Avviso di accertamento - (motivazione) Avviso di accertamento - Motivazione per relationem - Dati extratestuali - Documenti - Necessaria produzione
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI PALERMO
TRENTESIMA SEZIONE
riunita con l'intervento dei Signori:
PILLITTERI SALVATORE - Presidente
CORSINI EDOARDO - Relatore
ILARDA GIOVANNI - Giudice
ha emesso la seguente
SENTENZA
- sull'appello n. 5468/2012
depositato il 22/10/2012
- avverso la sentenza n. 342/2011 Sez:1 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale d(///) PALERMO
contro:
F.LLI L. & C. SAS DI L.A.
CONTRADA P. C. 11 90045 C.
difeso da:
ARCUDI AVV. DOMENICO
C/O STUDIO AVV.PROF.PARLATO
VIA CATANIA N.42 90141 PALERMO
proposto dall'appellante:
AG.ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE PALERMO
Atti impugnati:
AVVISO DI ACCERTAMENTO n. (...) IVA-OP.IMPONIB. 1995
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale di Palermo, depositato il 14.8.2000, la "F.lli L. e c. sas", di L.A., contrada Piano Cavoli -Cinisi, esercente l'attività di commercio all'ingrosso di bestiame, di carni macellate, di mangimi e farinacei di ogni tipo, ed il socio accomandatario, sig. L.A., difesi dall'avv. Domenico Arcudi elettivamente domiciliati presso lo studio dell'avv. prof. Andrea Parlato, impugnavano l'avviso di rettifica n.(...), notificato il 24.5.2000, con la quale l'Ufficio IVA di Palermo, recuperava a tassazione l'indebita detrazione d'imposta di Euro 6.395,80 per l'anno di imposta 1995, oltre alle conseguenti sanzioni.
Detto di accertamento scaturiva da una verifica fiscale eseguita dalla Guardia di Finanza - Tenenza di Partinico-, su segnalazione del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Milano, e conclusa con verbale di constatazione in data il 3.12.1998.
I verbalizzanti riscontravano varie irregolarità relativamente ad un meccanismo fraudolento, realizzato dalla ditta "T. s.a.s. di B.R. e c." di Milano, attraverso il quale, alcune ditte italiane, tra cui la ricorrente, avrebbero ricevuto animali vivi, provenienti da operatori comunitari, per mezzo della T., in violazione della normativa sull'IVA comunitaria.
In particolare, i verbalizzanti, pur avendo riscontrato presso i locali della società L. la presenza degli animali indicati nelle fatture contestate, hanno ritenuto che le fatture emesse dalla T. fossero relative ad operazioni inesistenti quanto al profilo soggettivo, non provenendo gli animali in fattura dalla ditta T., ed hanno disconosciuto la detraibilità dell'IVA.
Con il ricorso la società contribuente rilevava diversi profili di illegittimità ed errori, chiedendo, in via preliminare, l'annullamento dell'accertamento per difetto di motivazione, e sostenendo nel merito l'infondatezza della pretesa erariale, atteso che la contestazione dei verbalizzanti riguardava fatture soggettivamente ed oggettivamente vere, e che il destinatario doveva limitarsi a verificare che i beni acquistati corrispondessero a quelli consegnati, provvedendo al loro pagamento, come risulta documentalmente dimostrato.
Pere(///)tro, le eventuali azioni fraudolente poste in essere dalla T. non erano imputabili alla ricorrente, che aveva intrattenuto con la stessa rapporti in buona fede.
L'Ufficio IVA non si costituì, e, con sentenza n. 342/01/11 del 6.6.2011- 13- 7 -2011, l'adita Commissione Tributaria Provinciale di Palermo accoglieva il ricorso ed annullava l'avviso impugnato, compensando le spese processuali. Avverso a questa sentenza, l'Agenzia delle Entrate di Palermo, ha proposto appello, con ricorso a questa Commissione Tributaria Regionale in data 22.10.2002, chiedendone la riforma, in quanto legittimo l'avviso di rettifica impugnato, nonché infondati gli elementi posti a fondamento della sentenza di primo grado, perchè frutto di un'ingiusta valutazione dei fatti, con vittoria di spese di entrambi gradi del giudizio.
Depositava copia di 1 sentenza tributaria favorevole all'ufficio (CTR Palermo, sez.14 n.96/14/2006 del 16.10.2006 avverso avviso di accertamento ILOR-IRPEF, anno 1995).
La società L. si è costituita con controdeduzioni, in data 21.3.2014, eccependo, in via preliminare, l'illegittimità ed l'inammissibilità dell'appello formulata dall'Ufficio ex art.53 D.Lgs. n. 546 del 2009, chiedendone il rigetto e la condanna dell'appellante al pagamento delle spese processuali.
Depositava alcune sentenze della C.T.R. (n.124/12 e n. 123/12) e della C.T.P. (n.429/13) favorevoli.
Alla pubblica udienza del 16.11.2015, dopo l'intervento dei rispettivi rappresentanti delle parti, la causa è stata posta in decisione.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Va prioritariamente esaminata l'eccezione di inammissibilità dell'appello formulata dalla società L. ex art.53 e 57 D.Lgs. n. 546 del 2009, la quale va disattesa sotto i profili dedotti.
Per un verso, infatti, l'atto di appello dell'Ufficio, seppur riprende in larga misura l'originario ricorso introduttivo, contiene un "quid novi" rispetto a questo e, comunque, un chiaro riferimento alla sentenza impugnata e la manifestazione di dettagliate doglianze rispetto ai capi a lui sfavorevoli della stessa.
