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Sentenza

Trapani: la società conosce l'inizio del procedimento penale in tempo anteriore ...
Trapani: la società conosce l'inizio del procedimento penale in tempo anteriore alla presentazione della istanza di definizione della lite: condono inammissibile ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 15, comma 1, ultima parte.
Cassazione civile  sez. trib.1/12/2013 ( ud. 28/05/2013 , dep.11/12/2013 ) 
Numero:    27694
 
                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                             SEZIONE TRIBUTARIA                          
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. PIVETTI    Marco                              -  Presidente   -
    Dott. CIRILLO    Ettore                             -  Consigliere  -
    Dott. MELONI     Marina                             -  Consigliere  -
    Dott. OLIVIERI   Stefano                       -  rel. Consigliere  -
    Dott. PERRINO    Angelina Maria                     -  Consigliere  -
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso 2747-2009 proposto da: 
    MINISTERO  DELL'ECONOMIA  E  FINANZE  in  persona  del  Ministro  pro 
    tempore,  AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore, 
    elettivamente  domiciliati  in ROMA VIA  DEI  PORTOGHESI  12,  presso 
    l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che li rappresenta e  difende  ope 
    legis; 
                                                           - ricorrenti - 
                                   contro 
    ACQUASPLASH SRL; 
                                                             - intimato - 
    Nonchè da: 
    ACQUASPLASH SRL in persona del legale rappresentante e Amministratore 
    pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA FOLIGNO 10, presso 
    lo  studio  dell'avvocato  ERRANTE MASSIMO,  rappresentato  e  difeso 
    dall'avvocato BONANNO GIUSEPPE giusta delega a margine; 
                                         - controricorrente incidentale - 
                                   contro 
    MINISTERO DELL'ECONOMIA E FINANZE, AGENZIA DELLE ENTRATE; 
                                                             - intimati - 
    avverso  la  sentenza n. 76/2007 della COMM. TRIB. REG.  di  PALERMO, 
    depositata il 10/12/2007; 
    udita  la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del 
    28/05/2013 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI; 
    udito   per   il   ricorrente  l'Avvocato  PISANA  che   ha   chiesto 
    l'accoglimento; 
    udito  il  P.M.  in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott. 
    ZENO  Immacolata che ha concluso per l'accoglimento del 1 motivo  del 
    ricorso  principale, con assorbimento del 2 motivo,  rigetto  ricorso 
    incidentale. 
                     


    Fatto
    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    Disposto dal GIP del Tribunale Ordinario di Marsala il sequestro preventivo del compendio aziendale di Acquasplash s.r.l., il custode ed amministratore giudiziario, su autorizzazione dell'AG, presentava ai sensi del D.Lgs. 19 giugno 1997, n. 218, art. 6, comma 2 istanza di accertamento con adesione "versando gli importi di legge", in relazione ad avvisi di rettifica ed accertamento aventi ad oggetto il recupero di IVA indebitamente detratta per gli anni 1997 e 1998 nonchè ad atto di contestazione ed irrogazione delle relative sanzioni pecuniarie.

    Successivamente il Concessionario del servizio per la riscossione notificava la cartelle di pagamento - relative agli avvisi di accertamento per i quali era stata chiesta la definizione con adesione - che venivano impugnate avanti la CTP di Trapani che accoglieva il ricorso della società contribuente.

    La decisione di prime cure veniva confermata in grado di appello con sentenza 10.12.2007 n. 76 della Commissione tributaria della regione Sicilia che disattendeva l'assunto dell'Ufficio finanziario appellante secondo cui la notifica delle cartelle di pagamento doveva intendersi come implicito diniego della istanza di definizione con adesione e, riteneva pienamente valida la istanza ai fini della definizione dell'accertamento, non potendo applicarsi alla società, persona giuridica, la preclusione della L. 27 dicembre 2002, n. 289, art. 15, comma 7 (secondo cui rimarrebbe esclusa la ammissibilità del condono per i soggetti nei cui confronti sia in corso di accertamento uno dei reati finanziari indicati nella medesima norma) in quanto riferibile esclusivamente alle persone fisiche le quali soltanto possono essere imputate di reato.

    Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione la Agenzia delle Entrate deducendo due motivi ai quali resiste la società con controricorso e ricorso incidentale affidato a tre motivi.
    Diritto
    MOTIVI DELLA DECISIONE

    Occorre premettere in fatto che, da quanto emerge dalla sentenza impugnata:

    - i beni aziendali della società Acquasplash s.r.l. sono stati oggetto di sequestro penale preventivo e gli organi societari di gestione sono stati sostituiti da un custode giudiziario al quale sono stati attribuiti anche poteri di amministrazione, subordinati alla autorizzazione del GIP del Tribunale di Marsala presso il quale pendeva il procedimento penale il custode giudiziario ed amministratore della società, dopo aver ricevuto la notifica degli avvisi e dell'atto irrogativo di sanzione, ha presentato in data 16.12.2002 istanza di definizione degli accertamenti con adesione e, successivamente, in data 23-5-2003 istanza di definizione della lite potenziale ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 15 provvedendo a versare la prima rata;

    - il Concessionario del servizio per la riscossione ha notificato le cartelle di pagamento relative ai predetti avvisi che sono state impugnate dalla società per intervenuta definizione della pretesa tributaria di cui ai precedenti avvisi di accertamento;

    - la controversia si è incentrata nei gradi di merito sull'obbligo della PA di provvedere in merito alla istanza di condono, sostenendo la Amministrazione finanziaria che non era prevista dalla legge la comunicazione di un formale provvedimento di reiezione da ritenersi implicito nella notifica delle cartelle di pagamento, e contestando la società la illegittimità del diniego implicito di condono in quanto la preclusione di cui alla L. n. 28 del 2002, art. 15. comma 7 trovava applicazione soltanto alle persone fisiche e non alle persone giuridiche che non rispondono penalmente degli illeciti commessi dai propri amministratori.

    Occorre quindi prendere in esame i motivi di ricorso incidentale coni quali si impugna la sentenza di appello deducendo vizi di nullità processuale idonei - se accolti - a definire il presente giudizio.

    Con il primo motivo la ricorrente incidentale censura la decisione di appello per non avere i Giudici territoriali dichiarato inammissibile per difetto di interesse ex art 100 c.p.c. l'atto di appello dell'Ufficio per intervenuta formazione del giudicato interno, essendosi limitato l'Ufficio ad impugnare soltanto il capo della sentenza di prime cure concernente l'accertamento della illegittimità delle cartelle di pagamento in difetto di previo espresso rigetto della istanza di condono.

    Il motivo è infondato. Dalla lettura degli atti processuali e precipuamente della sentenza della CTP di Trapani in data 7.4.2005 n. 66, cui la Corte ha accesso in considerazione del vizio di legittimità denunciato (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), risulta che nel corso del giudizio di primo grado la società ricorrente aveva impugnato le cartelle di pagamento sul presupposto che "la presentazione della istanza di condono ed il versamento della prima rata avevano estinto il diritto alla riscossione", mentre l'Ufficio da un lato si era riservato di pronunciare sulla ammissibilità della istanza di condono in relazione alla condizione ostativa di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 15, comma 7 dall'altro aveva eccepito la inammissibilità del ricorso introduttivo in difetto di rilascio di "autorizzazione del Giudice delegato al fallimento" al curatore (sic).

    I primi giudici, rigettata la eccezione pregiudiziale, non essendo stata dichiarata fallita la società, hanno ritenuto circoscritto il thema controversum esclusivamente alla questione della "legittimità della notifica delle cartelle esattoriali impugnate, dopo il versamento da parte della ricorrente della prima rata di L. 6.000.00 ed il deposito da parte della società ricorrente della istanza di definizione L. n. 289 del 2002, ex art. 15", ed esclusivamente su tale questione risulta decisa la controversia in primo grado, avendo la CTP dichiarato illegittime le cartelle di pagamento in quanto la notifica delle stesse sarebbe potuta seguire soltanto "dopo un eventuale rigetto della istanza definizione agevolata, ma non prima ed indipendentemente da questo".

    Pertanto la affermazione, contenuta nella motivazione della sentenza di prime cure, secondo cui "nessuna obiezione di merito ha sollevato l'Ufficio di Castelvetrano della Agenzia delle Entrate in ordine al ricorso", non integra affatto nè disvela - diversamente da quanto opinato dalla ricorrente incidentale - una autonoma "ratio decidendi", ma deve intendersi, correttamente, come necessaria premessa esplicativa della successiva proposizione (il cui incipit determina in modo inequivoco ed immediato il nesso di derivazione logica dalla precedente proposizione: "...Ed in effetti in questa sede si discute solo della legittimità delle cartelle...") con la quale viene ad essere definito l'oggetto del giudizio sul quale la CTP è chiamata a pronunciare.

