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Sentenza

Liti pendenti: chiarimenti dell'Agenzia Entrate dopo la manovra di Ferragosto Ag...
Liti pendenti: chiarimenti dell'Agenzia Entrate dopo la manovra di Ferragosto Agenzia Entrate , circolare 24.10.2011 n° 48
Agenzia delle Entrate, Circolare 24 ottobre 2011, n. 48

OGGETTO: Chiusura delle liti fiscali minori – Articolo 39, comma 12, del decreto-legge 6 luglio 2011 n. 98 – Chiarimenti.

    INDICE
    Premessa
    1. Ambito di applicazione
    2. Liti pendenti
    2.1 Pronunce divenute definitive alla data di entrata in vigore del decreto legge n. 98 del 2011
    2.2 Liti pendenti a seguito di rinvio
    2.3 Pronunce di inammissibilità
    3. Lite autonoma e valore della lite
    3.1 Atti impugnati solo in parte
    3.2 Rettifica di perdite
    4. Ambito di definibilità delle liti
    4.1 Contributo al servizio sanitario nazionale
    4.2 Ruoli emessi a seguito della rettifica delle dichiarazioni in sede di liquidazione e controllo formale
    4.3 Atti di recupero di crediti d'imposta che realizzano un'agevolazione fiscale
    4.4 Avvisi di liquidazione e ruoli
    4.5 Sanzioni amministrative collegate al tributo
    4.6 Sanzioni amministrative comunque irrogate da Uffici finanziari
    4.7 Diniego o revoca di agevolazioni
    4.8 Tasse automobilistiche
    4.9 Contributi e premi previdenziali ed assistenziali
    4.10 Tributi locali
    4.11 Canone di abbonamento alla televisione Direzione Centrale Affari Legali e Contenzioso
    4.12 Silenzio-rifiuto o diniego di rimborso
    4.13 Precedenti definizioni agevolate
    4.14 Sanzioni per l'impiego di lavoratori irregolari
    4.15 Controversie instaurate da società di persone
    5. Modalità procedurali della definizione
    6. Soccombenza
    6.1 Inammissibilità del ricorso
    6.2 Soccombenza parziale
    7. Giudicato interno, somme dovute e rimborso delle eccedenze
    8. Pronuncia “resa”
    8.1 Rilevanza delle pronunce rese fino alla data di presentazione della domanda
    8.2 Definizione in pendenza di giudizio di rinvio o del termine di riassunzione
    8.3 Conciliazione giudiziale
    9. Perfezionamento, efficacia e validità della definizione
    9.1 Pronuncia di condanna dell'Agenzia alle spese di giudizio
    10. Scomputo delle somme già versate
    10.1 Somme versate in misura eccedente
    11. Modalità di pagamento
    12. Sospensione dei giudizi
    12.1 Sospensione dei termini
    13. Omesso versamento dell'importo dovuto
    14. Errore scusabile
    15. Diniego della definizione
    16. Coobbligati
    17. Estinzione del giudizio

Premessa

L'articolo 39 del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 981, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, concernente “Disposizioni in materia di riordino della giustizia tributaria”, al comma 12, disciplina la definizione delle liti fiscali “minori”. Prevede al riguardo che “Al fine di ridurre il numero delle pendenze giudiziarie e quindi concentrare gli impegni amministrativi e le risorse sulla proficua e spedita gestione del procedimento di cui al comma 92 le liti fiscali di valore non superiore a 20.000 euro in cui è parte l'Agenzia delle entrate, pendenti alla data del 1° maggio 2011 dinanzi alle commissioni tributarie o al giudice ordinario in ogni grado del giudizio e anche a seguito di rinvio, possono essere definite, a domanda del soggetto che ha proposto l'atto introduttivo del giudizio, con il pagamento delle somme determinate ai sensi dell'articolo 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 289”.

La novità riguarda le liti fiscali pendenti alla data del 1° maggio 2011, dinanzi alle Commissioni tributarie o al Giudice ordinario in ogni grado del giudizio, anche a seguito di rinvio.

Alla lettera f) dello stesso comma 12 si prevede che “con uno o più provvedimenti del Direttore dell'Agenzia saranno stabilite le modalità di versamento, di presentazione della domanda di definizione ed ogni altra disposizione applicativa” riguardante la norma in commento.

Con risoluzione del 5 agosto 2011, n. 82/E, sono state stabilite le modalità specifiche di versamento delle somme dovute per la definizione delle liti, da effettuarsi mediante compilazione dell'apposito modello “F24 con elementi identificativi” ed è stato, inoltre, istituito il codice tributo “8082” da indicare sul modello di versamento.

In data 13 settembre 2011 è stato pubblicato sul sito internet www.agenziaentrate.gov.it il provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate (protocollo 2011/119854), di “Approvazione del modello di domanda per la definizione delle liti fiscali pendenti ai sensi dell'articolo 39, comma 12, del decreto–legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111, e relative modalità di versamento”.

La presente circolare fornisce chiarimenti sull'applicazione della sopra citata disposizione normativa.

1. Ambito di applicazione

La definizione delle liti “minori”, prevista dall'articolo 39, comma 12, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98 (di seguito, per brevità, articolo 39 D.L. n. 98/2011) ricalca, in maniera sostanzialmente analoga, quella introdotta in passato con l'articolo 16 della legge 27 dicembre 2002, n. 2893 (di seguito, per brevità, articolo 16 legge n. 289/2002).

Il citato articolo 39 D.L. n. 98/2011, disponendo, infatti, che “… si applicano le disposizioni di cui al citato articolo 16”, opera un ampio rinvio al predetto articolo 16, sia pure con alcune specificazioni e adattamenti.

Conseguentemente, la presente circolare recupera, con i necessari adattamenti del caso, il patrimonio interpretativo elaborato in riferimento al citato articolo 16 legge n. 289/2002.

Di seguito si elencano alcuni, fra i più importanti, documenti di prassi emanati dall'Agenzia delle entrate con riferimento alla precedente chiusura delle liti fiscali pendenti.

    circolare 21 febbraio 2003, n. 12/E
    circolare 21 marzo 2003, n. 17/E
    circolare 25 marzo 2003, n. 18/E
    circolare 27 marzo 2003, n. 19/E
    circolare 28 aprile 2003, n. 22/E
    risoluzione 9 maggio 2003, n. 103/E
    risoluzione 9 maggio 2003, n. 104/E
    circolare 12 maggio 2003, n. 28/E
    risoluzione 18 dicembre 2003, n. 225/E
    risoluzione 15 giugno 2004, n. 80/E
    risoluzione 30 luglio 2004, n. 103/E
    circolare 2 febbraio 2007, n. 4/E

La definizione delle liti fiscali pendenti di cui all'articolo 39 D.L. n. 98/2011 presenta tre differenze fondamentali rispetto alla precedente definizione agevolata prevista dall'articolo 16 legge n. 289/2002:

    a) la precedente definizione operava con riferimento a tutte le liti in materia tributaria, in cui fosse parte l'Amministrazione finanziaria dello Stato, la nuova disposizione di cui all'articolo 39 D.L. n. 98/2011 limita la possibilità di definizione alle sole controversie pendenti in cui è parte l'Agenzia delle entrate;

    b) mentre non vi erano limiti di valore per definire le controversie ai sensi dell'articolo 16 legge n. 289/2002, la nuova definizione è consentita limitatamente alle liti “minori” il cui valore non sia superiore a 20.000 euro;

    c) in considerazione dell'esiguità delle somme dovute, è escluso il pagamento rateale degli importi dovuti in base alla definizione delle liti minori.

Pertanto, la norma consente di definire, a richiesta del contribuente, tutte le liti fiscali, nelle quali sia parte l'Agenzia delle entrate, concernenti “atti impositivi” e di “irrogazione delle sanzioni”, il cui valore non superi 20.000 euro, pendenti in ogni stato e grado del giudizio dinanzi ai seguenti organi giurisdizionali:

    Commissioni tributarie di ogni grado e giudizio (provinciali, regionali, di primo e di secondo grado di Trento e Bolzano e centrale4), anche a seguito di rinvio;
    Giudice ordinario, compresa la Corte di cassazione5.

