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Sentenza

L'edificabilità di un'area, a fini fiscali, deve essere desunta dalla qualificaz...
L'edificabilità di un'area, a fini fiscali, deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel Piano regolatore generale adottato dal Comune.
Estremi

Autorità
    Cassazione civile  sez. trib.   
Data:
    06/03/2013 ( ud. 17/01/2013 , dep.06/03/2013 ) 
Numero:
    5515

 

    Intestazione

                        LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                             SEZIONE TRIBUTARIA                          
    Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
    Dott. MERONE      Antonio                         -  Presidente   -  
    Dott. CAPPABIANCA Aurelio                    -  rel. Consigliere  -  
    Dott. BRUSCHETTA  Ernestino Luigi                 -  Consigliere  -  
    Dott. CIGNA       Mario                           -  Consigliere  -  
    Dott. CRUCITTI    Roberta                         -  Consigliere  -  
    ha pronunciato la seguente:                                          
                         sentenza                                        
    sul ricorso proposto da: 
                 C.R., elettivamente domiciliata in Roma, via Ricciotti 
    n.   9,  presso  lo  studio  dell'avv.  COLACINO  VINCENZO,  che   la 
    rappresenta e difende; 
                                                           - ricorrente - 
                                   contro 
    AGENZIA   DELLE  ENTRATE,  in  persona  del  direttore  pro  tempore, 
    elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n.  12,  presso 
    l'AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che le rappresenta e difende; 
                                                     - controricorrente - 
    per   la  cassazione  della  sentenza  della  Commissione  tributaria 
    regionale  della Lombardia, sez. 37^, n. 65, depositata il 18  giugno 
    2006; 
    Udita  la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del 
    17.1.2013 dal consigliere relatore Dott. Aurelio Cappabianca; 
    udito, per la ricorrente, l'avv. Ernesto Carnevale Schianca; 
    udito,   per  l'Agenzia  controricorrente,  l'avvocato  dello   Stato 
    Giancarlo Caselli; 
    udito  il  P.M., in persona del sostituto procuratore generale  Dott. 
    SEPE Ennio Attilio, che ha concluso per il rigetto del ricorso. 
                     


    Fatto
    SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

    C.R. propose ricorso avverso avviso di accertamento, con il quale l'Ufficio aveva assoggettato a tassazione a fini irpef ed ilor, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 81, plusvalenza derivata dalla vendita, realizzata il 13.6.1997, di aree ritenute edificabili di cui era comproprietaria (al 50%) con il figlio R.D..

    A fondamento del ricorso, la contribuente deduceva che, al momento della compravendita, i terreni in rassegna non erano suscettibili di utilizzazione edificatoria, tra l'altro, perchè il Piano regolatore generale, che lo faceva ricadere in zona "D4" (che non escludeva l'utilizzazione edificatoria) non aveva ancora avuto attuazione a mezzo del piano particolareggiato. Allegava, inoltre, sentenza della medesima commissione, che aveva accolto analogo ricorso proposto dal figlio, comproprietario al 50%, avverso omologo accertamento.

    L'adita commissione tributaria accolse il ricorso, con decisione, che, in esito all'appello dell'Agenzia, fu, tuttavia, riformata dalla commissione regionale.

    Avverso la decisione di appello, la contribuente ha proposto ricorso per cassazione in quattro motivi.

    L'Agenzia ha resistito con controricorso.
    Diritto
    MOTIVI DELLA DECISIONE

    La commissione regionale, negata la rilevanza della decisione intervenuta nei confronti del comproprietario, ha richiamato la giurisprudenza delle Sezioni unite di questa Corte, secondo cui l'edificabilità di un'area, a fini fiscali, deve essere desunta dalla qualificazione ad essa attribuita nel Piano regolatore generale adottato dal Comune, indipendentemente dall'approvazione dello stesso da parte della Regione e dall'adozione di strumenti urbanistici attuativi ed ha puntualizzato che la situazione rilevante è quella esistente al momento della stipulazione dell'atto a nulla rilevando successive variazioni dello strumento urbanistico.

    A fronte di tali determinazioni del giudice a quo, con il terzo ed il quarto motivo di ricorso, prioritari sul piano logico, la contribuente censura la decisione impugnata - sotto il profilo della "violazione e/o falsa applicazione dell'art. 2909 c.c." e sotto quello dell'"omessa, insufficiente e/o contraddittoria motivazione" - per la mancata estensione degli effetti del favorevole giudicato intervenuto, in merito a controversia insorta su analogo accertamento emesso a carico del figlio, comproprietario indiviso dei terreni compravenduti.

