Regime del margine: per la Suprema Corte è il contribuente che deve provare i presupposti che giustificano la deroga al normale regime impositivo.
CORTE DI CASSAZIONE – SENTENZA DEL 12 SETTEMBRE 2012, N. 15219
Svolgimento del processo
Con sentenza 9. 7.2009 n. 36 la Commissione tributaria della regione Veneto sez. IV ha parzialmente accolto l'appello proposto dall'Ufficio ……. 2 dell'Agenzia delle Entrate e in riforma della decisione n. 38/2007 emessa dalla CTP di ……., ha dichiarato legittimo l'avviso di accertamento emesso nei confronti di (..), titolare della omonima ditta individuale (autofficina), ed avente ad oggetto il recupero a della maggiore IVA per l'importo di € 54.714.00 dovuta dal contribuente in relazione a cessioni di auto usate acquistate da fornitori comunitari ed alle quali l'Ufficio aveva applicato l'imposta dovuta per operazioni intracomunitarie ritenendole escluse dal regime fiscale speciale c.d. “del margine” (introdotto nelle cessioni intracomunitarie di beni usati – al fine di evitare doppie imposizioni relative alle imposte sulla cifra di affari – dalla direttiva 94/5/CE del Consiglio del 14.2.1994, cui era stata data attuazione con il DL 23.2.1995 n. 41 conv. in legge 22.3.1995 n. 85).
l Giudici territoriali, rigettata la eccezione di inammissibilità dell'appello proposta dal contribuente e rilevato che l'Ufficio aveva contestato l'applicabilità nel caso di specie del regime fiscale del “margine di utile”, non potendo escludersi che le persone fisiche indicate nei libretti di circolazione fossero titolari di partita IVA, ritenevano fosse onere del contribuente dimostrare la sussistenza dei presupposti di legge per fruire del regime speciale del margine, gravando sul rivenditore nazionale che acquistava i veicoli usati dai fornitori comunitari l'onere di verificare preventivamente la esattezza delle indicazioni contenute nelle fatture e la esistenza dei presupposti di applicabilità del regime in questione, e dunque accertare:
1 – i requisiti fiscali del soggetto cedente-comunitario (cedente-comunitario non soggetto passivo IVA, ovvero soggetto passivo IVA ma beneficiario del regime fiscale del margine);
2 – le caratteristiche cui la legge ricollegava la qualifica di “usato” del bene ceduto (nella specie veicoli con percorrenza superiore a km 6.000 ed immatricolati da più di sei mesi)
3 – la corretta apposizione sulla fattura della annotazione concernente la applicazione del regime del margine (con assolvimento dell'IVA a monte).
Pertanto legittima doveva ritenersi secondo i Giudici di appello la pretesa fiscale, non avendo il contribuente dimostrato di aver verificato con la dovuta diligenza, propria dell'operatore del settore, sulla scorta dei documenti di circolazione dei veicoli, se la cessione dei beni potesse o meno fruire del regime del margine, rimanendo esclusa l'applicazione del regime speciale in presenza di cessioni di veicoli effettuate da soggetti che per la particolare qualità (società di noleggio, ditte di leasing) lasciavano presumere di aver destinato il veicolo alla propria attività d'impresa e di aver quindi portato in detrazione l'IVA sul costo del bene strumentale.
Il contribuente andava, invece, esente dalla irrogazione delle sanzioni pecuniarie, trovando applicazione la norma dell'art. 8 Dlgs. n. 546/92, attesa la obiettiva incertezza, evidenziata anche dalla contrastante giurisprudenza, della portata applicativa delle norme sul regime del margine.
Avverso la sentenza di appello ha proposto ricorso per cassazione il contribuente affidato a tre mezzi.
La Agenzia delle Entrate non ha notificato controricorso e si è costituita ai soli fini della partecipazione alla udienza discussione.
Motivi della decisione
1. Il ricorrente censura la sentenza per violazione delle norme che disciplinano il regime fiscale c.d. del margine di utile (art. 26 bis direttiva n. 77/388/CEE del 17.5.1977 e succ. mod.; artt. 36-40 DL n. 41/1995), avendo erroneamente la CTR ritenuto irregolare la fattura, emessa dai cedenti-comunitari, per omessa annotazione della indicazione del regime speciale applicabile, atteso che alcuna norma prevedeva tale requisito di validità (art. 26 bis, comma 9, Dir. 77/388/CEE; artt. 37 co. 2 e 38 DL n. 41/1995; art. 46 DL n. 331/93 relativo ai requisiti della fattura da emettere per operazioni intracomunitarie).