Affinché una lite sia definibile devono sussistere contemporaneamente le seguenti condizioni:

    - la controversia deve avere ad oggetto rapporti di natura tributaria, ossia deve rientrare nella nozione di “lite fiscale” ed avere ad oggetto tributi amministrati dall'Agenzia delle entrate. Per lite fiscale si intende quella rientrante nella giurisdizione tributaria, come definita dall'articolo 2 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 5466. Si precisa che l'eventuale circostanza che la lite sia definitivamente radicata dinanzi agli organi della Giustizia tributaria per effetto di giudicato implicito non vale a mutarne la natura di lite non fiscale;

    - l'Agenzia delle entrate deve essere legittimata passivamente a stare in giudizio.

Essendo definibili soltanto le controversie nelle quali sia parte l'Agenzia delle entrate, viene esclusa la definizione delle liti che vedono come parti legittimate passive in primo grado altre Amministrazioni pubbliche.

Sono escluse, pertanto, dalla definizione tutte le liti in cui siano coinvolti come enti impositori altre Amministrazioni pubbliche, come le Regioni, gli Enti locali, le altre Agenzie fiscali, ecc.

Si ritiene che siano escluse dalla definizione anche le controversie, non riguardanti “atti impositivi”, relative all'operato dell'Agente della riscossione (quali ad esempio liti relative all'impugnazione di fermo amministrativo di veicoli, di iscrizione di ipoteca, di risposta ad istanze di rateazione, di cartella di pagamento – salvo quanto si dirà a riguardo in seguito), ancorché parte formale in giudizio risulti l'Agenzia delle entrate.

Sono, invece, definibili le liti relative ad atti impositivi emessi dall'Agenzia delle entrate che vedono come parte in giudizio, assieme all'Agenzia delle entrate7, anche l'Agente della riscossione.

Per le controversie definibili, ai sensi dell'articolo 39, comma 12, lettera e), “restano comunque dovute per intero le somme relative al recupero di aiuti di Stato illegittimi”. Ne consegue, in particolare, che le controversie relative alle “decisioni di recupero”, così come individuate dall'articolo 47-bis del d.lgs. n. 546 del 1992, non possono essere oggetto di definizione, indipendentemente dal loro valore. Si precisa che la norma va intesa nel senso che sono escluse dalla definizione, nella loro interezza, le controversie sul recupero degli aiuti di Stato illegittimi. Tale esclusione riguarda non solo il pagamento degli aiuti e dei relativi interessi, ma si estende anche alle relative sanzioni.

2. Liti pendenti

La definizione delle liti fiscali incide soltanto sui rapporti pendenti alla data del 1° maggio 2011 e non può riflettersi su quelli a tale data esauriti, perché interessati, in particolare, da un provvedimento divenuto definitivo per inutile decorso dei termini di impugnazione.

I concetti di «lite pendente» e di «valore della lite», come precisati dall'articolo 16 legge n. 289/2002, rilevano anche per la definizione delle liti “minori”, stante la generale previsione di rinvio al menzionato articolo 16.

Si considerano pendenti tutte le controversie originate da avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione per le quali:

    alla data del 1° maggio 2011 sia stato proposto l'atto introduttivo del giudizio in primo grado. In particolare, per i giudizi instaurati dinanzi alle Commissioni tributarie, si deve fare riferimento alla data in cui è stato notificato8 il ricorso all'Ufficio9, non essendo necessario che, entro il 1° maggio 2011, vi sia stata anche la costituzione in giudizio;
    prima dell'entrata in vigore del D.L. n. 98/2011 (entro il 5 luglio 2011) non sia intervenuta pronuncia giurisdizionale definitiva10; sono, pertanto, definibili le liti interessate da una pronuncia in primo o in secondo grado i cui termini di impugnazione non siano ancora scaduti; la lite può essere definita anche se pendente a seguito di sentenza di rinvio oppure se pendono i termini per la riassunzione.

Non sono, al contrario, suscettibili di definizione le cosiddette “liti potenziali”, ossia quelle in cui il ricorso in primo grado non sia stato presentato alla data del 1° maggio 2011 pur essendo, a tale data, pendenti i termini di impugnazione di un atto notificato11.

2.1 Pronunce divenute definitive alla data di entrata in vigore del decretolegge n. 98 del 2011

Premesso che possono essere definite anche le controversie interessate da sentenza già emessa alla data in cui si intende chiedere la definizione purché i relativi termini di impugnazione – anche per effetto di sospensione – alla stessa data non siano scaduti, occorre, in particolare, riscontrare volta per volta che – alla predetta data – non siano decorsi i termini per impugnare la sentenza emessa dalle Commissioni tributarie provinciali, regionali, centrale, dai Tribunali o dalle Corti d'appello.

Come si è detto nel paragrafo precedente, è da ritenere che il passaggio in giudicato di una pronuncia divenuta definitiva nel periodo compreso tra il 1° maggio 2011 ed il 5 luglio 2011, prima, cioè, dell'entrata in vigore del D.L. n. 98/2011, precluda la possibilità di definire la relativa controversia12.

Relativamente alle liti definibili, la lettera c) dell'articolo in commento stabilisce che dal 6 luglio 2011 “sono […] sospesi, sino al 30 giugno 2012 i termini per la proposizione di ricorsi, appelli, controdeduzioni, ricorsi per cassazione, controricorsi e ricorsi in riassunzione, compresi i termini per la costituzione in giudizio”.

Di conseguenza, la sospensione dei termini impedisce fino al 30 giugno 2012 il passaggio in giudicato delle decisioni i cui termini di impugnativa erano ancora pendenti al 6 luglio 2011, data di entrata in vigore del D.L. n. 98/2011.

Come si illustrerà in prosieguo, ai fini della determinazione dell'importo da versare per perfezionare la definizione, occorre tenere conto dell'ultima o dell'unica pronuncia giurisdizionale non cautelare sul merito, ovvero sull'ammissibilità dell'atto introduttivo del giudizio, resa alla data di presentazione della domanda di definizione.

2.2 Liti pendenti a seguito di rinvio

Sono definibili anche le liti fiscali pendenti a seguito di rinvio innanzi alle Commissioni tributarie o all'Autorità giudiziaria ordinaria di merito.

Considerato che la lettera c) del comma 12 dell'articolo 39 sospende i termini di riassunzione, si deve ritenere che è consentita la chiusura nelle ipotesi in cui sia stato disposto il rinvio, sia da parte della Corte di Cassazione sia da parte dei giudici di merito, a condizione che alla data del 6 luglio 2011 non fossero ancora spirati i termini per la riassunzione.

2.3 Pronunce di inammissibilità

Per effetto del rinvio operato dall'articolo 39 D.L. n. 98/2011 all'articolo 16 legge n. 289/2002 sono considerate liti pendenti anche le controversie per le quali, alla data del 1° maggio 2011, sia intervenuta una pronuncia giurisdizionale, anche di inammissibilità, e alla data dal 6 luglio 2011 non fossero ancora decorsi i termini per impugnarla.

Sono ammesse, pertanto, alla definizione anche le liti instaurate mediante ricorsi – in sé inammissibili – proposti oltre i termini prescritti dalla legge ovvero privi dei requisiti di forma e di contenuto previsti dall'articolo 18 del d.lgs. n. 546 del 1992 (quali, ad esempio, la sottoscrizione), purché prima del 6 luglio 2011 non sia intervenuta pronuncia definitiva di inammissibilità.

