 2, D.Lgs. n. 358 del 1997, comportamento che avrebbe impedito di tener conto del disavanzo iscritto a bilancio per effetto dell'annullamento delle azioni derivanti dalla operazione di fusione, mediante incorporazione, di "B.E. S.p.A." in "B.I. S.p.A.".

In proposito, la ricorrente contestava integralmente la ripresa sulla base del fatto che era intervenuta l'abrogazione dell'art. 6, comma 4, D.Lgs. n. 358 del 1997, norma sulla quale poggiava interamente la ripresa a tassazione de qua.

Eccepiva riguardo tale rilievo, la violazione dell'art. 10 della L. n. 212 del 2000, a norma della quale era possibile la ritrattabilità della dichiarazione dei redditi, in quanto dichiarazione di scienza. Infine, in via subordinata, parte ricorrente precisava che, anche nell'ipotesi in cui la dichiarazione dei redditi rivestisse la natura di dichiarazione di volontà negoziale e, in quanto tale, ritrattabile solo in presenza di un vizio del consenso, detto vizio della volontà si era comunque verificato nella fattispecie in esame. Sempre in riferimento al secondo rilievo, relativo a costi indeducibili per Euro. 349.524,82., la società eccepiva l'illegittimità e l'infondatezza dello stesso, atteso l'errore macroscopico di lettura commesso dal sistema informatico dell'Ade.

Precisava, infatti, che la ripresa de qua riguardava il mancato riconoscimento, da parte dell'A.F., dell'ammortamento dedotto dalla contribuente, non avendo essa compilato alcuni righi del quadro RN della dichiarazione elettronica, pur avendoli essa redatti nella dichiarazione cartacea. Con tale rettifica, dunque, veniva contestata alla parte la presunta omessa richiesta, in sede di dichiarazione dei redditi, dell'applicazione del regime impositivo contenuto nell'art. 6, comma 2, già sopra citato ed abrogato.

Evidenziava, a tal proposito, che vi era comunque stata la manifestazione di volontà, palesata dalla società di godere del riconoscimento fiscale, a seguito dell'operazione di fusione mediante incorporazione del disavanzo da annullamento della azioni della incorporanda "B.E. S.p.A.".

La D.R.E. precisava che la ripresa era sostanzialmente simile a quella precedente, con la differenza che era riferita ad altra operazione di fusione posta in essere dalla ricorrente, e che era applicabile l'art. 172 del TUIR.

3) Indeducibilità di Euro. 60.025,00. relativi a costi ritenuti indeducibili in quanto derivanti da operazioni intercorse con soggetti residenti in Stati o territori aventi regime privilegiato (c.d. black list), la cui società, odierna ricorrente, non avrebbe prodotto la documentazione necessaria a scalfire la presunzione operata dal TUIR. Veniva, dunque, contestata la carenza dei requisiti previsti dall'art. 110 del TUIR, ai commi 10 e 11 ai fini della deducibilità dei suddetti costi.

In riferimento a tale ultimo rilievo, concernente il disconoscimento, a'sensi dell'art. 110, commi 10 e 11 del TUIR, di costi per Euro. 60.025,00., parte ricorrente lamentava l'illegittimità e l'infondatezza della pretesa fiscale.

In particolare, la società spiegava che i suddetti costi erano riferiti a transazioni commerciali intercorse tra la stessa ricorrente e alcune società di diritto straniero che svolgevano, effettivamente, un'attività commerciale e che le operazioni intercorse sono realmente avvenute, nonché connotate da un effettivo interesse economico. Eccepiva altresì l'illegittimità costituzionale dell'art. 110, comma 10 del TUIR, per violazione dell'art. 110 e 53, chiedeva a tal proposito, la sollevazione della questione di legittimità Costituzionale.

Sottolineava, inoltre, l'esistenza delle contestate transazioni e l'effettivo svolgimento di una prevalente attività commerciale da parte delle imprese estere, così come previsto dalla normativa in materia. Parte ricorrente ribadiva, a tal proposito, di aver correttamente documentato quanto affermato e quanto chiesto dall'Agenzia delle Entrate.