    Del pari infondato è il secondo motivo di ricorso incidentale con il quale si denuncia la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 avendo la CTR ritenuto ammissibile l'appello sebbene con esso venissero introdotte questioni nuove, ed anche il terzo motivo con il quale si censura la sentenza di appello per eccesso di pronuncia ex art. 112 c.p.c. sulla questione (nuova) della sussistenza della condizione preclusiva del condono.

    E' appena il caso di rilevare che la notifica delle cartelle era fondata sugli avvisi di accertamento presupposti e sull'implicito diniego di accoglimento della stanza di condono: ne segue che, non avendo vincolato la Amministrazione finanziaria (nè in sede stragiudiziale, nè in sede giudiziale, essendosi limitata a riservare la pronuncia sulla istanza di condono) il diniego di condono soltanto ad alcune ragioni in fatto o diritto specificamente determinate (ipotesi che si sarebbe, invece, verificata nel caso di notifica alla contribuente di un formale provvedimento di diniego, che in quanto atto motivato, avrebbe dovuto evidenziare le specifiche ragioni di diritto ed i presupposti di fatto sui quali il diniego era fondato), rimaneva acquisita al thema decidendum l'indagine relativa agli effetti estintivi della pretesa tributaria da compiersi con riguardo a tutti gli elementi della fattispecie normativa che disciplinava il procedimento di definizione delle liti potenziali (L. n. 289 del 2002, art. 15) tra i quali debbono ricomprendersi anche le condizioni ostative alla ammissibilità del condono.

    La pronuncia di primo grado si è arrestata all'accertamento preliminare della omessa adozione di un formale provvedimento di diniego ritenuto atto presupposto necessario alla notifica delle cartelle di pagamento, senza quindi procedere all'ulteriore esame degli elementi normativi costitutivi dell'effetto estintivo della pretesa tributaria, accertamento che, diversamente, la CTP avrebbe dovuto necessariamente compiere in quanto appartenente al tema controverso. Nè in contrario può sostenersi che difettavano nel caso di specie le necessarie allegazioni in fatto integranti la condizione ostativa di cui al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 15, comma 7: premesso che la stessa sentenza di appello da atto che il ricorso introduttivo era stato promosso dal custode ed amministratore giudiziario nominato dal Giudice penale, è la stessa società ricorrente incidentale a riferire che l'Ufficio finanziario costituendosi in primo grado (atto di controdeduzioni in data 2.9.2004 trascritto a pag. 3 del controricorso) aveva allegato che la Procura della Repubblica del Tribunale di Marsala, su specifica richiesta della Amministrazione finanziaria se fosse stata esercitata l'azione penale per uno dei reati di cui al D.Lgs. n. 74 del 2000 indicati nella L. n. 289 del 2002, art. 15, comma 7 aveva inviato "certificazioni dalle quali risultava che il rappresentante legale della società era stato rinviato a giudizio in data 16.7.2002".

    Pertanto alcuna novità rivestiva la predetta questione concernente la verifica della condizione ostativa alla ammissibilità del condono e, conseguentemente, in alcuna violazione del divieto di "jus novorum" è incorsa l'Amministrazione finanziaria impugnando con i motivi di gravame la decisione di prime cure sul punto dell'accertamento degli effetti estintivi riconosciuti alla istanza di condono della società.

    Esente dai vizi processuali denunciato deve, pertanto ritenersi la sentenza di appello che, investita del gravame sulla statuizione della decisione di prime (secondo cui la omessa adozione di un diniego espresso rendeva legittima la istanza di condono) ha pronunciato anche in ordine alla insussistenza delle condizioni ostative alla ammissibilità del condono.

    Venendo ad esaminare i motivi del ricorso principale il Collegio osserva quanto segue.

    La Agenzia fiscale ricorrente, con il primo motivo, censura la sentenza impugnata per violazione e falsa applicazione della L. n. 289 del 2002, art. 15 in relazione all'art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3).

