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Sentenza

Compenso agli amministratori: criteri di deducibilità....
Compenso agli amministratori: criteri di deducibilità.
Cass. civ. Sez. V, Sent., 20-11-2015, n. 23763
Dott. PICCININNI Carlo - Presidente - Dott. CIRILLO Ettore - Consigliere - Dott. OLIVIERI Stefano -
Consigliere - Dott. SCODITTI Enrico - Consigliere - Dott. MARULLI Marco - rel. Consigliere -
sentenza
sul ricorso 18499/2009 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA
VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e
difende;
- ricorrente - contro
D. & C. SRL IN LIQUIDAZIONE in persona del liquidatore e legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio
dell'avvocato MANZI LUIGI, che lo rappresenta e difende unitamente all'avvocato CESARE
FEDERICO GLENDI giusta delega a margine;
- controricorrente - avverso la sentenza n. 24/2 008 della COMM.TRIB.REG. di GENOVA,
depositata l'11/06/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 26/10/2015 dal Consigliere Dott.
MARCO MARULLI; udito per il ricorrente l'Avvocato PALATIELLO che si riporta al ricorso e insiste per
l'accoglimento; udito per il controricorrente l'Avvocato CALDERARA per delega dell'Avvocato
MANZI che si riporta agli atti; udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.
CARDINO Alberto, che ha concluso per l'accoglimento del 1 e 3 motivo del ricorso e
l'annullamento della sentenza.
Svolgimento del processo
1. Con avviso di accertamento emanato a seguito di p.v.c. del Nucleo regionale di polizia
tributaria di Genova, il locale Ufficio della Agenzia delle Entrate provvedeva a rettificare le
dichiarazioni IVA, IRPEG ed IRAP della Donato & C. s.r.l. per l'anno di imposta 1998, recuperando
a tassazione operazioni non imponibili consistenti nelle prestazioni di beni in favore di un
operatore extracomunitario con rappresentante fiscale domiciliato nella Comunità - che nella
specie erano state fatturate senza indicare il codice identificativo del cessionario e senza che
l'operazione fosse inclusa nel modello Intrastat - nonchè i compensi erogati dalla contribuente ai
propri amministratori che, sebbene corrisposti nell'anno 1997, erano stati contabilizzati l'anno
successivo.
La decisione di primo grado - che aveva accolto il ricorso in ordine alle operazioni assoggettate
dalla parte al regime di non imponibilità ed aveva invece confermato la legittimità della ripresa
in punto di compensi - era appellata da entrambe le parti avanti alla CTR Liguria che con la
sentenza oggi in esame respingeva l'appello dell'ufficio ed accoglieva quello di parte. Riteneva
invero il giudice territoriale, nel respingere l'atto di gravame dell'ufficio, che "essenziale" ai fini
della non imponibilità delle operazioni effettuate in favore di operatori stranieri, "è che le stesse
non siano fatte a soggetti extra UE, bensì a rappresentante fiscale UE' di soggetto extra UE", di
modo che, essendo stato nella specie dimostrato "con documentazione fiscale ineccepibile" che
la merce è stata consegnata in (OMISSIS), la legittimità della condotta del contribuente non è
censurabile, a nulla rilevando in contrario il fatto che "per mero errore materiale" la fattura sia
stata intestata all'operatore extracomunitario e che non sia stata presentata la dichiarazione
Intrastat.
La decisione di prime cure meritava invece di essere riformata a parere del decidente, in
accoglimento del gravame di parte, in relazione alla statuizione in punto di deducibilità dei
compensi, dal momento che l'art. 62, comma 3, Tuir, applicabile all'epoca, ha "solo finalità
antielusiva, per cui, ove non ricorrano tali ragioni che ne giustificano la letterale applicazione, la
norma... va coordinata con quella di cui all'art. 75 Tuir e con la disposizione del c.c. - art. 2389 - in
base al quale è solo con la delibera assembleare che le somme erogate agli amministratori
diventano compensi dei quali risulta certa l'esistenza e l'esatto ammontare".
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La detta sentenza è ora impugnata per la sua cassazione dalla soccombente Agenzia con un
ricorso affidato a tre motivi.