Il ricorrente ha formulato pertanto il quesito di diritto (sebbene non necessario in quanto la causa non ricade sotto la vigenza dell'art. 366 bis c.p.c. norma abrogata dall'art. 47 legge n. 69/2009, essendo stata pubblicata la sentenza impugnata in data successiva al 4.7.2009) chiedendo alla Corte se la applicazione del regime del margine di utile sia o meno condizionato dalla formale indicazione nella fattura che la operazione è regolata da detto regime.
Il motivo è inammissibile in quanto prospetta una censura inconferente con la ratio decidendi.
La questione relativa alla regolarità formale della fattura non è stata posta a fondamento della decisione della CTR veneta e non risulta sia stata oggetto di esame da parte del giudice di primo grado.
Come è dato rilevare dallo “svolgimento del processo” riportato nella sentenza impugnata, né il contribuente, né l'Ufficio, avevano svolto difese sul punto.
La stessa sentenza n. 38 del 2007 della CTP di ……., gravata di appello, aveva definito in primo grado la controversia in base ad altre ragioni determinanti: come risulta dalla vicenda processuale riportata nella sentenza dei Giudici di appello, infatti, la CTP aveva accolto il ricorso del contribuente ritenendo legittima la applicazione del regime fiscale speciale “perche tale era il regime utilizzato dal proprio cedente comunitario” ed in quanto non potevano essere “addossati compiti di indagine fiscale sul venditore volti ad accertare chi abbia applicato correttamente o meno il regime del margine, compiti questi spettanti alla Amministrazione finanziaria che è tenuta dimostrare l'eventuale non corrispondenza al vero delle dichiarazioni del fornitore” (cfr. sent. CTR pag. 3 motivaz. Nel passo della sentenza di prime cure riportato dal ricorrente, la CTP si limita, intatti, ad affermare che la fattura emessa non è ex se dimostrativa che la operazione eseguita fosse da ritenersi una cessione intracomunitaria, non essendo stata apposta alcuna delle indicazioni previste dall'art. 46 DL n. 331/93, non anche che la fattura era irregolare ai fini della applicazione del regime del margine).
Il richiamo effettuato dai Giudici di appello (pag. 7 sentenza) alle modalità di fatturazione disposte dalla direttiva 20.12.2001 n. 2001/115/CE (che ha ricevuto peraltro attuazione soltanto con il Dlgs n. 52/2004 e dunque con norma entrata in vigore successivamente alla notifica dell'avviso di accertamento relativo alle operazioni di cessione effettuate nell'anno di imposta 2003) che imponevano l'obbligo di specifica indicazione nella fattura della applicazione del regime del margine mediante espresso riferimento all'art. 26 bis della direttiva comunitaria n. 77/388/CEE sulla cifra di affari, ovvero ad altra disposizione dello Stato del cedente concernente tale regime o ancora ad altra espressione idonea ad indicare chiaramente che la operazione era regolata dal predetto regime fiscale, ha funzione meramente descrittiva della complessa vicenda normativa che ha dettato la disciplina del regime fiscale speciale, rimanendo, pertanto, estranea all'impianto decisionale e neppure presa in esame la questione della irregolarità formale della fattura, come risulta ancora in equivocamente, sia dalla tesi difensiva dell'Ufficio appellante (pag. 9 sentenza) che dalla motivazione della sentenza (pag. 12), essendo in entrambi i casi ritenuta assolutamente irrilevante la regolarità formale del documento, ai fini della corretta applicazione del regime del margine, dovendo in ogni caso attribuirsi prevalenza alla necessaria attività di verifica, da parte del cessionario, della effettiva esistenza dei presupposti ai quali la normativa riconduce la applicazione del regime.
Tale essendo la “ratio decidendi” della sentenza della CTR (che ha accolto l'appello dell'Ufficio finanziario esclusivamente sul punto concernente la negligenza dei contribuente per omessa verifica dei presupposti che consentivano l'applicazione del regime fiscale speciale) il motivo di ricorso va dichiarato inammissibile in applicazione il principio di diritto enunciato da questa Corte e ribadito dal Collegio secondo cui “la proposizione, con il ricorso per cassazione, di censure prive di specifica attinenza al “decisum” della sentenza impugnata è assimilabile alla mancata enunciazione dei motivi richiesti dall'art. 366 n. 4 cod. proc. civ., con conseguente inammissibilità – rilevabile anche d'ufficio – del ricorso stesso” (cfr. Corte cass. sez. lav. 13.10.1995 n. 10695; id. II sez. 9.10.1998 n. 9995; id. I sez. 24.2.2004 n. 3612; id. V sez. 3.8.2007 n. 17125).