3. Lite autonoma e valore della lite

Ai fini della definizione in esame, costituiscono “liti autonome” quelle relative a ciascuno degli atti sopra indicati13, vale a dire avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione di sanzioni ed ogni altro atto di imposizione. Ne discende che, quando con il medesimo atto introduttivo del giudizio siano stati impugnati, ad esempio, più avvisi di accertamento, si hanno tante liti autonome quanti sono gli avvisi di accertamento impugnati, con riferimento a ciascuno dei quali deve essere calcolato il valore della lite. Ne consegue che la non definibilità di una o più liti autonome non esclude la possibilità di riferire la definizione anche alle altre “liti autonome” per le quali sussistano i requisiti di cui all'articolo 39 D.L. n. 98/2011.

La definizione di ciascuna lite autonoma si perfeziona con il versamento della somma dovuta, calcolata con riguardo al valore della stessa lite. Per la definizione, in sintesi, non rileva la circostanza che avverso una pluralità di atti impugnabili siano stati presentati uno o più ricorsi14.

Il valore della lite, da assumere come base di calcolo della definizione, è dato:

    a) dall'ammontare dell'imposta o maggiore imposta accertata che forma oggetto di contestazione nel giudizio di primo grado, con esclusione di interessi, eventuali sanzioni ed altri accessori collegati al tributo, anche se irrogati con separato provvedimento;

    b) dall'importo della sanzione, per le cause riguardanti esclusivamente un atto di irrogazione di sanzione collegata al tributo accertato non oggetto di contestazione;

    c) dall'importo della sanzione, per le liti riguardanti provvedimenti sanzionatori non collegati al tributo.

Tale criterio di calcolo è espresso all'articolo 16, comma 3, lettera c), legge n. 289/2002, secondo il quale il valore da assumere come base di calcolo per la definizione è costituito dall'importo del tributo contestato nell'atto introduttivo del giudizio di primo grado in riferimento a ciascun atto impugnato, a prescindere dagli ulteriori sviluppi della controversia. Ne discende che, anche qualora la controversia penda di fronte alla Commissione tributaria regionale, il valore della lite sarà, comunque, costituito dall'ammontare dell'imposta che aveva formato oggetto di contestazione da parte del contribuente nel primo grado del giudizio e indipendentemente dalla pronuncia del giudice di primo grado che, in accoglimento del ricorso del contribuente, abbia eventualmente rideterminato l'imposta in contestazione15.

L'articolo 39 D.L. n. 98/2011 presuppone, quindi, che la lite esprima un determinato valore sul quale calcolare le somme dovute. Ne discende che non sono ammesse alla definizione le liti il cui valore risulti indeterminato o indeterminabile, oppure quelle concernenti atti che non recano l'indicazione né dell'importo dell'imposta né delle sanzioni. In tal caso, infatti, non esiste un importo quantificabile sul quale applicare le percentuali previste dall'articolo 39, D.L. n. 98/2011 ai fini della definizione della lite.

Nel valore della lite non si computano né gli interessi, né le indennità di mora, né le sanzioni collegate alla maggiore imposta accertata, anche se queste siano state irrogate con atto separato dall'avviso di accertamento. Ove siano state irrogate sanzioni collegate ad un tributo, ma lo stesso non abbia formato oggetto di contestazione o non sia più in contestazione, il giudizio, introdotto allo scopo di contestare le sanzioni può essere definito avendo riguardo solo all'ammontare di queste ultime.

Qualora, nell'ipotesi sub c), la lite riguardi provvedimenti di irrogazione di sanzioni non collegate dal tributo, l'importo delle stesse è assunto ai fini della determinazione del valore della lite.

In applicazione dell'articolo 16, comma 3, legge n. 289/2002, cui l'articolo 39 D.L. n. 98/2011 rinvia, il valore della lite deve essere determinato con riferimento a ciascuno degli atti oggetto di contestazione nell'atto introduttivo del giudizio, indipendentemente dal numero di soggetti interessati e dal numero di tributi in essi indicati. Ne consegue che, quando un atto definibile si riferisca a più tributi (per esempio, Irpef e Irap ovvero imposta di registro, ipotecaria e catastale) il valore della lite deve essere calcolato con riferimento al totale delle imposte che hanno formato oggetto di contestazione nel giudizio in primo grado. Il riferimento – contemplato all'articolo 39 D.L. n. 98/2011 – al valore massimo della lite definibile, pari a 20.000 euro, implica che tale ammontare vada riferito all'importo complessivo di tutte le imposte in contestazione considerate in ciascun atto impugnato. La definizione deve interessare la vertenza nella sua interezza, non essendo ammessa la chiusura parziale della lite, ossia limitatamente ad una sola parte della materia del contendere o solo a una parte dei tributi in contestazione.

Se, ad esempio, la lite è relativa a un avviso riguardante sia l'Irpef sia l'Irap, non è dato effettuare una definizione parziale relativamente solo all'Irpef o all'Irap, ma dovrà essere versato un importo commisurato alla somma delle predette imposte.

Fanno eccezione le ipotesi – a dire il vero infrequenti – in cui una lite autonoma abbia per oggetto sia rapporti tributari definibili che rapporti non definibili. Solo in queste situazioni è dato definire parzialmente la lite, determinando il valore della stessa senza considerare i tributi e le sanzioni non definibili. In tali ipotesi, il giudizio prosegue per la parte relativa a questi ultimi16.

I principi enunciati nel presente paragrafo si applicano anche nel caso in cui più giudizi separati abbiano formato oggetto di riunione ai sensi dell'articolo 29 del d.lgs. n. 546 del 1992. E', pertanto, irrilevante l'eventuale riunione di più giudizi, in quanto il valore da considerare è sempre quello relativo alla lite inizialmente instaurata.

3.1 Atti impugnati solo in parte

Come anticipato, nel caso in cui, con un unico provvedimento o con provvedimenti separati, l'Ufficio abbia richiesto in pagamento il tributo e le sanzioni amministrative ad esso collegate e il contribuente abbia limitato la contestazione in primo grado soltanto alle sanzioni (prestando acquiescenza al tributo), per il calcolo dell'importo dovuto ai fini della definizione occorre fare riferimento esclusivamente alle sanzioni contestate.

Anche in tal caso, sembra corretto, invero, ammettere il contribuente alla definizione della lite, estendendo alla fattispecie in esame il trattamento proprio delle controversie riguardanti i provvedimenti di irrogazione di sanzioni non collegate al tributo.

Nel caso in cui il ricorso contesti solamente una parte dei tributi chiesti in pagamento con l'atto impugnato, la definizione può ammettersi assumendo come valore della lite l'ammontare del tributo in contestazione in primo grado, senza tener conto né dell'importo dei tributi non contestati né delle sanzioni e dei relativi interessi.

3.2 Rettifica di perdite

Sono definibili le liti originate dall'impugnazione di un atto di accertamento con cui si è proceduto alla rettifica di una perdita. Per la verifica del limite di valore fissato dall'articolo 39 del D.L. n. 98/2011 e la determinazione dell'importo dovuto per la definizione occorre distinguere due ipotesi:

    a) il contribuente intende definire la lite ma non affrancare la perdita;

    b) il contribuente intende definire la lite ed affrancare la perdita.

Nella ipotesi sub a) (definizione senza affrancamento) il valore della lite è dato alla maggiore imposta accertata, o, in mancanza di imposta, dalle sanzioni irrogate.

Nell' ipotesi sub b), relativa ad un avviso di accertamento che, a seguito della rettifica delle perdite, evidenzi un imponibile o, comunque, delle imposte dovute, il valore della lite si ottiene sommando alle maggiori imposte accertate anche l'imposta “virtuale” commisurata all'ammontare delle perdite in contestazione.

Ove, invece, la rettifica delle perdite non abbia comportato accertamento di imposte, il valore della lite rilevante ai fini della definizione è determinato sulla base della sola imposta “virtuale” che si ottiene applicando le aliquote vigenti per il periodo d'imposta oggetto di accertamento all'importo risultante dalla differenza tra la perdita dichiarata e quella accertata (cfr. circolare 21 marzo 2003, n. 17/E, paragrafo 1.11, intitolato “Articolo 16 - Determinazione del valore della lite in caso di controversie concernenti rettifiche delle perdite”).