L'appello dell'Ufficio è infondato, e va respinto, in quanto la statuizione del primo giudice non appare meritevole di censura alcuna, essendo sorretta da condivisibili argomentazioni logiche e giuridiche, alle quali questa Commissione si riporta integralmente.
Come ha osservato giustamente il primo giudice, l'avviso di accertamento è illegittimo per violazione dell'art.7, 1 comma L. n. 212 del 2000, recante lo "statuto dei diritti del contribuente" ed il principio di contestualità della motivazione.
Infatti detto avviso di accertamento impugnato dal contribuente risulta motivato "per relationem" rispetto ad una pluralità di notizie ed elementi emergenti nei confronti di un altro soggetto (società T.), sul cui contenuto non veniva fornita alcuna completa delucidazione.
Quest'ultimo processo verbale, al quale si fa rinvio nella motivazione per relationem, e che sembra non aver determinato l'inizio di alcun procedimento penale contro gli eventuali responsabili, non è stato allegato ed è rimasto sconosciuto al contribuente.
Se ne deve dedurre che la sentenza appellata è stata, di fatto, emanata senza che sia stato possibile per i giudici esaminare alcuni documenti fondamentali per la cognizione della controversia, tanto più che, dagli atti richiamati in motivazione, l'avviso non è di facile comprensione.
Tale circostanza assume decisivo rilievo sulla posizione processuale dell'Ufficio, che, rivestendo la veste giuridica di attore e dovendo adeguatamente sostenere e comprovare, avanti al giudice tributario, la legittimità del suo provvedimento, avrebbe avuto il preciso onere di adempiere all'onere probatorio della pretesa fiscale.
E poiché le ragioni fattuali e giuridiche di tale pretesa devono, per legge, necessariamente emergere dalla motivazione del provvedimento finale oggetto del sindacato giurisdizionale, appare chiaro che, ove detta motivazione faccia riferimento a dati extratestuali (atti, documenti, precedenti provvedimenti ecc.) -come nel caso di specie -, tutti i documenti contenenti tali dati devono essere riversati nel processo nei modi e nei tempi ritualmente previsti, onde consentire al giudice di verificarne l'esistenza, l'attendibilità, la congruità e la fondatezza.
Né avrebbe rilievo la circostanza che l'altra parte del giudizio (cioè contribuente) li conoscesse "aliunde", la quale circostanza, pur non ricorrendo nella fattispecie, se può evitare vizi relativi al contraddittorio fra le parti, non risolve però il problema "a monte", risiedente nel fatto che l'istruzione probatoria giudiziale - che costituisce l'essenza stessa di qualsiasi processo - è istituzionalmente finalizzata a consentire la piena cognizione, da parte del giudice, di tutti i fatti, e/o i documenti, comunque rilevanti ai fini della decisione.
E,in un giudizio di tipo dispositivo qual è quello tributario, tali elementi devono essergli necessariamente forniti dalle parti a ciò interessate, le quali devono subire le conseguenze dell'eventuale inosservanza di tale onere con il rigetto delle loro domande.
Sull'argomento si è pronunciata varie volte anche la Suprema Corte, affermando, ad esempio, che "l'onere della prova della pretesa impositiva incombente sull'amministrazione... non può ritenersi assolto attraverso il mero richiamo ad un atto mai acquisito al contraddittorio, perché la parte pubblica... non ha assolto al proprio, pregiudiziale, onere di deduzione ed allegazione in giudizio, con la conseguenza che al giudice tributario - i cui poteri d'iniziativa istruttoria sono, peraltro, circoscritti dall'art. 7, comma 1, D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, "nei limiti dei fatti dedotti dalle parti" - non è consentito di condividere le conclusioni contenute in un atto mai sottoposto, nelle forme processualmente stabilite, al suo esame" (Sez. Trib., 1 febbraio 2006, n. 2203).
Ciò premesso, non è dubitabile che nella presente fattispecie gli atti sopra richiamati fossero documenti da sottoporre necessariamente per intero alla cognizione e all'esame del giudice, quale fondamentale atto presupposto rispetto al provvedimento impugnato, soprattutto in presenza di espresse doglianze della società ricorrente, rispettivamente in ordine all'omessa motivazione dell'avviso impugnato ed alla violazione dell'art. 7 L. n. 212 del 2000, per mancata allegazione del principale atto in esso richiamato.
Ciò premesso, va, comunque, rilevato nel merito che l'avviso è fondato su presunzioni carenti dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, giungendo a conclusioni sfornite di alcun concreto riscontro probatorio, non potendosi tralasciare che il contribuente ha documentalmente dimostrato, già in sede di ricorso introduttivo, che le fatture sono state regolarmente registrate, i documenti di trasporto sono stati emessi e che i relativi pagamenti sono stati eseguiti mediante assegni e bonifici, e che il bestiame acquistato è stato effettivamente ricevuto e rivenduto.
Le suindicate considerazioni comportano il rigetto dell'appello dell'Ufficio e la conferma dell'impugnata sentenza, e, in aderenza del criterio legale della soccombenza, l'Ufficio va condannato alla rifusione delle spese processuali, che, considerato il valore della controversia, possono essere liquidate forfettariamente come in dispositivo, anche per il giudizio di primo grado.
P.Q.M.
Rigetta l'appello dell'Ufficio e lo condanna al pagamento delle spese processuali liquidate in complessive Euro 2000,00 (duemila), oltre accessori di legge, con distrazione ex art.93 c.p.c(///)
Così deciso in Palermo, il 16 novembre 2015.
23-01-2016 19:05
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