2. Con il secondo motivo il ricorrente censura la violazione della regola del riparto dell'onere probatorio, sostenendo che i Giudici di appello avrebbero illegittimamente gravato il contribuente dell'onere della prova sui presupposti applicativi del regime del margine, mentre era compito dell'Amministrazione effettuare le necessarie indagini sulla qualifica soggettiva dei precedenti proprietari dei veicoli.
Il motivo da qualificarsi come violazione dell'art. 2697 c.c. (in relazione all'art. 360 co. 1 n. 3 c.p.c. ) è infondato.
Debbono richiamarsi al riguardo i principi di diritto espressi in subiecta materia da questa Corte:
il regime c.d. del margine rappresenta un regime “speciale” rispetto all'ordinario regime impositivo IVA riguardante gli acquisti intracomunitari (tanto è che il soggetto passivo può optare, in relazione a ciascuna cessione, per l'applicazione dell'imposta nei modi ordinari, ove intenda portare in detrazione l'IVA assolta: art. 36,comma 3, DL n. 41/1995): pertanto è onere del contribuente provare, a fronte di una contestazione dell'amministrazione, la sussistenza dei presupposti di fatto che giustificano la deroga al normale regime impositivo (cfr. Corte Cass. V sez, 31.1.2011 n. 2227 in motivazione)
- il difetto di tale prova comporta l'inapplicabilità del regime “de quo”, indipendentemente dalla consapevolezza che della inesistenza dei presupposti abbia avuto il cessionario, putendo eventualmente tale difetto di consapevolezza incidere solo sull'aspetto sanzionatorio» (cfr. Corte Cass. V sez. 31.1.2011 n. 2227);
- non vale allegare la estrema gravosità dell'onere di diligenza che graverebbe sul concessionario per svolgere gli accertamenti in ordine alle condizioni di soggetti residenti in altro Paese membro, quando “nel caso di autoveicoli, l'eventuale insussistenza di tali requisiti può talvolta essere agevolmente desunta dai libretti di circolazione… cosicché va senz'altro affermata l'esistenza di un particolare onere di diligenza in capo all'acquirente, anche mediato, riguardo a dati risultanti dai libretti di circolazione” (cfr. Corte Cass. V sez. 12.2.2010 n. 3427 in motivazione).
Pertanto il “rischio fiscale” della operazione intracomunitaria, realizzata con applicazione del regime del margine ma in difetto dei presupposti richiesti (nella specie per mancanza dei requisiti fiscali soggettivi degli operatori comunitari-cedenti), ricade sul cessionario che, nei limiti imposti dall'onere di diligenza richiesto in base alle concrete circostanze, non abbia verificato preventivamene la regolarità sostanziale della operazione (e non soltanto la regolarità formale della fattura) anche con riferimento alla condizione soggettiva del cedente, risultando maggiore il grado di impegno esigibile nella predetta verifica, in dipendenza della qualità professionale del cessionario, ove trattasi di operatore commerciale del settore (“diligentia viri eiusdem generis ac professionis”).
L'onere di verifica gravante sul cessionario-contribuente alla stregua dei documenti negoziali in suo possesso appare coerente sia con il principio di vicinanza al fatto oggetto di prova, venendo a trovarsi l'operatore commerciale – proprio in considerazione del rapporto che instaura con il soggetto la cui condizione soggettiva legittima il contribuente a fruire del regime fiscale speciale – in posizione privilegiata per effettuare ex ante un controllo delle condizioni di legge, rispetto a quello effettuato soltanto ex post dalla Amministrazione finanziaria; sia con la interpretazione del sistema del tributo armonizzato che le sentenze della Corte di giustizia della Unione europea, richiamate nella decisione del Giudice di appello, hanno fornito in relazione ad ipotesi di frode commesse nella catena delle operazioni commerciali da soggetti diversi dal contribuente: l'affermazione secondo cui il soggetto passivo d'imposta non può essere considerato responsabile della intenzione del terzo di agire in frode alla applicazione dell'IVA, è mediata, infatti, nelle pronunce della Corte di Lussemburgo dalla condizione essenziale che detto contribuente “non aveva o non doveva avere conoscenza” della frode (cfr. Corte giustizia CE III sez. 12.1.2006 in cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-484/03), il che è a dire che soltanto “gli operatori che adottano tutte le misure che si possono loro ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una frode”, possono fare affidamento sulla liceità di tali operazioni: un soggetto che “sapeva o avrebbe dovuto sapere che con il proprio acquisto partecipava ad una operazione che si iscriveva in frode all'IVA” non può evidentemente allegare la buona fede a garanzia dei diritti di detrazione o rimborso vantati in relazione alle operazioni compiute (cfr. Corte giustizia CE 6.7.2006 in cause rinite C-439/04 e C-440/04).