Ad esempio, in relazione ad un avviso di accertamento emesso per rettificare in diminuzione una perdita dichiarata ai fini Ires da una società per azioni, l'aliquota proporzionale prevista dall'articolo 77 (ex articolo 91) del Testo Unico delle Imposte sui Redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917 (di seguito, TUIR), va applicata sulla differenza come sopra determinata. Invece, nel caso in cui sia stata rettificata una perdita dichiarata ai fini Irpef troveranno applicazione le aliquote progressive per scaglioni previste per l'anno accertato dall'articolo 11 del TUIR.

Per effetto dell'affrancamento delle perdite indotto dalla definizione, le stesse rilevano ai fini della determinazione dei redditi dei periodi d'imposta successivi e comportano il venir meno degli effetti della rettifica in contestazione nei periodi d'imposta successivi a quello per cui si effettua la chiusura della lite.

A maggior chiarimento di quanto esposto si propone il seguente esempio, già riportato nella circolare n. 17/E del 2003 con riguardo alla definizione ai sensi dell'articolo 16 legge n. 289/2002.

Una società per azioni, per l'anno d'imposta 2007, ha dichiarato ai fini Ires una perdita di 50.000 euro, computata interamente in diminuzione del reddito complessivo dell'anno successivo, anch'esso, per semplicità, pari a 50.000 euro. Per effetto di tale computo, il reddito dichiarato per l'anno 2008 diviene pari a 0. A seguito di avviso di accertamento notificato ai fini Ires per l'anno d'imposta 2007, la perdita di tale periodo viene completamente disconosciuta. Anche per l'anno d'imposta successivo (2008) viene notificato avviso di accertamento, col quale viene recuperata la perdita generata nel 2007 e computata in diminuzione nel periodo d'imposta 2008 e viene, inoltre, rideterminato il reddito complessivo per effetto del recupero a tassazione di maggiori ricavi (ad esempio pari a 20.000 euro). Il reddito accertato è, pertanto, pari a 70.000 euro (50.000 euro derivanti dalla rettifica della perdita dichiarata per il 2007 più 20.000 euro per effetto della rettifica dei ricavi). Tali atti vengono integralmente impugnati e la lite pende alla data del 1° maggio 2011 in
Commissione tributaria provinciale.

Riepilogando, avremo:

	Dichiarato (importi in euro) 	Accertato (importi in euro)
Anno d'imposta 2007 		
Perdita 	

- 50.000
	

0
Anno d'imposta 2008 		
Reddito imponibile 	

0
	

70.000

In tal caso possono prospettarsi le seguenti soluzioni.

1. La società può definire la lite pendente relativa all'anno d'imposta 2007, ai sensi dell'articolo 39 D.L. n. 98/2011. Il costo della definizione viene determinato prendendo a base l'imposta virtuale calcolata sulla perdita rettificata:

    - 50.000 euro x 33 per cento17 = 16.500 euro (valore della lite pari all'imposta virtuale calcolata sulla perdita azzerata per effetto della rettifica)

    - 16.500 euro x 30 per cento = 4.950 euro (costo della definizione determinato applicando all'imposta virtuale l'aliquota del 30 per cento prevista per le liti pendenti in primo grado, per le quali non sia ancora intervenuta alcuna pronuncia).

In tal caso, il contribuente può affrancare l'intera perdita dichiarata e computarla in diminuzione dell'imponibile relativo all'anno d'imposta 2008.

Nella lite relativa a quest'ultimo anno d'imposta verrà a cessare parzialmente la materia del contendere, limitatamente al recupero operato dall'ufficio per effetto del disconoscimento delle predette perdite. La controversia proseguirà per il rilievo riguardante i maggiori ricavi recuperati a tassazione (nell'esempio pari a 20.000 euro) ovvero potrà essere definita ai sensi dell'articolo 39 D.L. n. 98/2011, commisurando il valore della lite all'imposta corrispondente ai soli maggiori ricavi.

2. In alternativa, la società può anche definire solo la lite relativa all'anno d'imposta 2008. In tal caso, non essendo definibile parzialmente la controversia, il valore della lite è pari all'imposta relativa all'intero maggior imponibile accertato (27,5 per cento18 di 70.000 euro = 19.250 euro), sul quale va applicata l'aliquota del 30 per cento prevista dall'articolo 39 D.L. n. 98/2011.

In tal caso il costo della definizione è pari a: 19.250 euro x 30 per cento = 5.775 euro.

4. Ambito di definibilità delle liti

Possono essere definite, ai sensi della normativa in commento, le controversie aventi ad oggetto avvisi di accertamento, provvedimenti di irrogazione delle sanzioni e ogni altro atto di imposizione.

Non sono definibili le controversie instaurate con ricorsi avverso atti diversi da quelli impugnabili ai sensi dell'articolo 19 del d.lgs. n 546 del 1992, non aventi natura di “atti impositivi”. Ad esempio sono escluse dalla definizione le controversie instaurate a seguito dell'impugnazione di comunicazioni di irregolarità, ovvero di risposte ricevute ad istanze di interpello, ovvero, ancora, di dinieghi di autotutela. In tali circostanze l'impugnazione non ha ad oggetto “atti impositivi”. Restano, invece, definibili le controversie instaurate avverso gli atti impositivi veri e propri conseguenti o precedenti a quelli in esame.

4.1 Contributo al servizio sanitario nazionale

Come evidenziato nella circolare n. 12/E del 2003, sono definibili le controversie riguardanti il contributo al servizio sanitario nazionale, che, ai sensi dell'articolo 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, rientrano nella giurisdizione delle Commissioni tributarie.

4.2 Ruoli emessi a seguito della rettifica delle dichiarazioni in sede di liquidazione e controllo formale

In linea generale, non sono definibili le liti fiscali aventi ad oggetto i ruoli emessi per imposte e ritenute indicate dai contribuenti e dai sostituti d'imposta nelle dichiarazioni presentate, ma non versate. I controlli su tali versamenti sono disciplinati espressamente dalla lettera f) del comma 2 dell'articolo 36-bis del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, per le imposte sui redditi e l'Irap, e dalla lettera c) del comma 2 dell'articolo 54-bis del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, per l'Iva.

Al recupero delle imposte non versate non si provvede, infatti, mediante atto “impositivo” che presupponga la rettifica della dichiarazione, ma con atto di mera riscossione, ricognitivo di quanto indicato dal contribuente o dal sostituto nella dichiarazione.

Considerazioni analoghe valgono anche per l'ipotesi disciplinata dal comma 2-bis19 dell'articolo 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973, introdotto dall'articolo 2, comma 10, lettera a), del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 dicembre 2005, n. 248, che prevede la possibilità per l'Amministrazione finanziaria di controllare la tempestiva effettuazione dei versamenti ancor prima della presentazione della dichiarazione annuale da parte del contribuente o del sostituto d'imposta.

Nell'esclusione in esame rientra, inoltre, l'ipotesi di omesso versamento dell'Irap dovuta dai lavoratori autonomi che, dopo aver indicato detta imposta in dichiarazione, ne hanno poi omesso il versamento per ritenuta insussistenza del presupposto dell'autonoma organizzazione, di cui all'articolo 2 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446. Ai fini della definizione della lite occorre avere riguardo, infatti, alla tipologia di atto impugnato e non, invece, alle eccezioni sollevate dal ricorrente. E, nel caso di specie, oggetto di impugnazione è il ruolo, ossia un atto privo di contenuto “impositivo”, in quanto formato sulla base di quanto dichiarato dal contribuente.

Anche nel caso in cui, con la liquidazione della dichiarazione ai sensi dei citati articoli 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972, si provveda al recupero di un credito proveniente dal precedente periodo d'imposta per il quale la dichiarazione risulta omessa, si esercita una potestà riconducibile essenzialmente alla mera liquidazione delle imposte, con la conseguenza che la controversia sorta a seguito dell'impugnativa del relativo ruolo non è definibile.

