Redditometro: le donazioni dei parenti vanno sempre dimostrate.
Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 11 aprile – 20 giugno 2014, n. 14063
Presidente Virgilio – Relatore Cruciti
Ritenuto in fatto
L'Agenzia delle Entrate di Nola accertava a carico di E.S., per l'anno 1999, una maggiore capacità contributiva, alla luce dell'acquisto di un fabbricato per un valore di lire 390.000.000 nonché delle spese di mantenimento dello stesso e di un'abitazione secondaria.
A seguito dell'esame delle risposte al questionario venivano, quindi, accertati in capo alla contribuente redditi netti superiori di almeno un quarto a quelli dichiarati.
Conclusosi con esito negativo per la contribuente l'accertamento con adesione, E.S. proponeva ricorso avverso l'avviso di accertamento deducendo che il prezzo dell'acquisto era stato, per lire 150.000.000, corrisposto tramite compensazione della propria quota di credito, vantata quale socia della società venditrice e, per il residuo, tramite compensazione della quota di credito dell'altro socio, padre della contribuente, ed oggetto di donazione in suo favore.
La Commissione Tributaria Provinciale rigettava i ricorsi osservando che la ricorrente, aveva giustificato solo in parte la maggiore capacità contributiva, in quanto se aveva dimostrato la compartecipazione alla società e la diminuzione del debito rappresentato dal finanziamento dei soci, nessuna prova aveva offerto della cessione, a titolo gratuito, delle quote da parte del padre.
La decisione, appellata dalla contribuente, veniva integralmente riformata dalla Commissione Tributaria Regionale della Campania con la sentenza indicata in epigrafe.
In particolare, il Giudice di appello, rilevava che il ragionamento dei primi Giudici, secondo cui la documentazione allegata dalla contribuente non integrava "sufficienti elementi idonei a dimostrare la necessaria valenza giuridica relativamente alle spese ed al sostentamento parentale", non era convincente in quanto "sarebbe stato agevole pervenire alla contraria conclusione sulla base del rapporto di parentela intercorrente tra i titolari del rapporto in esame non potendosi escludere lo spirito liberale come una inveterata consuetudine familiare da assumere tra "quelle nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza", ai sensi del II comma dell'art.115 c.p.c.
Avverso la sentenza l'Agenzia delle Entrate ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, cui non ha resistito E.S.
Considerato in diritto
L'Agenzia delle Entrate censura la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della Campania, con il primo motivo, di violazione dell'art. 115, II comma c.p.c. in combinato disposto con l'art. 38 d.p.r. 600/73) e, con il secondo, di insufficiente motivazione, in relazione all'art. 360 n. 5 c.p.c.
Detto ultimo mezzo è inammissibile, ai sensi dell'art. 366 bis c.p.c., applicabile al ricorso per essere stata la sentenza impugnata depositai«. il 1° dicembre 2008.
L'illustrazione del motivo, infatti, non è stata seguita dalla "chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficiente motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione" la quale, come da ripetuto insegnamento di questa Corte, deve concretarsi in un momento di sintesi che circoscriva puntualmente i limiti della censura, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass. S.U. n.16528/2008; id.n.11658/2008).
E', invece, fondato il primo motivo. Con il mezzo, la ricorrente deduce l'errore commesso dalla C.T.R. campana nell'avere qualificato la donazione del padre in favore della figlia come fatto notorio pur a fronte della contraria interpretazione, fornita da questa Corte, dell'art. 115 c.p.c.
Il ricorso alle nozioni di comune "esperienza (fatto notorio), comportando una deroga al principio dispositivo ed al contraddittorio, in quanto introduce nel processo civile prove non fornite dalle parti e relative a fatti dalle stesse non vagliati né controllati, va inteso in senso rigoroso, e cioè come fatto acquisito alle conoscenze della collettività con tale grado di certezza da apparire indubitabile ed incontestabile; di conseguenza, non si possono reputare rientranti nella nozione di fatti di comune esperienza, intesa quale esperienza di un individuo medio in un dato tempo e in un dato luogo, quegli elementi valutativi che implicano cognizioni particolari, o anche solo la pratica di determinate situazioni, né quelle nozioni che rientrano nella scienza privata del giudice, poiché questa, in quanto non universale, non rientra nella categoria del notorio (così, con orientamento costante, questa Corte: tra le tante, Cass. n. 2808 del 2013; id. n 23978 del 19/11/2007).
Va, pertanto, escluso da tale nozione un evento o una situazione soltanto probabile (Cass, n. 16881 del 05/07/2013) quale, nel caso in esame, la mera "prassi familiare" di liberalità da parte dei genitori in favore dei figli.
La sentenza impugnata, che non ha fatto corretta applicazione di tali principi, va, pertanto, cassata con rinvio al Giudice del merito che provvederà ad un riesame della fattispecie oltre che a regolare le spese processuali.
P.Q.M.
In accoglimento del primo motivo di ricorso, ritenuto inammissibile il secondo, cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per il regolamento delle spese processuali, a diversa sezione della Commissione Tributaria Regionale della Campania.
29-06-2014 22:48
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