L'ufficio ribatteva considerando non idonea la documentazione prodotta in ossequio al questionario n. Q00273/2012 in quanto carente di elementi fondamentali che impedivano all'ufficio l'esame volto ad escludere che tali fornitori operassero come fornitori black list. Citava a riprova del suo operato la Circolare 18/E del 2002, dove indicava i documenti reputati idonei al fine di vincere la presunzione, relativa all'effettività e prevalenza dell'attività commerciale. Forniva ancora dei "consigli" per vincere la presunzione relativa alla concreta esecuzione e quella relativa alle valide ragioni economiche e riteneva allo stesso tempo non ricorrenti i requisiti per la ripresa de qua.

4) Con riferimento all'ultimo rilievo, componenti positivi non dichiarati per Euro. 23.701.833,00., a'sensi dell'art. 110, comma 7, e art. 9, comma 3, del TUIR l'ufficio procedeva a rettificare i componenti positivi di reddito, a suo dire, non dichiarati dalla società ricorrente relative ad operazioni di transfer pricing. Era sottolineata, nell'avviso, la presenza di disallineamenti tra i valori iscritti in bilancio e quelli riportati in Nota Integrativa. La società giustificava tal discrasia, riportata in Nota Integrativa, con la volontà di dare maggiore evidenza alle operazioni principali, l'ufficio gli addebitava la non corretta compilazione del questionario inviatole. Con tale questionario si richiedeva pure la comunicazione dell'adozione degli oneri documentali di cui all'art. 26 del D.L. n. 78 del 2010 e la documentazione in merito ai prezzi di trasferimento. La società non rispondeva e inviava delle sole linee guida interne, adottate dalla società, per la regolazione dei prezzi di trasferimento. L'ufficio non considerava idonea tale documentazione. Sulla base di questo procedeva ad effettuare uno studio proprio, ai fini della determinazione del valore normale, adottando il metodo del TNMM. Riguardo al solo settore produttivo, in quanto le operazioni afferenti quello distributivo erano state riconosciute effettuate a valore normale, l'ufficio rideterminava il valore dei componenti positivi di reddito, adottando come indice di redditività l'EBIT. La redditività così calcolata, si collocava al di sotto del primo quartile, in una distribuzione normale e, sulla base di ciò, giustificava la propria contestazione, in quanto non collocata sulla mediana.

La società ricorrente eccepiva l'infondatezza della pretesa in violazione dell'art. 110, comma 7, e art. 9, comma 3, del TUIR, dell'art. 7 della L. n. 212 del 2000, dell'art. 42 del D.P.R. n. 600 del 1973. Evidenziava altresì, l'assunzione di dati numerici e valori economici tanto errati quanto contraddittori, ciò in quanto l'importo di Euro. 239.249.496,00., da cui parte l'ufficio per rideterminare il valore normale della transazione, comprendeva il totale delle transazioni economiche svolte da B.I., non solo verso altre società del gruppo ma anche verso terzi, da qui, continuava la ricorrente, si aveva l'invalidazione di tutto l'assunto sul quale si basava la rideterminazione operata dall'ufficio, in quanto, la disciplina del transfer pricing non era adottabile tra società completamente indipendenti. In detto importo era ricompresa la somma pari a Euro. 193.079.658,79., che rappresentava il quantum complessivo ottenuto dalla vendita, sia alle società del gruppo sia a terzi, di metallo prezioso a prezzo di mercato e non si capiva, continuava la ricorrente, come la vendita di una commodity poteva essere considerata rilevante, ai fini dell'applicazione del TNMM. Evidenziava altresì, che tali errori potevano essere evitati se l'ufficio avesse debitamente analizzato la copiosa documentazione prodotta dalla società, in sede di risposta al questionario, ma che questo non era stato fatto. Aggiungeva ancora, che se la DRE avesse agito in modo informato avrebbe applicato il CUP, quale metodo più idoneo al fine di valutare il commercio di commodity e che, comunque, avrebbe avuto come base di partenza, non la somma di Euro. 239.249.496,00., ma Euro. 46.169.838,00., dato dalla differenza tra la Voce A di conto economico (Euro. 239.249.496,00.) e la quota di ricavi relative alla vendita di metallo prezioso (Euro. 193.079.658,78..). Concludeva tale ragionamento adducendo che l'importo così determinato era suscettibile di una nuova "depurazione" afferente le transazioni poste in essere con i terzi e che analogo ragionamento doveva essere impostato anche con riguardo ai costi al fine di addivenire ad un più completo quadro d'insieme. Sottolineava anche, a riprova della superficialità con cui l'ufficio aveva operato, di manifeste discrasie e incongruenze tra i medesimi prospetti in calce all'avviso utilizzati per il calcolo del valore normale. Concludeva aggiungendo che il settore "produzione" si differenziava ulteriormente in due settori completamente distinti - sotto il profilo dei processi, dei mercati di sbocco e con finalità diverse - uno "raffinazione" e l'altro "realizzazione dei catalizzatori" e questo ostava, ai fini dell'applicazione del TNMM, al confronto tramite un unico benchmark.