    La eccezione di inammissibilità del ricorso per inadeguatezza del quesito di diritto ex art. 366 bis c.p.c. proposta dalla società resistente è destituita di fondamento. La Agenzia ricorrente ha formulato in calce al primo motivo due distinti quesiti concernenti 1 - due diverse statuizioni della sentenza della CTR, chiaramente individuate nella esposizione del motivo; 2 - due distinte questioni di diritto concernenti la interpretazione della L. n. 289 del 2002, art. 15 correttamente individuato quale parametro del sindacato di legittimità ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

    La molteplicità dei quesiti di diritto, che è sanzionata a pena di inammissibilità della impugnazione, ricorre infatti soltanto quando:

    a) la rubrica e la esposizione del motivo premessa alla formulazione di tali quesiti denunci indistintamente una pluralità di vizi di legittimità diversi ed in relazione di ontologica incompatibilità, richiedendo alla Corte di sostituirsi allo stesso ricorrente nella individuazione di quali tra i molteplici argomenti esposti nel motivo debbano essere ricondotti a ciascun dei quesiti di diritto formulati (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 5471 del 29/02/2008); b) la formulazione del quesito è tale da ipotizzare una pluralità di interpretazioni, diverse ed incompatibili, della norma di diritto, così da rimettere alla Corte - in sostituzione della parte ricorrente - la individuazione di quella tra le inconciliabili interpretazioni prospettate, che appaia compatibile con l'assunto difensivo del ricorrente e che questi, pertanto, avrebbe voluto far valere a sostegno del motivo di ricorso (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 1906 del 29/01/2008).

    I quesiti di diritto formulati in calce al primo motivo non presentano alcuno dei difetti indicati, dovendo rilevarsi che nella specie si rendeva, non solo opportuna, ma necessaria la formulazione di due autonomi quesiti di diritto, essendo stata investita la sentenza impugnata con due censure attinenti a differenti violazioni della medesima norma di diritto (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 13868 del 09/06/2010).

    Tanto premesso il motivo è fondato.

    La statuizione della sentenza secondo cui dall'art. 15, comma 7 si "ricaverebbe la esclusone dell'ammissibilità del condono per i soggetti nei cui confronti sia stato accertato o sia in corso di accertamento uno dei reati finanziari di cui al suddetto art. 15 " ed il correlato argomento -desunto dalla norma di interpretazione autentica di cui al D.L. 24 GIUGNO 2003, n. 143, art. 1, comma 2 septies conv. in l. 1 agosto 2003, n. 212 - secondo cui la preclusione della ammissibilità della definizione agevolata della lite potenziale opera - in caso di formale conoscenza dell'esercizio dell'azione penale anteriore al perfezionamento del condono - esclusivamente nei confronti dei contribuenti persone fisiche, le quali soltanto possono essere penalmente responsabili, e non anche nei confronti delle persone giuridiche, non è conforme a diritto.

    Premesso che la causa ostativa alla definizione della lite potenziale deve rinvenirsi nella L. n. 289 del 2002, art. 15, comma 1, ultima parte, (come modificato dal D.L. n. 282 del 2002, art. 5 bis. comma 1, lett. 1), n. 2) conv. in L. n. 27 del 2003) che dispone la non ammissibilità del condono "per i soggetti nei cui confronti è stata esercitata l'azione penale per i reati previsti dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, di cui il contribuente ha avuto formale conoscenza entro la data di perfezionamento della definizione", il collegamento interpretativo operato dalla CTR tra il comma 1 ed il comma 7 della L. n. 289 del 2002, art. 15 (disponendo quest'ultima disposizione che il perfezionamento della definizione della lite potenziale esclude la punibilità per i reati tributari, di falsità ideologico e materiale e di uso di atto falso, e societari connessi all'accertamento fiscale nonchè l'applicazione delle sanzioni accessorie previste dai D.Lgs. n. 471 del 1997 e D.Lgs. n. 472 del 1997, salvo che il contribuente abbia avuto formale conoscenza dell'esercizio dell'azione penale "entro la data di perfezionamento della definizione", anche se questa riguardi contribuenti diversi dalle persone fisiche - D.L. n. 143 del 2003, art. 1, comma 2 septies conv. in L. n. 212 del 2003 -) al fine di ritenere inestensibile alle persone giuridiche la causa ostativa al condono in quanto da riferirsi esclusivamente ai soggetti imputabili di reato e dunque agli amministratori ed ai legali rappresentanti della persona giuridica, si pone in contrasto con la interpretazione che della norma sul condono è stata fornita da questa Corte con pronunce conformi (cfr. Corte cass. Sez, 5, Sentenza n. 8324 del 25/05/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 19862 del 14/11/2012;