E' noto, peraltro, che le disposizioni di cui agli artt. 36-bis del D.P.R. n. 600 del 1973 e 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972, disciplinanti la liquidazione delle dichiarazioni, consentono di provvedere, in aggiunta al controllo dei versamenti, anche alla rettifica di alcuni dati indicati nella dichiarazione e alla conseguente iscrizione a ruolo delle imposte dovute in misura superiore rispetto a quella dichiarata e liquidata dai contribuenti. Analogo discorso vale per il controllo formale delle dichiarazioni dei redditi ai sensi dell'articolo 36-ter del D.P.R. n. 600 del 1973.

Si pensi alla riduzione o all'esclusione di deduzioni e detrazioni non spettanti sulla base dei dati dichiarati dai contribuenti, mediante la procedura di cui agli artt. 36-bis e 36-ter del D.P.R. n. 600 del 1973, ovvero alle correzioni effettuate ai sensi dell'articolo 54-bis del D.P.R. n. 633 del 1972.

In tali circostanze il ruolo si differenzia dall'atto di mera riscossione dell'imposta, già dichiarata, liquidata e non versata dal contribuente e, dal momento che scaturisce dalla rettifica della dichiarazione, esso assolve anche una funzione di provvedimento impositivo.

Le relative controversie sono ammesse, pertanto, alla definizione, ancorché riguardanti il ruolo.

In tal caso, il contribuente che, alla data del versamento dell'importo dovuto per la definizione, non abbia ancora pagato la cartella, acquisisce, a seguito della verifica della regolarità della domanda presentata, il diritto allo sgravio del ruolo.

Qualora, invece, prima della presentazione della domanda il contribuente abbia già pagato per intero la cartella, non vi è sostanzialmente interesse alla definizione, in quanto, come meglio si vedrà in seguito, fatta salva l'ipotesi in cui sia già intervenuta la soccombenza dell'Agenzia delle entrate, non si ha diritto al rimborso dei versamenti effettuati.

4.3 Atti di recupero di crediti d'imposta che realizzano un'agevolazione fiscale

La giurisprudenza ha riconosciuto natura impositiva anche agli atti con i quali gli Uffici recuperano crediti d'imposta che realizzano un'agevolazione fiscale, indebitamente utilizzati. In particolare la Corte di Cassazione, nel pronunciarsi sulla giurisdizione, ha sottolineato che “In tema di contenzioso tributario gli avvisi di recupero di crediti di imposta illegittimamente compensati, oltre ad avere una funzione informativa dell'insorgenza del debito tributario, costituiscono manifestazioni della volontà impositiva da parte dello Stato al pari degli avvisi di accertamento o di liquidazione e, come tali, sono impugnabili innanzi alle Commissioni tributarie, ai sensi dell'articolo 19 del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546” (Cass. sez. V, Ordinanza 7 aprile 2011, n. 8033)20.

Tali atti, dunque, in quanto volti, previo diniego del diritto all'agevolazione, a recuperare il credito d'imposta utilizzato, rientrano nel novero degli “atti impositivi” e, pertanto, si ritiene che una controversia scaturita dall'impugnazione degli stessi possa formare oggetto di definizione, qualora ricorrano gli altri presupposti richiesti dall'articolo 39 del D.L. n. 98/2011.

4.4 Avvisi di liquidazione e ruoli

Come si è detto, in generale non sono definibili l'avviso di liquidazione e il ruolo, considerato che tali atti, finalizzati alla mera liquidazione e riscossione del tributo e degli accessori, non sono riconducibili alla categoria degli “atti impositivi”.

Gli avvisi di liquidazione, in particolare, attengono a procedimenti che non prevedono l'autoliquidazione dei tributi. Essi non presuppongono, di norma, operazioni di rettifica delle dichiarazioni presentate dai contribuenti, ma si limitano a trarre le necessarie conseguenze dai dati in esse dichiarati.

Occorre, tuttavia, evidenziare che, ai fini della definizione rileva la natura sostanziale dell'atto impugnato, prescindendo dal “nomen iuris”. In tal senso si è espressa la Corte di cassazione con riferimento all'avviso di liquidazione dell'imposta di registro, volto a far valere “per la prima volta nei confronti del contribuente una pretesa fiscale maggiore di quella applicata al momento della richiesta di registrazione” (Cass. 6 Ottobre 2010, n. 20731). In questo caso, infatti, l'avviso di liquidazione assume natura di atto impositivo, in quanto destinato ad esprimere, per la prima volta, nei confronti del contribuente una pretesa fiscale maggiore di quella applicata, in via provvisoria, al momento della richiesta di registrazione.

Con la circolare del 28 aprile 2003, n. 22/E, punto 12.3, è stata chiarita anche la questione della definibilità della lite relativa all'avviso di liquidazione dell'imposta principale di successione.

Posto che in sede di liquidazione di tale imposta, l'Ufficio effettua un controllo ai sensi dell'articolo 33 del decreto legislativo 31 ottobre 1990, n. 346, volto a correggere errori materiali e di calcolo commessi dal dichiarante e oggettivamente desumibili dal contesto della dichiarazione, ma anche ad escludere riduzioni e detrazioni non spettanti o non documentate e oneri deducibili non documentati, è necessario valutare caso per caso la natura dell'atto amministrativo secondo criteri analoghi a quelli indicati per la liquidazione delle dichiarazioni delle imposte sui redditi, Irap e Iva.

In breve, nel caso in cui l'Ufficio si limiti a determinare l'entità del tributo dovuto, secondo i dati dichiarati dal contribuente stesso, l'avviso di liquidazione non è definibile.

Qualora, invece, provveda anche alla rettifica della dichiarazione, previo disconoscimento, ad esempio, di passività, riduzioni e detrazioni indicate nella stessa, il relativo atto ha natura “impositiva” e può essere, pertanto, parzialmente definito. Con la definizione della parte “impositiva” dell'atto, il giudizio prosegue per la parte relativa all'imposta liquidata sulla base dei dati dichiarati dal contribuente Più in generale si può affermare la parziale definibilità dell'atto qualora, oltre che di liquidazione o riscossione degli omessi versamenti, esso assolva anche funzione “impositiva”.

Come è noto, la cartella di pagamento, quando è preceduta da un avviso di accertamento, costituisce atto di riscossione della somma dovuta in base all'avviso stesso e non un autonomo atto impositivo; non è definibile, pertanto, la lite fiscale promossa con impugnazione della cartella preceduti dall'avviso di accertamento21.

Possono essere definite, al contrario, le controversie generate da ricorsi avverso ruoli che non siano state precedute da atti impositivi presupposti e, conseguentemente, portino per la prima volta il contribuente a conoscenza della pretesa tributaria.

In particolare, nelle ipotesi in cui la cartella di pagamento deve essere preceduta dall'avviso di accertamento, la lite è definibile se il contribuente ha proposto ricorso avverso la cartella eccependo l'invalidità della notifica del relativo atto impositivo e sempre che quest'ultimo non costituisca oggetto di distinto giudizio. In altri termini, il contribuente può avvalersi dell'articolo 39, D.L. n. 98/2011, qualora abbia impugnato il ruolo, assumendo di non aver ricevuto una valida notifica dell'avviso di accertamento. In questo caso, la cartella costituisce il primo atto attraverso il quale il contribuente è venuto a conoscenza della pretesa impositiva, essendo in contestazione l'asserita inesistenza o nullità della notifica dell'atto impositivo, che, se confermata dal giudice, determina la declaratoria di nullità del ruolo. Ai fini della definibilità della lite, non è necessario che nell'atto introduttivo del giudizio avverso la cartella sia stato richiesto espressamente anche l'annullamento dell'avviso di accertamento, ma è sufficiente che sia stata contestata la validità della relativa notifica, seppure al limitato fine di ottenere l'annullamento del ruolo.