Eccepiva poi, sull'applicazione del TNMM, l'inidoneità delle "comparables". Preliminarmente evidenziava come l'ufficio non aveva, minimamente, contemplato il metodo CUP che è il metodo da preferire per questo genere di transazioni. Aggiungeva poi, la totale inadeguatezza del set di società oggetto del campione, in spregio alle Linee Guida OCSE che contengono una molteplicità di aspetti che debbono essere presi in considerazione. Citava della giurisprudenza laddove stabiliva che, l'errata individuazione delle comparabili, assume carattere assorbente portando alla nullità del rilievo formulato, in quanto era fondamentale individuare il corretto set di società comparabili. Le società selezionate differivano dalla tested party, in quanto operavano esclusivamente per il mercato italiano e che da quest'ultimo derivavano i maggiori ricavi. Situazione non calzante alle prerogative dell'odierna società ricorrente. Procedeva poi ad illustrare nello specifico le attività svolte dalle società selezionate evidenziandone le differenze rispetto alla ricorrente. Lamentava altresì la procedura di ricerca utilizzata nel database AIDA, nonché le enormi differenze di fatturato e numero di dipendenti tra lei stessa e le società campione, Lamentava ancora, l'illegittimità aprioristca, del tutto ingiustificato ed immotivato uso del valore mediano ai fini della determinazione del margine operativo netto. Continuava in merito, aggiungendo che le Linee Guida OCSE, non imponevano di fare riferimento esclusivamente alla mediana, ammettendo l'uso di differenti percentili. Sottolineava ancora, l'esistenza della possibilità di incorrere nella doppia imposizione, in materia di transfer pricing. Prospettava a riguardo la possibilità/opportunità di adire a tale diversa giurisdizione (Convenzione Europea 90/436/CEE) e allo stesso tempo invocava un atto di autotutela da parte dell'Ade.

L'ufficio, con proprie controdeduzioni, riportava integralmente il contenuto dell'avviso di accertamento ritenendo, dopo una disanima della disciplina, ricorrenti tutti i presupposti di ordine oggettivo e soggettivo, al caso di specie. Ribadiva a tale fine la correttezza del suo operato.Infine, in merito al provvedimento sanzionatorio, la società eccepiva l'illegittimità dello stesso, sotto il profilo del quantum, in quanto non teneva in considerazione l'irrogazione delle sanzioni effettuate con riguardo ai periodi di imposta 2004 e 2005. Evidenziava inoltre, a suo dire, la doverosa condanna della DRE alla rifusione delle spese processuali e dei danni, ex art. 96 c.p.c., ingiustamente patiti. L'ufficio in merito alle sanzioni, nulla eccepiva.

Alla luce di quanto eccepito e dedotto, la società ricorrente chiedeva la dichiarazione di illegittimità dell'atto impugnato e di tutti i rilievi ivi contenuti, con conseguente annullamento.