    id. Sez. 5, Sentenza n. 21795 del 05/12/2012. Vedi anche Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 16984 del 05/10/2012 che esamina la distinta ipotesi in cui pur in presenza della causa ostativa, l'Ufficio aveva accettato la domanda di condono riscuotendo la prima rata: in tal caso pur essendo inammissibile il condono la L. n. 289 del 2002, art. 15, comma 6 dispone che le somme già versate sono irripetibili e debbono essere computate in acconto della imposta dovuta), e che trova fondamento: a) nella relazione funzionale che lega l'amministratore o il rappresentante legale persona fisica (nei cui confronti esercitata l'azione penale) alla società persona giuridica da quello rappresentata, atteso che "l'illecito penale tributario presuppone necessariamente tanto la qualità di titolare dell'organo rappresentativo societario, quanto l'esercizio dei relativi poteri di manifestazione esterna della volontà dell'ente societario, come risulta chiarito in modo inequivoco anche dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 1, comma 1, lett. c)" (cfr. Corte cass. 21795/2012 cit.);

    b) nella sottrazione della norma ai sospetti di illegittimità costituzionale per violazione dell'art. 3 Cost. che emergerebbero "laddove si discriminasse l'accesso alla definizione agevolata della obbligazione tributaria esclusivamente in relazione alla natura fisica (contribuente autore del reato) o giuridica (contribuente, non responsabile penalmente che, tramite il reato, ha evaso l'imposta) della persona-contribuente; c) nel D.L. n. 143 del 2003, art. 1, comma 2 septies, conv. in L. n. 212 del 2003 che è venuto a chiarire come non vi sia alcuna univoca corrispondenza, fini della applicazione del beneficio ovvero della esclusione del beneficio di cui alla L. n. 289 del 2002, art. 15, comma 7 tra il soggetto contribuente che ha interesse alla definizione della lite potenziale ed il soggetto autore del reato.

    Ne consegue che avendo avuto conoscenza la società dell'inizio del procedimento penale in tempo anteriore alla stessa presentazione della istanza di definizione della lite, il condono era da ritenersi inammissibile ai sensi della L. n. 289 del 2002, art. 15, comma 1, ultima parte.

    Alcuna rilevanza assumono, in contrario, il versamento della prima rata effettuato contestualmente alla presentazione della istanza, nè il silenzio-rifiuto serbato dalla Amministrazione finanziaria su detta istanza: il primo in quanto la condizione ostativa impedisce in ogni caso il "perfezionamento" della definizione della lite (art. 15, comma 6) determinando la irripetibilità della somma versata, da calcolare in acconto alla imposta come risulta liquidata negli avvisi di accertamento e rettifica; il secondo in quanto la mancata adozione di un atto di diniego della istanza di condono, non comporta il consolidamento in capo al contribuente del diritto a fruire del condono, tenuto conto, da un lato, che le norme che disciplinano il procedimento di definizione della lite potenziale non considerano la inerzia della PA come manifestazione di "silenzio-assenso", e che, dall'altro, l'effetto "automatico" del perfezionamento della definizione della lite potenziale L. n. 289 del 2002, ex art. 15, commi 2, 3bis e 4 rimane, comunque, impedito in presenza (come nel caso di specie) della condizione ostativa indicata (art. 15, comma 6).

    Il secondo motivo con il quale viene dedotto il vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, in quanto sarebbe stato riconosciuto il perfezionamento del condono sebbene la società avesse provato di aver versato soltanto la prima rata e non anche la seconda, rimane assorbito dall'accoglimento del primo motivo.

    In conclusione il ricorso principale deve essere accolto, il ricorso incidentale deve essere rigettato, la sentenza impugnata va cassata e non occorrendo procedere ad ulteriori accertamenti in fatto, la causa può' essere decisa nel merito ex art. 384 c.p.c., comma 2 con il rigetto del ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente.

    Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in dispositivo, dovendo dichiararsi interamente compensate le spese dei gradi di merito.
    PQM
    P.Q.M.

    La Corte:

    - accoglie il ricorso principale, rigetta il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo proposto dalla società contribuente che condanna alla rifusione delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 13.000,00 per compensi oltre le spese prenotate a debito, dichiarate interamente compensate le spese relative ai gradi di merito.

    Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 28 maggio 2013.

    Depositato in Cancelleria il 11 dicembre 2013
Avv. Antonino Sugamele

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