Resiste con controricorso la parte che con memoria ex art. 378 c.p.c., ha reso noto che la
società è stata dichiarata fallita ed in data 25.3.2015 è stata cancellata dal registro delle
imprese.
Motivi della decisione
2.1. Sulla preliminare considerazione che le odierne allegazioni di parte non esplicano alcuna
influenza sul presente procedimento, stante il carattere officioso del giudizio di cassazione nella
specie ritualmente instaurato nei confronti della società prima della sua cancellazione, e
venendo perciò al merito del ricorso va detto che con il primo motivo l'Agenzia ricorrente si
duole per gli effetti dell'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, della violazione e falsa applicazione del
D.L. n. 331 del 1993, artt. 40, 41 e 50, poichè, contrariamente a quanto statuito dal giudice
d'appello in punto di non imponibilità dell'operazione scrutinata, affinchè sia realizzata una
cessione avente tale natura deve ricorrere una triplice condizione ovvero che l'operazione sia
posta in essere da operatori comunitari, che abbia carattere oneroso e che comporti l'effettivo
trasferimento di un bene da uno ad un altro Stato della Unione, sicchè, difettando nella specie la
qualifica di comunitario in capo al cessionario, trattandosi di un committente extra UE, erra il
predetto giudicante "nel ritenere essenziale al fine della imponibilità unicamente il luogo di
destinazione della merce", sebbene nella specie il destinatario non avesse assolto gli obblighi di
integrazione della fattura, non fosse stato predisposto il modello Intastat, non fosse stato acquisito
il codice identificativo del cessionario e le operazioni non fossero inquadrabili nell'ambito delle
cessioni intracomunitarie trattandosi di merci in transito.
2.2. Nei limiti del formulato quesito di diritto - che sollecita questa Corte a dire se "l'indicazione in
fattura del codice identificativo del cessionario e la compilazione del modello Intrastat"
costituiscano adempimenti ineludibili ai fini di fruire del regime di non imponibilità previsto per le
cessioni a favore di operatori comunitari e conseguentemente a negare che nella specie per il
difetto di essi la parte possa valersi del suddetto regime - si è già avuto occasione di affermare,
con giudizio a cui il collegio intende dare continuità, quanto al primo rilievo, che "ai fini del
riconoscimento della non imponibilità ai fini IVA delle cessioni intracomùnitarie, la procedura di
attribuzione del codice identificativo del cessionario, pur rimanendo centrale ai fini della
sussumibilità dell'operazione nell'ambito di quelle regolate dal D.L. 30 agosto 1993, n. 331, artt. 41
e 50, convertito nella L. 29 ottobre 1993, n. 427, non può determinare, se mancante, il venir meno
della possibilità di inquadrare la cessione nell'ambito di quelle intracomunitarie, allorchè
l'operatore provi in modo rigoroso tutti i requisiti sostanziali della normativa di settore, sulla base
degli elementi ritualmente prodotti nel corso del procedimento" (9472/15; 8561/15; 17254/14); e,
quanto al secondo, con riferimento alla non diversa ipotesi dell'indicazione nel modello Intrastat
di una partita IVA cessata, che "le cessioni intracomunitarie sono effettuate, D.L. 30 agosto 1993,
n. 331, ex art. 50, commi 1 e 2, convertito, con modificazioni, dalla L. 29 ottobre 1993, n. 427, - così
consentendo il pagamento dell'imposta nel solo Stato dell'Unione Europea nell'ambito del quale
il bene è destinato al consumo - anche nel caso in cui negli elenchi riepilogativi che gli operatori
intracomunitari sono tenuti a compilare ai sensi dell'art. 50, comma 6, del citato D.L. venga
riportata una partita IVA del corrispondente comunitario cessata, atteso che una siffatta
indicazione, così come l'ipotesi della sua omissione, non è sanzionata dalla legge e che,
diversamente opinando, l'operazione verrebbe sottoposta ad una doppia imposizione (nel
paese di origine dei beni ed in quello di destinazione degli stessi)" (21183/14).