Qualora, invece, l'avviso di accertamento sia stato impugnato, anche tardivamente, in quanto ritenuto irritualmente notificato e, per lo stesso motivo, sia stato proposto un distinto ricorso avverso la successiva cartella di pagamento, la lite da definire è quella concernente l'accertamento. In conseguenza della chiusura di tale lite, si potrà richiedere pronuncia di estinzione per cessazione della materia del contendere anche nel giudizio instaurato avverso la cartella di pagamento.

4.5 Sanzioni amministrative collegate al tributo

Ove con provvedimento separato siano state irrogate sanzioni collegate a un tributo non più in contestazione, perché, ad esempio, la relativa controversia autonomamente instaurata non è più pendente alla data del 1° maggio 2011, è consentito chiudere la lite per la parte tuttora pendente avendo riguardo all'ammontare delle sanzioni.

Analogamente, è ammessa la definizione qualora la lite abbia ad oggetto sanzioni amministrative collegate al tributo separatamente irrogate a soggetto diverso dal contribuente (ad esempio, amministratore, rappresentante, dipendente).

4.6 Sanzioni amministrative comunque irrogate da Uffici finanziari

Come evidenziato nella circolare del 21 febbraio 2003, n. 12/E, emanata con riferimento all'articolo 16 legge n. 289/2002, è ammessa la possibilità di definire anche le liti pendenti dinanzi alle Commissioni tributarie o al Giudice ordinario concernenti sanzioni amministrative comunque irrogate da Uffici finanziari. Tale possibilità discende dalla modifica apportata dall'articolo 12, comma 2, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, all'articolo 2 del d.lgs. n. 546 del 1992, che ha esteso, a decorrere dal 1° gennaio 2002, la giurisdizione speciale delle Commissioni tributarie a tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni genere e specie, comprese le sanzioni amministrative non tributarie irrogate dagli Uffici finanziari.

Deve, in ogni caso, trattarsi di sanzioni che, anche se non strettamente correlate alla violazione di norme disciplinanti il rapporto tributario, siano connesse con violazioni di disposizioni riconducibili all'ordinamento giuridicotributario e attinenti alla gestione dei tributi22. Solo in tal caso, infatti, la relativa controversia può qualificarsi “fiscale” e, quindi, essere ammessa alla definizione.

4.7 Diniego o revoca di agevolazioni

L'articolo 39 D.L. n. 98/2011 presuppone che la lite definibile esprima un determinato valore sul quale calcolare le somme dovute. Tale valore è dato dai tributi (o dalle sanzioni, quando queste non siano collegate ai tributi) accertati dall'Ufficio e contestati con il ricorso introduttivo del giudizio di primo grado.

Una vertenza che riguardi esclusivamente la spettanza di un'agevolazione non può essere, di conseguenza, definita poiché in essa non si fa questione di un tributo preteso dall'Agenzia delle entrate, in base al quale determinare la somma dovuta. La lite è, al contrario, definibile qualora, con il provvedimento impugnato, l'Agenzia delle entrate non si sia limitata a negare o revocare l'agevolazione tributaria, ma contestualmente abbia accertato e richiesto anche il tributo o il maggiore tributo e/o abbia irrogato le relative sanzioni conseguentemente dovute.

4.8 Tasse automobilistiche

Le controversie relative alle tasse automobilistiche dovute da soggetti residenti nelle Regioni a statuto speciale, nelle quali sia parte l'Agenzia delle entrate, quale ente che ne cura la gestione23, riguardano principalmente atti con cui si contesta al contribuente l'omesso versamento della tassa dovuta in base alle risultanze dei registri pubblici. In quanto tali, esse non sono definibili.

Anche in questo caso, peraltro, deve ammettersi la definibilità qualora le controversie discendano da atti impositivi diversi dalla mera liquidazione dell'obbligazione tributaria o dal recupero di versamenti omessi.

4.9 Contributi e premi previdenziali ed assistenziali

Nonostante gli avvisi di accertamento relativi alle dichiarazioni dei redditi presentate a partire dal 1° gennaio 1999 rechino, oltre alle imposte accertate, anche l'indicazione dei contributi e premi previdenziali ed assistenziali liquidati in base al maggior imponibile accertato, le controversie relative a tali contributi e premi, instaurate nei confronti degli enti previdenziali rientrano nella giurisdizione del giudice ordinario.

I contributi in esame non hanno, infatti, la natura di “tributi di ogni genere e specie”, che l'articolo 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 fa ricadere nella giurisdizione degli organi di giustizia tributaria.

I contributi previdenziali, in sintesi, non costituiscono oggetto di liti fiscali e non rientrano, peraltro, nella giurisdizione delle Commissioni tributarie né tanto meno è configurabile, in relazione alle relative controversie, la legittimazione passiva dell'Agenzia delle entrate.

Ne consegue che le controversie riguardanti i contributi non sono definibili ai sensi dell'articolo 39 D.L. n. 98/2011.

Ai fini della determinazione del valore della lite fiscale definibile non vanno considerati i maggiori contributi contestati con l'avviso di accertamento.

4.10 Tributi locali

Parimenti, la definizione prevista dall'articolo 39 D.L. n. 98/2011 non è applicabile alle liti pendenti sui tributi amministrati dagli Enti locali, rispetto alle quali l'Agenzia delle entrate non ha legittimazione passiva.

4.11 Canone di abbonamento alla televisione

Le controversie riguardanti il canone di abbonamento alla televisione nelle quali sia parte l'Agenzia delle entrate riguardano principalmente l'impugnazione di atti con cui si contesta al contribuente l'omesso versamento dello stesso. In quanto tali, esse non sono definibili.

Anche in questo caso – come già chiarito per le tasse automobilistiche – deve ammettersi peraltro la definibilità qualora le controversie discendano da atti impositivi che non si risolvano in una mera liquidazione dell'obbligazione tributaria o nel recupero di versamenti omessi24.

4.12 Silenzio-rifiuto o diniego di rimborso

Non possono essere definite le controversie concernenti il rifiuto espresso o tacito alla restituzione di tributi, così come è stato chiarito con riguardo all'articolo 16 legge n. 289/2002, per i seguenti motivi:

    le somme ripetibili (ed eventualmente rimborsabili) per effetto della definizione, sono solamente quelle versate in base alle norme sulla riscossione provvisoria in pendenza di giudizio, conseguente alla notifica del provvedimento di imposizione o di irrogazione delle sanzioni25, dovute anche se lo stesso provvedimento non è divenuto definitivo. Al contrario, le somme richieste in restituzione, perché ritenute non dovute, sono state pagate mediante versamento diretto e non già in esecuzione di un provvedimento di imposizione impugnato;
    in materia di rimborsi, l'obbligo di restituzione a carico dell'Agenzia delle entrate sorge solo in caso di soccombenza disposta con provvedimento giudiziale definitivo. Conseguentemente, non vi è interesse del contribuente a definire una lite pendente concernente un'istanza di rimborso, considerato che solo la pronuncia favorevole definitiva costituisce titolo per la restituzione;
    le cause di rimborso non concernono una pretesa dell'Agenzia delle entrate di maggiori tributi o sanzioni amministrative, ma un'istanza di restituzione di somme assunte come indebitamente versate dal contribuente.26

4.13 Precedenti definizioni agevolate

Non rientrano nell'ambito di applicazione dell'articolo 39 D.L. n. 98/2011 i rapporti tributari e le liti che hanno usufruito di precedenti definizioni agevolate, con particolare riferimento a quelle connesse alla corretta applicazione delle stesse, quali quelle concernenti il rigetto di una precedente domanda di definizione agevolata ovvero l'esatta determinazione delle somme dovute dal contribuente ai fini della definizione agevolata.