Con memorie del 18 settembre 2014, la società ricorrente controdeduceva, replicando alle prospettazioni proposte dall'ufficio. Precisava in modo deciso l'illegittimità dell'avviso per l'infondatezza del rilievo n. 4 (transfer pricing). Dava evidenza dell'avvenuta richiesta al Ministero dell'Economia e delle Finanze di attivazione della procedura arbitrale ex art. 6 della convenzione n. 90/436/CEE. Chiedeva infine, la conferma delle rassegnate conclusioni già proposte in fase di ricorso principale. In sede di udienza, è stato depositato atto di conciliazione extra giudiziale, ex art. 48 D.Lgs. n. 546 del 1992, intercorsa fra le parti, in riferimento al punto 4 dell'avviso di accertamento, con riguardo alla problematica del transfer pricing. Oltre a ciò sono state depositate le quietanze di pagamento delle rispettive imposte, modello F 24. Detti pagamenti sono avvenuti l' 11 dicembre 2015 per complessivi Euro 274.263,06 e per Euro 1.787.446,70.

I difensori hanno insistito nelle loro richieste ed eccezioni per i restanti rilievi non chiusi in via amministrativa.

La Sezione giudicante, riuniti i ricorsi per connessione soggettiva ed oggettiva, così decide.

RILIENO N. 1

Il rilievo viene annullato alla stregua delle seguenti motivazioni ed argomentazioni.

Come già illustrato nella premessa, l'ufficio ha ripreso l'importo di Euro 1.949.616,11, quale disavanzo di fusione delle azioni della società incorporanda B.A. SPA. L'ufficio ha fondato la rettifica del reddito d'impresa sull'erroneo convincimento che la società non avesse compilato, in sede di dichiarazione dei redditi, gli appositi righi RR24, col. 4, e RR29 che permettevano di optare per il riconoscimento fiscale dei maggiori valori iscritti in bilancio a seguito dell'imputazione del disavanzo da annullamento delle partecipazioni della società incorporanda - dovendosi, per l'effetto e a giudizio dell'ufficio, applicare l'art. 172, comma 2, del TUIR, in virtù del quale, nella determinazione del reddito della società incorporante, non si tiene conto del disavanzo iscritto in bilancio per effetto dell'annullamento delle azioni o quote. Ritiene questo Collegio che il ragionamento dell'ufficio si poggia sui una disposizione normativa abrogata all'epoca dei fatti in contestazione, vale a dire 2004. Va precisato che l'art. 3, comma 2, D.Lgs. n. 344 del 2012 dicembre 2003, ha abrogato il richiamato art. 6 del D.Lgs. n. 358 del 1997, applicandosi tale novella, a tutte le cessioni e ai conferimenti effettuati nonché alle operazioni di fusione e scissione perfezionate dopo il 31 dicembre 2003. Tenuto conto di quanto sopra, la società, al fine di beneficiare della richiamata disciplina in materia di deducibilità dei maggiori valori iscritti in bilancio a seguito della fusione, non era affatto tenuta alla compilazione dei discussi righi RR24 e RR29 della dichiarazione dei redditi, essendo stato giustappunto abolito tale adempimento. Come già detto, a seguito dell'intervenuta abrogazione dell'art. 6, comma 4, D.Lgs. n. 358 del 1997, norma sulla quale poggiava interamente la ripresa a tassazione de qua, questo consesso riconosce la correttezza dell'operato della società. Ebbene, la norma transitoria contenuta nell'art. 4, comma 1, lett. a, D.Lgs. n. 344 del 2003 non ha mantenuta ferma l'applicazione dell'art. 6 del D.Lgs. 8 ottobre 1997, n. 358, relativamente alle operazioni di fusione e scissione deliberate dalle assemblee delle società partecipanti al 30 aprile 2004.

Tenuto conto delle argomentazioni sopra riportate, per questo Giudice, l'operato dell'ufficio risulta essere non corretto, quindi, la ripresa operata dall'ente impositore nella misura di Euro 1.949.616,11, deve essere annullata.