Ne discende perciò che nessun addebito può essere mosso alla sentenza impugnata per aver
ritenuto operante nella specie, a fronte della dimostrazione "con documentazione fiscale
ineccepibile", come la CTR debitamente sottolinea, che la cessione fosse avvenuta in favore di
un operatore comunitario, il ridetto regime di esenzione ancorchè la fattura, per essere intestata
ad un operatore extra UE, fosse priva di codice identificativo e l'operazione non fosse stata
annotata nell'elenco riepilogativo Intrastat, risultando assorbente rispetto alle riscontrate lacune
la circostanza, appunto ritenuta provata dal giudice d'appello, che la cessione avesse avuto
effettivamente luogo e che destinatario di essa fosse un operatore comunitario.
3.1. Il secondo motivo del ricorso erariale imputa alla sentenza impugnata, a mente dell'art. 360
c.p.c., comma 1, n. 5, vizio di insufficiente motivazione poichè, ascrivendo ai fini della
qualificazione dell'operazione come operazione comunitaria portata decisiva alla 
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documentazione fiscale esibita dalla parte, "la CTR ha omesso di precisare in che modo il rispetto
degli adempimenti doganali si rifletta sulla regolarità fiscale dell'operazione", venendo così meno
al compito di "chiarire meglio in cosa risiedesse la ineccepibilità della documentazione fiscale
(quale?) e in che rapporto la questione tributaria si ponesse con l'assolvimento degli
adempimenti doganali".
3.2. Il motivo non ha fondamento.
Premesso invero che il vizio di motivazione in guisa di insufficienza della stessa è configurabile
qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata sia
evincibile l'obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico
che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento" (SS.UU. 24148/13),
nella specie nessun vulnus motivazionale inficia la sentenza impugnata che sviluppa con
coerenza e linearità il proprio assunto decisionale sulla base delle acquisizioni documentali
operate nel giudizio, di modo che, prendendo atto "sulla base di documentazione fiscale
ineccepibile" che la cessione nella specie era stata effettuata dalla parte in favore di un
operatore comunitario, la CTR, attenendosi all'insegnamento in punto di diritto dettato da questa
Corte circa l'inconferenza della mancata indicazione del codice identificativo e della mancata
indicazione della cessione nell'elenco riepilogativo, ha conclusivamente tratto l'asserto che la
cessione scrutinata fosse assoggettabile al regime di non imponibilità previsto dal D.L. n. 331 del
1993, artt. 40 e 41.
Perciò ciò di cui si duole l'ufficio impugnante, allorchè rimprovera con il motivo in disamina al
giudice territoriale di non aver chiarito "meglio in cosa risiedesse la ineccepibilità della
documentazione fiscale (quale?) e in che rapporto la questione tributaria si ponesse con
l'assolvimento degli adempimenti doganali", non attiene al percorso motivazionale seguito dal
decidente, in relazione al quale sia identificabile un deficit logico-giuridico in grado di inficiarne
la concludenza, ma evidenzia piuttosto l'insoddisfazione per un apprezzamento di fatto che non
corrisponde alle proprie aspettative e sollecita semmai una diversa lettura delle risultanze
processuali che è ovviamente preclusa a questa Corte.
4.1. Errore di diritto in relazione all'art. 75 e art. 62, comma 3, tuir, nel testo vigente all'epoca, si
lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con il terzo motivo di ricorso per quanto statuito dal
giudice di appello in punto di deducibilità dei compensi, posto che, incontestato che si trattasse
nella specie di compensi contabilizzati nel 1998 ancorchè erogati nel 1997, la CTR, andando di
contrario avviso rispetto alla decisione di primo grado, "ha ritenuto che, in virtù del disposto
dell'art. 2389 il requisito di certezza e determinabilità richiesto dall'art. 75, per determinare la
competenza temporale della componente negativa di reddito, la deduzione operata dalla
società sia corretta", malgrado la norma codicistica non abbia alcuna rilevanza fiscale e la
ripresa fosse motivata nella specie dall'intervenuta erogazione del compenso "fatto più che
sufficiente a ritenere certa e determinabile la voce di costo".