In questo senso si è pronunciata la Corte di cassazione, stabilendo, con la sentenza 3 ottobre 2006, n. 21328, una regola generale secondo la quale “il condono fiscale, essendo un accertamento straordinario o eccezionale, in deroga alle norme generali ed ordinarie, di un rapporto giuridico tributario, non è ammissibile, in mancanza di un'esplicita disposizione legislativa, relativamente a un altro condono…”27.

Resta inteso che, ove ricorrano gli altri presupposti per avvalersi della definizione in esame, sono definibili le liti originarie per le quali non si sia perfezionata una precedente definizione agevolata.

4.14 Sanzioni per l'impiego di lavoratori irregolari

Nella precedente definizione agevolata di cui all'articolo 16 legge n. 289/2002 veniva ammessa la possibilità di definire anche le liti concernenti atti di irrogazione delle sanzioni per lavoro irregolare previste dal comma 3 dell'articolo 3 del decreto-legge 22 febbraio 2002, n. 12, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 aprile 2002, n. 7328.

Con la sentenza n. 130 del 14 maggio 2008, la Corte costituzionale ha dichiarato “l'illegittimità costituzionale dell'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546…, nella parte in cui attribuisce alla giurisdizione tributaria le controversie relative alle sanzioni comunque irrogate da uffici finanziari, anche laddove esse conseguano alla violazione di disposizioni non aventi natura tributaria”.

In precedenza, secondo l'orientamento costante della Cassazione, l'articolo 2 del d.lgs. n. 546 del 1992 esprimeva la regola secondo cui l'oggetto della giurisdizione tributaria si identificava, in via principale, nei tributi di ogni genere e specie e nelle relative sanzioni, ma anche, in via residuale, con riferimento all'organo (Ufficio finanziario) deputato ad irrogare una sanzione amministrativa in ordine ad infrazioni commesse in violazione di norme di svariato contenuto, non necessariamente attinente a tributi.

La Corte costituzionale ha, invece, precisato che la giurisdizione tributaria “deve ritenersi imprescindibilmente collegata alla natura tributaria del rapporto e che la medesima non può essere ancorata al solo dato formale e soggettivo, relativo all'ufficio competente ad irrogare la sanzione …”. La valutazione circa la natura tributaria di una controversia, secondo la Corte costituzionale, indipendentemente dal nomen iuris, deve rispondere ai seguenti criteri: la doverosità della prestazione e il collegamento con la spesa pubblica con riferimento a un presupposto economicamente rilevante.

Deve escludersi pertanto la competenza delle Commissioni tributarie rispetto alle sanzioni non collegate ad alcun tributo, tra le quali quelle relative al lavoro irregolare.

Conseguentemente, le controversie sorte a seguito di impugnazione di avvisi di irrogazione di sanzioni per il lavoro “sommerso” o per altre sanzioni non tributarie non sono definibili29, anche qualora pendenti innanzi agli Organi della giustizia tributaria e non ancora rimesse agli Organi della giustizia ordinaria. Tali controversie, infatti, non possono essere considerate “liti fiscali” nel senso chiarito al precedente paragrafo 1.

4.15 Controversie instaurate da società di persone

Nell'ipotesi in cui l'accertamento impugnato da una società di persone30 si limiti a rettificare in aumento il reddito imputabile pro quota ai soci, si ritiene che la controversia non sia definibile, nel suo complesso, ai sensi dell'articolo 39 D.L. n. 98/201131.

Come già evidenziato, l'articolo 39 D.L. n. 98/2011, per effetto del richiamo all'articolo 16, comma 3, lettere a) e c) legge n. 289/2002, presuppone che la lite definibile esprima un determinato valore sul quale calcolare gli importi dovuti per la definizione. Tale valore, come già chiarito, è dato dai tributi (o dalle sanzioni quando queste non siano collegate ai tributi) accertati dall'Ufficio e contestati con l'atto introduttivo del giudizio.

Sebbene l'atto di accertamento impugnato dalla società contenga l'indicazione dell'ammontare del reddito o del maggior reddito da imputare per trasparenza ai soci (ed eventualmente dell'Irap accertata in capo alla società), lo stesso non reca alcuna quantificazione né delle imposte né delle sanzioni dovute dai soci. Di conseguenza, l'eventuale definizione della lite da parte della società, limitatamente alle sole imposte accertate nell'atto e di competenza della medesima (come, ad esempio, l'Irap), non esplica efficacia nei confronti dei soci, con riguardo ai redditi di partecipazione accertati in capo a questi ultimi.

Le controversie instaurate dai diversi soci di società di persone in materia di imposte sui redditi da partecipazione, ai soli fini della definizione agevolata, sono da considerarsi come liti autonome32.

Pur avendo una matrice comune, esse sono, sul piano processuale, distinte e autonome sia tra loro stesse sia rispetto alla lite instaurata dalla società, con riguardo ad altre imposte accertate in capo alla stessa33.

Qualora alcuni soci definiscano la controversia instaurata con riguardo al proprio reddito di partecipazione, mentre altri scelgano di restare inerti ovvero di proseguire nel proprio giudizio autonomamente incardinato, quest'ultimo non potrà ovviamente intendersi definito e proseguirà autonomamente.

5. Modalità procedurali della definizione

L'articolo 39 D.L. n. 98/2011 stabilisce che, ai fini della definizione della lite pendente, il soggetto che ha proposto l'atto introduttivo della controversia è tenuto al pagamento di una somma come di seguito determinata:

    a) se il valore della lite è di importo non superiore a 2.000 euro, è dovuta la somma di 150 euro;

    b) se il valore della lite è di importo superiore a 2.000 euro, l'importo da versare è pari:

        al 30 per cento del valore della lite, nel caso in cui non sia intervenuta alcuna pronuncia non cautelare sul merito ovvero sull'ammissibilità dell'atto introduttivo del giudizio;
        al 10 per cento del valore della lite, se sia risultata soccombente l'Agenzia delle entrate in base all'unica o all'ultima pronuncia giurisdizionale non cautelare sul merito ovvero sull'ammissibilità dell'atto introduttivo del giudizio resa;
        al 50 per cento del valore della lite, se sia risultato soccombente il contribuente.

A tali fini rileva la situazione alla data di presentazione della domanda di definizione34, come meglio si illustrerà in seguito.

Si mira, in tal modo, a modulare l'entità del versamento in funzione del grado di avanzamento del giudizio e del suo esito provvisorio, prevedendo una misura più lieve, nel caso di provvisorio esito favorevole al contribuente (10 per cento), una misura intermedia, nel caso in cui l'organo giudiziario non si sia ancora espresso (30 per cento) ed una misura più elevata quando, invece, il contenzioso stia volgendo a favore dell'Amministrazione (50 per cento).

E', pertanto, necessario appurare, caso per caso, lo stato del contenzioso, accertando se sia già stata emessa una «pronuncia giurisdizionale non cautelare sul merito, ovvero sull'ammissibilità dell'atto introduttivo del giudizio»35.

A seguito della definizione della controversia, il contribuente acquisisce il diritto al rimborso delle somme versate in pendenza di giudizio, per effetto di iscrizione a ruolo provvisoria, ma soltanto al ricorrere di una duplice condizione, come meglio verrà illustrato al successivo paragrafo 10.1 (intitolato “Somme versate in misura eccedente”).

6. Soccombenza

La soccombenza è determinata dal raffronto tra quanto richiesto e quanto deciso dall'organo giurisdizionale adito.

Pertanto, si ha “soccombenza integrale” di una parte processuale quando nessuna delle sue domande viene accolta dal giudice.

6.1 Inammissibilità del ricorso

La pronuncia di inammissibilità determina la soccombenza del soggetto che ha proposto l'atto di impugnazione dichiarato inammissibile. Pertanto, nel caso, ad esempio, di inammissibilità pronunciata nel giudizio di primo grado, la somma comunque dovuta sarà pari al 50 per cento del valore della lite.

Alle pronunce di inammissibilità vanno equiparati gli esiti del giudizio che hanno una diversa denominazione, ma che producono effetti analoghi (improponibilità, irricevibilità, ecc.).