Sulla ricorrenza delle validi ragioni economiche questo Giudice si accosta alla linea improntata dalla società e non all'interpretazione data dall'ufficio stesso. Infatti quest'ultimo, secondo la disciplina contenuta nell'art. 37 bis del D.P.R. n. 600 del 1973, non ha affermato che la fusione, quale operazione straordinaria di riorganizzazione societaria, non ha valide ragioni economiche, ma si è limitata solamente a distinguere quali tra le due possibili modalità di realizzazione della suddetta operazione possano o meno realizzare ragioni extrafiscali e, dunque essere o non considerate elusive. Lo schema ipotizzato dall'ufficio, che era quello "fusione per incorporazione mediante aumento del capitale sociale da sottoscriversi da B. AG ed attribuzione delle azioni da concambio, non avrebbe in alcun modo permesso alla società di integrare gli stessi risultati conseguiti con la contestata operazione.

L'impostazione seguita dalla società ha permesso alla stessa di poter esercitare congiuntamente l'opzione per la tassazione di gruppo, ossia il consolidato nazionale. Ritiene questo Collegio che l'operazione di fusione contestata non "fuoriesce da una logica economica", quindi, la fusione non ha rappresentato un sottile escamotage, con il quale la società ha inteso effettuare risparmi fiscali indebiti, ma al contrario, la stessa è stata un'operazione che corrisponde a pieno titolo a canoni di economicità, non essendo estranea all'operare di un gruppo, quale può essere B., come documentato, che storicamente è cresciuto, dimensionalmente, tramite acquisizioni di realtà aziendali esterne del gruppo e poi pienamente integrate all'interno dello stesso, mediante fusioni. Quindi, stando agli atti del processo, la società non ha posto in essere alcun aggiramento di norme, perché non vi è stato alcun risparmio di imposta - perché quand'anche, per assurdo, l'operazione elusa fosse quella indicata dall'ufficio, si sarebbero raggiunti risultati fiscalmente identici, per la strutturale inidoneità giuridica dell'operazione asseritamente elusa a generare disavanzi da concambio.

Ebbene, tenuto conto di quanto sopra e alla luce della copiosa documentazione prodotta, questo Giudice rileva l'assenza di qualsivoglia finalità elusiva nell'operazione di fusione, mediante incorporazione, intercorsa tra B.I. e B.A. SPA, ragion per cui, il rilievo viene annullato, perché infondato, anche per violazione dell'art. 37 bis, commi 4 e 5, D.P.R. n. 600 del 1973.

RILIEVO N. 2

Tale rilievo consiste nel fatto che l'ufficio ha contestato all'odierna ricorrente la presunta omessa richiesta, in sede di dichiarazione dei redditi, dell'applicazione del regime impositivo contenuto nell'art. 6, comma 2, del più volte citato D.Lgs. n. 358 del 1997, regime che avrebbe permesso alla società di dar rilievo ai maggiori valori iscritti in bilancio per effetto dell'operazione di fusione, mediante incorporazione, intercorsa nell'anno 1998, tra B.I. SPA e B.E. SPA. In buona sostanza l'ufficio non poteva disconoscere l'ammortamento per un importo di Euro 349.524,82, dedotto dalla contribuente, non avendo essa compilato i righi RN22, RN28 col. 4 e RN29 della dichiarazione fiscale elettronica, pur avendoli essa compilati nella dichiarazione cartacea. Come ben si vede è un mero obbligo compilativo a carico del contribuente, idoneo a dar contezza all'amministrazione finanziaria dell'ammontare dei maggiori valori di cui la società ha chiesto il riconoscimento fiscale. Risulta agli atti che la società, già in sede di verifica aveva dimostrato il proprio operato mediante l'esibizione del cartaceo. Si legge nel ricorso che trattasi di un errore di lettura del sistema informatico che ha invertito la lettura delle colonne della dichiarazione dei redditi. Tenendo conto di ciò, l'ufficio aveva la possibilità di ricostruire i valori di cui la società chiedeva il riconoscimento fiscale, essendo già richiamati nel quadro RH della stessa dichiarazione. Poiché c'è uno stretto legame fra il rilievo di cui al punto precedente con quello attuale e, per di più essendo stata annullata la ripresa precedente, viene di conseguenza annullata anche la presente ripresa.

