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Sentenza

Studi di settore e parametri sono presunzioni semplici....
Studi di settore e parametri sono presunzioni semplici.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile - T, ordinanza 14 marzo - 14 maggio 2013, n. 11506
Presidente Cicala – Relatore Caracciolo

Osserva

La CTR di Palermo ha respinto l'appello dell'Agenzia -appello proposto contro la sentenza n.360/01/2005 della CTP di Messina che aveva accolto il ricorso del contribuente M.S. - ed ha così confermato l'avviso di accertamento di maggiore reddito e maggiore IVA relativa al periodo di imposta 1999, fondato sulla applicazione dei coefficienti presuntivi di reddito di cui all'art. 3 legge n. 549/1995 e DPCM 29.1.1996, come modificato dal DPCM 27.3.1997.
La predetta CTR ha motivato la decisione ritenendo che nella specie di causa, avendo l'Agenzia "considerato quale parametro di redditività il costo storico di tutti i beni ammortizzabili, non tenendo conto che l'utilizzo degli stessi avrebbe richiesto di utilizzare il loro valore al costo non ancora ammortizzato, ha determinato che la procedura adottata risulta influenzata da un cet1o livello di imprecisione che, di fatto sul piano probatorio, limita la fondatezza dei criteri di applicazione e di legittimità, rappresentando l 'inequivocabile prova dell'errata applicazione della procedura di accertamento seguita dall'Ufficio. Pertanto i parametri individuati ed elaborati dall'Ufficio non si possono considerare presunzioni di prova utili ai fini della determinazione induttiva del reddito imponibile ai fini IVA".
L'Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
La parte contribuente si è difesa con controricorso.
Il ricorso- ai sensi dell'art. 380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore, componente della sezione di cui all'art. 376 cpc- può essere definito ai sensi dell'art.375 cpc.
Ed invero, con il primo motivo di ricorso (incentrato sulla violazione di legge delle anzi menzionate disposizioni normative) la parte ricorrente si duole del fatto che il giudicante abbia omesso di considerare che - benchè le istruzioni ministeriali abbiano temperato la ricostruzione induttiva dei ricavi consentendone il ridimensionamento nel caso in cui il valore dei beni strumentali riguardi beni ormai obsoleti- nessuna richiesta in tal senso era stata avanzata dal contribuente neanche in sede contenziosa, giacchè la parte contribuente nulla aveva documentato in ordine ad un diverso valore da attribuire ai cespiti ammortizzabili. D'altronde, dalle dichiarazioni presentate dal contribuente negli anni successivi risultava attribuito ai beni strumentali il medesimo o un maggior valore.
Il motivo è inammissibile, per erronea identificazione dell'archetipo del vizio valorizzato.
Ne è sintomo la circostanza che la parte ricorrente -dopo avere genericamente identificato la disposizione di legge che il giudicante avrebbe violato- si limita poi, sostanzialmente, a dolersi del fatto che il giudicante -avvalendosi della sue prerogative di apprezzamento decisorio- abbia considerato idoneo a giustificare l'annullamento del provvedimento impositivo il dato della considerazione al costo storico dei beni ammortizzabili, in difetto di prova fornita dal contribuente sul punto. Si tratta -per evidenza- di circostanze di fatto e di valutazioni di puro merito che concernono il potere di ricostruzione della fattispecie concreta -dalla legge di rito assegnato in via esclusiva al giudice del merito- il cui apprezzamento non può costituire oggetto di erronea interpretazione o applicazione della norma, almeno non nell'ottica prospettata dalla parte ricorrente.
Ed invero è principio tante volte enunciato da questa Corte che:" In tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un'erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l'allegazione di un'erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all'esatta interpretazione della norma di legge e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l'aspetto del vizio di motivazione. Il discrimine tra l'una e l'altra ipotesi - violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta - è segnato dal fatto che solo quest'ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa".
Quanto poi al secondo motivo di impugnazione (centrato sulla omessa motivazione della sentenza) esso appare non meno inammissibile, per il fatto che la parte ricorrente non ha in alcun modo identificato il fatto controverso e decisivo in relazione al quale soltanto l'omissione della motivazione potrebbe rilevare come ragione di cassazione della pronuncia, limitandosi ad una sterile critica delle modalità argomentativa della decisione.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso m camera di consiglio per inammissibilità.
che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;
che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va rigettato;
che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente a rifondere le spese di lite di questo grado, liquidate in € 1.400,00 oltre accessori di legge ed oltre € 100,00 per esborsi.
Avv. Antonino Sugamele

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