6.2 Soccombenza parziale

Si ha soccombenza parziale quando, con l'ultima o unica pronuncia resa alla data di presentazione della domanda di definizione, la parte non ottiene l'integrale accoglimento delle proprie richieste.

Considerato che le somme dovute dipendono dall'esito del giudizio e, quindi, dalla soccombenza di ciascuna parte, in tal caso troveranno applicazione sia la percentuale del 10 che quella del 50 per cento.

Più precisamente, le suddette percentuali andranno applicate partitamente sul valore della lite – determinato secondo le regole illustrate nel relativo paragrafo – in base alle seguenti modalità:

    a) il 10 per cento sulla parte del valore della lite per la quale l'ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare resa, sul merito o sull'ammissibilità, ha statuito la soccombenza dell'Agenzia delle entrate;

    b) il 50 per cento sulla parte del valore della lite per la quale l'ultima o unica pronuncia giurisdizionale non cautelare, sul merito o sull'ammissibilità, ha statuito la soccombenza del contribuente.

Un esempio può essere utile per chiarire il procedimento da seguire.

Un contribuente ha integralmente impugnato un avviso di accertamento recante maggiore imposta per 10.000 euro (con conseguenti sanzioni collegate all'imposta e relativi interessi, non rilevanti ai fini della determinazione del valore della lite).

La sentenza di primo grado ha annullato parzialmente l'avviso di accertamento, con conferma della legittimità e fondatezza della pretesa limitatamente ad un'imposta pari a 6.000 euro (più sanzioni e interessi relativi).

Il valore della lite è pari all'importo del tributo contestato con l'atto introduttivo in primo grado, vale a dire 10.000 euro.

Il contribuente, per definire la lite, dovrà versare il 10 per cento di 4.000 euro (imposta annullata dalla sentenza) nonché il 50 per cento di 6.000 euro (imposta confermata dalla sentenza).

Pertanto, verserà complessivamente 3.400 euro (400 + 3.000).

7. Giudicato interno, somme dovute e rimborso delle eccedenze

Come più volte affermato, ai sensi dell'articolo 39 D.L. n. 98/2011 si intende per valore della lite, da assumere a base del calcolo per la definizione, “l'importo dell'imposta che ha formato oggetto di contestazione in primo grado”. Si ritiene che il tributo rilevante ai fini della determinazione del valore della lite sia solo quello riferibile all'atto o a quella parte dell'atto che, alla data di presentazione della domanda di definizione, costituisca ancora oggetto di controversia, in quanto non coperto da giudicato.

In particolare, in caso di giudicato interno formatosi anteriormente alla data della presentazione della domanda, il valore della lite deve essere calcolato tenendo conto del tributo e/o delle sanzioni non collegate al tributo limitatamente alla parte ancora in contestazione e non coperta da giudicato.

Analogamente, qualora il giudicato interno si sia formato sull'intero tributo e la lite sia pendente in ordine alle sole sanzioni originariamente collegate al tributo, il valore della lite è dato dalle sanzioni in contestazione, così come avviene nei casi di impugnazione parziale dell'atto impugnato. In tal caso l'eventuale definizione e la conseguente dichiarazione di estinzione del giudizio interesserà la sola parte della controversia ancora in contestazione.

Il valore della lite, come prima determinato, rileva anche come parametro quantitativo che delimita il perimetro di applicazione della norma concernente la definizione delle liti “minori” (20.000 euro).

La chiusura della lite lascia impregiudicata la necessità di dare esecuzione al giudicato interno con conseguente recupero di tributi, sanzioni ed interessi dovuti per effetto dell'intervenuta sentenza definitiva.

Considerazioni analoghe valgono – come si è detto con circolare del 21 marzo 2003, n. 17/E del 2003, paragrafo 1.13, intitolato “Articolo 16 – Giudicato interno, somme dovute e rimborso delle eccedenze” – in caso di annullamento parziale dell'atto in contestazione in via di autotutela. In particolare, qualora in pendenza di lite l'Agenzia delle entrate abbia annullato parzialmente il provvedimento impugnato, il contribuente può avere interesse a definire la controversia ancora pendente limitatamente alla residua parte della pretesa erariale non interessata dal provvedimento di annullamento dell'Ufficio. Anche in tal caso la quota parte di atto impugnato interessata dall'annullamento non concorre alla determinazione del valore della lite, essendo stata rimossa al riguardo ogni ragione di contrasto.

In proposito si precisa che, a seguito della comunicazione di regolarità della definizione da parte dell'Ufficio, la dichiarazione di estinzione del giudizio per chiusura della lite riguarderà l'intero oggetto della controversia, compresa la parte del provvedimento impugnato annullato in via di autotutela.

8. Pronuncia “resa”

Con riferimento alla data in cui la pronuncia giurisdizionale si intende “resa”, ai sensi dell'articolo 39 D.L. n. 98/2011, il legislatore attribuisce rilevanza alla data di:

    deposito della pronuncia nel testo integrale;
    deposito del solo dispositivo, qualora sia prevista una pubblicazione dello stesso prima delle motivazioni, come è stabilito per le decisioni della Commissione tributaria centrale;
    comunicazione al contribuente di un provvedimento decisorio del giudizio, qualora non ne sia prevista la pubblicazione mediante deposito (come accade, ad esempio, per il provvedimento presidenziale di inammissibilità del ricorso di cui al comma 1 dell'articolo 27 del d.lgs. n. 546 del 1992).

A tal fine, rilevano le pronunce decisorie concernenti il merito della controversia36. Non riveste alcuna importanza, invece, l'ordinanza di accoglimento o di rigetto dell'istanza di sospensione cautelare dell'esecuzione dell'atto impugnato, che la Commissione abbia emesso ai sensi dell'articolo 47 del d.lgs. n. 546 del 1992. In altri termini, qualora il ricorso sia stato proposto dal contribuente di fronte alla Commissione tributaria provinciale e questa si sia pronunciata esclusivamente in ordine alla richiesta di sospensione cautelare degli effetti dell'atto impugnato, la definizione comporta il versamento del 30 per cento del valore della lite, qualunque sia l'esito della pronuncia sulla sospensione.

8.1 Rilevanza delle pronunce rese fino alla data di presentazione della domanda

Ai fini della determinazione della somma dovuta occorre fare riferimento all'ultima o all'unica pronuncia non definitiva eventualmente resa alla data di presentazione della domanda di definizione.

Per tale motivo, qualora la causa sia stata già discussa e, quindi, presumibilmente sia stata anche decisa, è necessario che il soggetto interessato alla definizione verifichi, prima della presentazione della domanda di definizione, se sia intervenuto o meno il deposito della sentenza o del dispositivo presso la segreteria della Commissione tributaria. Ciò in quanto rileva la pubblicazione, mediante deposito, della pronuncia, anche se il contribuente non ne abbia ancora ricevuto comunicazione.

Qualora tra la data di versamento delle somme dovute per la definizione e quella di presentazione della domanda intervenga una pronuncia giurisdizionale non definitiva, resa sul merito ovvero sull'ammissibilità dell'atto introduttivo del giudizio, per effetto della quale le somme dovute risultino modificate, potranno verificarsi le seguenti ipotesi:

    a) le somme già versate risultano di ammontare superiore a quelle dovute per effetto dell'intervenuta pronuncia: in questo caso il soggetto interessato avrà diritto37, a seguito della verifica della regolarità della definizione della lite, alla restituzione delle somme versate in eccedenza rispetto a quelle dovute in base alla nuova pronuncia;

    b) le somme già versate risultano di ammontare inferiore a quelle dovute per effetto dell'intervenuta pronuncia: in questo caso il soggetto interessato dovrà versare la differenza entro la data di presentazione della domanda, eccezionalmente anche oltre, pertanto, il 30 novembre 2011.

In considerazione di quanto sopra evidenziato, si rende opportuno presentare la
Avv. Antonino Sugamele

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