4.2. Il motivo è fondato.
Da tempo questa Corte ha affermato che le regole in materia di imputazione dei componenti
negativi di reddito, in quanto poste a presidio di un procedimento di determinazione oggettiva
del reddito di impresa, sono inderogabili e come tali sono sottratte alla disponibilità di parte, non
potendo invero rimettersi all'arbitrio del contribuente la scelta del periodo d'imposta più
vantaggioso per operare la deduzioni (27296/14; 16349/14; 18237/12). E tra le regole predette,
sebbene al criterio della competenza più generalmente imposto dall'art. 75 Tuir vecchio testo sia
qui sostituito quello della cassa, va annoverato anche il disposto dell'art. 62, comma 3, Tuir, nel
testo in allora vigente - ma la disposizione non ha subito modifiche a seguito del D.Lgs. n. 344 del
2003, (cfr. art. 95, comma 5, Tuir) - applicabile agli amministratori delle società di capitali in forza
del richiamo operato dall'art. 95, comma 1, Tuir vecchio testo, in base al quale "i compensi
spettanti agli amministratori delle società in nome collettivo ed in accomandita semplice sono
deducibili nell'esercizio in cui sono corrisposti".
Errato è perciò il convincimento in senso difforme espresso dalla CTR con la decisione impugnata
autorizzandosi in pratica - laddove si giudica corretta l'imputazione della componente negativa
in esame all'anno di assunzione della relativa deliberazione, ancorchè l'erogazione fosse
avvenuta nell'anno precedente - una palese alterazione del procedimento di determinazione 
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del reddito di impresa, con l'effetto di avvallare in definitiva proprio quelle condotte operative
che nei fini delle norme in indirizzo invece scongiurare.
4.3. Ne, oppostamente, è azionabile l'argomento secondo cui, parlando la norma di compensi
"spettanti", sarebbe doveroso riferire il predicato all'assunzione della deliberazione
corrispondente, in quanto solo a seguito delle determinazioni che l'assemblea assume a mente
dell'art. 2389 c.c., sorgerebbe il diritto degli amministratori al compenso ed esso si potrebbe
considerare perciò spettante. La "lettura" così patrocinata non è peraltro esauriente poichè si
sofferma solo su un profilo letterale della disposizione denunciata ed omette di considerare, più
pregnantemente, che essa vincola la deducibilità all'esercizio in cui i compensi sono "corrisposti",
affermando in tal modo la decisa prevalenza in questa materia del principio di cassa su quello di
competenza. Nè è poi trascurabile, ad ulteriore conforto dell'inderogabilità del disposto
normativo e, più ampiamente del fatto che deliberazione dei compensi e deducibilità degli stessi
sono variabili non correlate, la circostanza che per giurisprudenza costante non solo
l'amministrazione è legittimata a recuperare a tassazione parte del compenso corrisposto agli
amministratori quando esso appaia sproporzionato rispetto all'attività svolta (9036/13), ma anche
come pure si è affermato, riconoscendone anche in tal caso la deducibilità, che sono inifluenti
sulla debenza della remunerazione dovuta agli amministratori gli eventuali vizi che inficiano al
relativa deliberazione (15442/01).
5. Accogliendosi perciò il terzo motivo di ricorso, la sentenza va doverosamente cassata nei limiti
del motivo accolto a mente dell'art. 383 c.p.c., comma 1, e la causa va rinviata al giudice
territoriale per la disamina della questione subordinata riproposta dal controricorrente in chiusa
del proprio atto difensivo. Essendo invero questo risultato totalmente vittorioso nel giudizio di
appello ed essendo stata perciò la detta subordinata giudicata assorbita, è mancata la
disamina di essa da parte del giudicante e la causa gli va quindi rimessa per il necessario
completamento del giudizio, bastando all'uopo che la parte abbia palesato, come qui, la
propria intenzione di voler sottoporre la detta questione al giudice del rinvio (4130/14).
P.Q.M.
La Corte Suprema di Cassazione pronunciando sul ricorso, rigetta il primo ed il secondo motivo,
accoglie il terzo motivo, cassa l'impugnata sentenza e rinvia la causa avanti alla CTR Liguria, che, in
altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio sella Sezione Quinta Civile, il 26 ottobre 2015.
Depositato in Cancelleria il 20 novembre 2015 Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2015
Avv. Antonino Sugamele

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