    Le doglianze vanno disattese.

    La prima è infondata.

    Invero, la decisione sul ricorso proposto dal figlio comproprietario avverso l'accertamento notificatogli per la maggior irpef ed ilor a suo carico gravante, D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 81, per la plusvalenza derivata dalla vendita del fondo comune realizzata il 13.6.1997, ancorchè definitiva, è priva del valore vincolante proprio del giudicato ai fini della presente controversia, giacchè intervenuta in controversia non coincidente dal punto di vista soggettivo. E', infatti, ius receptum che l'autorità del giudicato sostanziale opera soltanto entro i rigorosi limiti degli elementi costitutivi dell'azione e presuppone quindi, necessariamente, che, tra la precedente causa e quella in atto, vi sia identità di soggetti (oltre che di petitum e di causa petendi). Il giudicato non è, dunque, vincolante rispetto ai terzi titolari di un rapporto autonomo ed indipendente rispetto a quello in ordine al quale è intervenuto, i quali non ne possono ricevere pregiudizio giuridico nè se ne possono avvalere a fondamento della loro pretesa (v. Cass. 591/11, 12271/05).

    Nella specie non può, d'altro canto, ritenersi operante nemmeno la previsione dell'art. 1306 c.c., (del resto, solo del tutto genericamente evocata nel contesto del quarto motivo di ricorso, ma non richiamato nel quesito di diritto). Manca, infatti, l'indefettibile presupposto dell'operatività della disposizione, costituito dalla ricorrenza di un vincolo di solidarietà tra i diversi soggetti dei rapporti oggetto delle distinte decisioni. A differenza di quanto avviene in tema d'imposta di registro e di invim (per i quali cfr. Cass. 14814/11, 28881/08, 19850/05, 1225/95), l'imposizione diretta non contempla, infatti, vincolo di solidarietà tra contribuenti diversi, pur nell'identità dell'oggettivo presupposto impositivo.

    Il quarto motivo, ancor prima che infondato per le ragioni espresse in precedenza, si rivela inammissibile, risolvendosi nella denunzia di un vizio di motivazione in diritto, che, in quanto tale, non può avere rilievo di per sè (cfr. Cass. 16640/05, 11883/03).

    Con il primo motivo di ricorso, la contribuente - dedotta violazione e falsa applicazione del (T.U.I.R.) D.P.R. n. 917 del 1986, art. 81" - formula il seguente quesito di diritto: "Costituisce violazione e/o falsa applicazione delle norme di diritto ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, l'aver ritenuto applicabile alla fattispecie in esame il (T.U.I.R.) D.P.R. n. 917 del 1986, art. 81, comma 1, lett. b), in assenza del presupposto impositivo; cioè la possibilità edificatoria dei terreni ceduti?".

    Con il secondo motivo - deducendo "omessa, insufficiente c/o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio" - la contribuente lamenta la mancata argomentazione dell'assunto, secondo cui, ai fini della qualificazione del terreno "bisogna aver riguardo al momento dell'adozione del P.R.G.C., e non a quello di entrata in vigore o di approvazione definitiva da parte della Regione".

    Entrambi i motivi sono inammissibili.

    Vertendosi in tema di ricorso per cassazione avverso sentenza di appello pubblicata dopo l'1.3.2006 (e prima del 4.7.2009), il primo motivo si rivela inammissibile per violazione delle prescrizioni di cui all'art. 366 bis c.p.c..

    Ai sensi della disposizione indicata, invero, i quesiti di diritto - dovendo assolvere la funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l'enunciazione del principio giuridico generale - non possono essere meramente generici e teorici (come quello che correda la doglianza), ma devono essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado poter comprendere dalla sola relativa lettura, l'errore asseritamente compiuto dal giudice a quo e la regola applicabile (v. Cass. s.u. 3519/08).

    Il secondo motivo si risolve invece, non diversamente dal secondo, nell'inammissibile denunzia di un vizio di motivazione in diritto.

    Alla stregua della considerazioni che precedono, s'impone il rigetto del ricorso.

    Per la soccombenza, la contribuente va condannata alla refusione delle spese del giudizio, liquidate come in dispositivo.
    PQM
    P.Q.M.

    La Corte: rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento in favore della controparte delle spese del giudizio, liquidate in complessivi Euro 2.500,00, oltre spese prenotate a debito.

    Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 17 gennaio 2013.

    Depositato in Cancelleria il 6 marzo 2013
Avv. Antonino Sugamele

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