RILIEVO N. 3

Per il rilievo in esame, l'ufficio ha contestato, a' sensi dell'art. 110, comma 10 TUIR la deducibilità dei costi, per un ammontare complessivo di Euro 60.025,00, sostenuti dalla ricorrente e derivanti da transazioni commerciali intercorse tra B.I. e tre società di diritto elvetico - quali: C.S. A.G., A.A. A. G. e I.L. S.A., e tra B.I. e la società H.P.L., residente a H. K..

Nel caso delle tre società svizzere, questo giudice rileva che nel caso de quo, trova piena applicazione il paragrafo 3 dell'art. 25 della Convenzione contro le doppie imposizioni siglata tra Italia e confederazione Elvetica, nel solco di quel principio di non discriminazione postulato dall'art. 24, par. 4 del modello OCSE di Convenzione contro le doppie imposizioni, disposte che "...le spese pagate da un'impresa di uno Stato contraente ad un residente di un altro Stato contraente sono deducibili ai fini della determinazione degli utili di detta impresa, nelle stesse condizioni in cui sarebbero deducibili se fossero pagati ad un residente del primo Stato".

Va da sé che la Convenzione siglata tra Italia e Confederazione Elvetica, in materia di contrasto alla doppia imposizione internazionale, prevale in via generale sulla disciplina interna. Nonostante questo, l'odierna ricorrente ha ampiamente documentato la posizione di ogni singolo fornitore. Per C.S. è stata prodotta la certificazione fiscale ai fini dell'assoggettamento alle imposte cantonali, federali e comunali, senza esenzioni, deduzioni e agevolazioni. E' stata prodotta dall'odierna ricorrente altra documentazione riguardante il cambiamento di denominazione sociale avvenuta nel frattempo. La ricorrente ha altresì spiegato, fra le altre cose, che la società elvetica sopra citata offre un'elevata qualità dei prodotti, vale a dire, è puntuale nella consegna della merce e pratica dei prezzi assolutamente competitivi che permettono all'odierna ricorrente un notevole risparmio rispetto agli acquisti effettuati presso altro fornitore. Sono queste le ragioni per le quali i costi in esami vengono considerati deducibili. Spesso discorso vale per gli altri fornitori, i cui importi sono più limitati rispetto al fornitore sopra richiamato. Anche per tali cifre alquanto irrisorie, la società ha documentato le fatture di acquisto, i bonifici di pagamento ed altro ancora. Tenuto conto di quanto sopra, la ripresa viene annullata tout court.

RILIEVO N. 4

In sede di udienza, è stato depositato atto di conciliazione extra giudiziale, ex art. 48 D.Lgs. n. 546 del 1992, intercorsa fra le parti, in riferimento al punto 4 dell'avviso di accertamento, con riguardo alla problematica del transfer pricing. Oltre a ciò sono state depositate le quietanze di pagamento delle rispettive imposte, modello F 24. Detti pagamenti sono avvenuti l'11 dicembre 2015 per complessivi Euro 274.263,06 e per Euro 1.787.446,70.

Tenuto conto di quanto sopra, questo Giudice, per il rilievo in questione, dichiara cessata la materia del contendere.

SPESE DI GIUDIZIO

Tenuto conto della peculiarità del caso, le spese di giudizio vengono compensate fra le parti stesse.

Il Collegio giudicante



P.Q.M.

accoglie i ricorsi riuniti ed annulla i rilievi n. 1,2 e 3. Il rilievo n. 4 è chiuso con conciliazione ed è quindi cessata la materia del contendere. Spese compensate.

Milano, il 16 dicembre 2015.
Avv. Antonino Sugamele

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