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Sentenza

L’ammissione delle somme truffate in sede di patteggiamento valgono anche per l’...
L’ammissione delle somme truffate in sede di patteggiamento valgono anche per l’accertamento fiscale.
Sentenza n. 20133/12 del 16 Novembre 2012. 

Svolgimento del processo

A seguito della denunzia degli organi interni della Banca e delle conseguenti indagini preliminari, il contribuente fu imputato del delitto di truffa aggravata, per essersi appropriato di 1. 2.800.000.000, negli anni dal 1995 al 1998, sfruttando il ruolo di responsabile dell'ufficio estero della filiale di ….. della Banca (X).

A richiesta dell'imputato, la pendenza fu definita con sentenza ex art. 444 c.p.c., con la quale gli fu applicata la pena di anni uno e mesi quattro di reclusione e di 1. 600.000 di multa, con la sospensione condizionale della pena.

Sulla scorta del p.v.c. emesso dalla Polizia tributaria sulla base delle risultanze delle indagini penali, l'Agenzia delle Entrate riscontrato che le somme oggetto della truffa non erano state poste sotto sequestro – emise, ai sensi della previsione di cui all'art. 14, comma 4, 1. 537/1993, avvisi di accertamento irpef e c.s.s.n. sulle somme provento del reato, per tutti gli anni di cui all'imputazione, nonché avviso di liquidazione del tributo e cartella di pagamento, per le imposte del 1997.

Tali atti furono impugnati dal contribuente con separati ricorsi che, riuniti, furono accolti dall'adita commissione provinciale.

In esito all'appello dell'Agenzia, la decisione fu confermata dalla commissione regionale.

I giudici di appello rilevarono, in particolare, che – benché nell'ambito del processo tributario poteva essere legittimamente utilizzata come prova la decisione di applicazione della pena ai sensi dell'art. 444 c.p.p. – non poteva, comunque, essere superato il rilievo della mancanza di prova del quantum sottratto alla banca, asseverato anche dal fatto che la sentenza emessa dal giudice delle indagini preliminari ricollegava esplicitamente l'ammontare delle somme distolte alla segnalazione degli organi della Banca.

Avverso la sentenza di appello, l'Agenzia ha proposto ricorso per cassazione in due motivi.

Il contribuente ha resistito con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo motivo di ricorso, l'Agenzia denunciando “violazione e falsa applicazione degli artt. 37 e 38 del d.p.r. 600/73, degli artt. 444 e 445 del c.p.p. e degli artt. 2697 e 2721 e segg. del cod. civ.” – censura la decisione impugnata per non aver considerato che l'evasione fiscale a titolo di “redditi diversi”, perpetrata in relazione a somme conseguite attraverso la commissione di reati contro il patrimonio e, in particolare, di appropriazione indebita risulta perfettamente provata anche nel quantum, almeno a livello di applicazione di presunzioni gravi, precise e concordanti, dalla sentenza di condanna a seguito di patteggiamento.

Con il secondo motivo di ricorso, l'Agenzia denunziata “violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2127 e segg. c.c.” – censura la decisione impugnata per non aver considerato che il meccanismo della prova presuntiva si integra, oltreché con l'aspetto positivo della presenza delle presunzioni gravi, precise e concordanti, anche con quello negative dell'assenza della prova contraria che l'inversione del relativo onere in tali casi comporta.

Le censure, che per la stretta connessione possono essere congiuntamente esaminate, sono fondate.

Al riguardo, occorre premettere che il giudizio tributario è annoverabile, non tra quelli di impugnazione-annullamento, ma tra quelli di impugnazione-merito, in quanto (essendo il giudice tributario giudice investito della cognizione, non solo dell'atto, ma anche del rapporto) detto giudizio è diretto, non solo all'eliminazione dell'atto impugnato, ma, anche, alla pronunzia di una decisione di merito sostitutiva dell'accertamento dell'amministrazione finanziaria (ovvero della dichiarazione del contribuente); con la conseguenza che il giudice, che ritenga invalido l'avviso di accertamento per motivi (non formali, ma) di carattere sostanziale, non deve limitarsi ad annullare l'atto impositivo, ma deve esaminare nel merito la pretesa tributaria, e, operando una motivata valutazione sostitutiva, eventualmente ricondurla alla corretta misura entro i limiti posti dalle domande di parte (cfr. Cass. 28.770/05, 3309/04, 4280/01, 16171/00).

Da tali principi s'inferisce che, nel caso di specie, il giudice del gravame riconosciuta la fondatezza dell' “an” della pretesa impositiva (ex art. 14, comma 4, l. 537/1993) espressa dagli atti impugnati, ma ritenuto che il “quantum” dell'accertamento non era idoneamente supportato sul piano probatorio – non poteva eludere, come ha fatto, l'obbligo di definire la regolamentazione del rapporto litigioso, mediante la concreta definizione, alla luce delle acquisite risultanze probatorie, dell'entità dell' evasione.

Ciò posto, deve osservarsi che, secondo consolidate principio interpretativo di questa Corte (che lo stesso giudice a quo lascia intendere di condividere), la sentenza penale di applicazione della pena ex art. 444 c.p.p. (cd. di “patteggiamento”) – pur non risolvendosi in accertamento capace di fare stato nel giudizio civile o in quello amministrativo ed essendo quindi, al riguardo, priva di automatica ed ineludibile efficacia probatoria – implica pur sempre un'ammissione di colpevolezza, che costituisce indiscutibile elemento di prova almeno di natura presuntiva (cfr.: Cass. 5756/12, 26263/11, 10280/08, 17289/06, 19505/03, 2724/01), utilizzabile, in particolare, dal giudice tributario nel giudizio sull'accertamento ex art. 14, comma 4, l. 537/1993. Deve, peraltro, considerarsi che, in tal caso, l'indicata ammissione ed il conseguente rilievo presuntivo non possono ritenersi circoscritti all' “an” della pretesa fiscale, ma, in relazione alle indicazioni emergenti dal capo d'imputazione “patteggiato” ed alle risultanze delle indagini penali che ad esso hanno portato, si proiettano necessariamente sui relativi i profili quantitativi, concorrendo a definirli.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, s'impone l'accoglimento del ricorso dell'Agenzia.

La decisione impugnata va, dunque, cassata, con rinvio della causa, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Toscana.

PQM

Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per la regolamentazione delle spese del presente giudizio di legittimità, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Toscana.
Avv. Antonino Sugamele

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