La sentenza della CTR veneta, che ha affermato l'inapplicabilità del regime del margine non avendo il contribuente fornito la prova che i precedenti intestatari dei veicoli, risultanti dai libretti di circolazione, non avessero utilizzato i veicoli ceduti come beni strumentali della attività di impresa fruendo della relativa detrazione IVA, deve ritenersi esente da censura in quanto conforme al principio di diritto affermato da questa Corte secondo cui (anche nel caso in cui sia specificamente annotata nella fattura la indicazione del regime del margine) il contribuente non è esonerato dalla prova dei fatti che legittimano la fruizione del regime del margine, le volte in cui la contestazione della Amministrazione trovi fondamento in elementi oggettivi (quali, come nella specie, la attività commerciale di vendita veicoli ovvero di autonoleggio svolta dalla impresa cedente – soggetto passivo IVA – e la natura strumentale dei beni-autoveicoli dalla stessa acquistati per essere rivenduti sul mercato, ovvero per essere concessi in godimento dietro corrispettivo) che consentano di inferire, mediante lo schema logico della presunzione, dai fatti noti il fatto ignorato (detrazione dell'IVA corrisposta a monte), determinandosi in virtù della presunzione una inversione dell'”onus probandi” a carico del contribuente, tenuto a dimostrare la sussistenza delle condizioni di fruibilità del regime del margine mediante la prova del fatto specifico che, nel caso concreto, consente di spiegare la deviazione dalla “normale” inferenza logica che viene tratta dai dati fattuali noti.
Né può obiettarsi che trattasi di prova diabolica, atteso che, nei caso in cui l'operatore comunitario-cedente – che in effetti risulti essere soggetto passivo IVA – dichiari in fattura di aver applicato a sua volta nel proprio Paese di residenza il regime del margine di utile, il cessionario dovrà comunque farsi parte diligente ed acquisire le necessarie informazioni attestanti l'utilizzo che del bene acquistato nel proprio Paese di residenza ha fatto in concreto l'operatore comunitario-cedente ovvero le ragioni dell'assolvimento in via definitiva dell'IVA da parte del medesimo soggetto al momento dell'acquisto del veicolo di occasione (come infatti riconosciuto dalla Corte di giustizia, anche la società che nell'esercizio della propria attività commerciale, acquista veicoli da concedere a noleggio ovvero in leasing, può fruire del regime speciale dell'IVA sul margine di utile, qualora tale società abbia acquistato a sua volta un veicolo di occasione “allorquando, al momento di tale acquisto, la detta società non ha potuto dedurre l'IVA che resta incorporata nel prezzo di acquisto”: Corte giustizia UE, sez. III sent. 8.12.2005 in causa C-280/04, Jyske Finans, paragr. 38 – nel caso esaminato dalla Corte di Lussemburgo la società di leasing di autoveicoli aveva acquistato i beni di occasione, poi rivenduti a terzi “senza possibilità di dedurre l'IVA compresa nel prezzo in quanto i venditori, ai sensi della normativa nazionale, non hanno potuto dichiarare l'IVA sul prezzo del veicolo”: paragr. 16).
3. Con il terzo motivo si censura la sentenza di appello per “mancanza di titolo normativo atto al recupero della imposta”, in quanto obbligato al pagamento della imposta nei confronti della Amministrazione è il cedente e non il cessionario.
L'assunto è infondato.
Premesso che il cessionario non è affatto obbligato alla applicazione del regime del margine (art. 36 co. 3 DL n. 41/1995), la “ratio” della disciplina volta ad evitare la doppia imposizione, non si risolve nella “surrogazione soggettiva” nel rapporto tributario del soggetto passivo IVA: ed infatti, nei Paese comunitario da cui il bene viene ceduto/esportato, soggetto passivo IVA permane pur sempre il cedente, che sconterà la imposta (eventualmente in regime di margine art. 36 co. 1 ultima parte DL n. 41/1995) nei confronti del proprio Stato (senza possibilità di portare in detrazione l'Iva corrisposta), mentre il cessionario viene ad assumere la posizione di soggetto passivo IVA (in regime di margine) nei confronti dello Stato in cui il bene viene acquistato/importato, dovendo assolvere alla imposta dovuta in attuazione di un distinto rapporto tributario.
In conclusione il ricorso deve essere rigettato con conseguente condanna della parte soccombente alla rifusione delle spese del presente giudizio liquidate in dispositivo.
PQM
La Corte:
- rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in € 3.000,00 per onorati oltre le spese prenotate a debito.
20-11-2012 09:09
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