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Sentenza

GLI STUDI DI SETTORE HANNO VALENZA DI PRESUNZIONI SEMPLICI? Cassazione, sez. Tr...
GLI STUDI DI SETTORE HANNO VALENZA DI PRESUNZIONI SEMPLICI? Cassazione, sez. Trib., 7 ottobre 2011, n. 20680
GLI STUDI DI SETTORE HANNO VALENZA DI PRESUNZIONI SEMPLICI?

Cassazione, sez. Trib., 7 ottobre 2011, n. 20680

 

La procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati - meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività - ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, con il contribuente

Nel caso in cui il contribuente non abbia risposto all'invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte, egli "assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l'Ufficio può motivare l'accertamento sulla sola base dell'applicazione degli “standards”, dando conto dell'impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all'invito

 

 

Cassazione, sez. Trib., 7 ottobre 2011, n. 20680

 

 

Svolgimento del processo - Motivi della decisione

Ritenuto che, ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:

"1. La CTR del Lazio, sez. distaccata di Latina, con sentenza n. 243/40/08, depositata il 16 giugno 2008, in riforma della decisione della CTP di Latina, ha accolto il ricorso proposto da I. G. avverso l'avviso di accertamento, col quale erano stati determinati maggiori ricavi, per l'anno 1996, in base ai parametri stabili con il D.P.C.M. 29 gennaio 1996, ritenendo che il mero richiamo a detti parametri era inidoneo a fondare l'atto impositivo, in cui non risultavano “indicati gli elementi essenziali che consentono oltre che al contribuente, anche al giudice tributario di valutarne la correttezza”. 2. Per la cassazione della sentenza, ricorre l'Agenzia delle Entrate, sulla scorta di tre motivi. Il contribuente non ha svolto difese.

Col primo ed il secondo motivo, la ricorrente denuncia la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42; L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 181; nonché degli artt. 2728 e 2697 c.c., affermando che, a contraddittorio regolarmente instaurato col contribuente: 1) l'avviso di accertamento che reca l'espressa menzione dell'applicazione dei parametri presuntivi è da ritenere sufficientemente motivato, 2) l'utilizzazione dei parametri costituisce una presunzione legale idonea a sostenere l'accertamento medesimo, in assenza di prova contraria incombente sul contribuente.

I motivi, da valutarsi congiuntamente, appaiono manifestamente fondati, ed assorbenti. Le SU di questa Corte, con la sentenza n. 26635/2009, dopo aver rilevato che "la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l'applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in sé considerati - meri strumenti di ricostruzione per elaborazione statistica della normale redditività - ma nasce solo in esito al contraddittorio da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell'accertamento, con il contribuente", ha affermato che nel caso in cui il contribuente non abbia risposto all'invito al contraddittorio in sede amministrativa, restando inerte, egli "assume le conseguenze di questo suo comportamento, in quanto l'Ufficio può motivare l'accertamento sulla sola base dell'applicazione degli “standards”, dando conto dell'impossibilità di costituire il contraddittorio con il contribuente, nonostante il rituale invito, ed il giudice può valutare, nel quadro probatorio, la mancata risposta all'invito".

4. In conclusione, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio" che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati delle parti;

che non sono state depositate conclusioni scritte da parte del PM, né presentate memorie;

considerato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione, e che, pertanto, il ricorso deve esser accolto, la sentenza deve esser cassata, ed, in assenza di ulteriori accertamenti di fatto, la causa va decisa nel merito col rigetto del ricorso del contribuente;

ritenuto che le spese del presente giudizio di legittimità vanno poste a cario del contribuente ed in favore dell'Agenzia e vanno liquidate in Euro 1.200,00, oltre a spese prenotate a debito;

considerato che si ravvisano giusti motivi, tenuto conto del tempo in cui è consolidata la giurisprudenza, per compensare le spese dei due gradi di merito.

 

P.Q.M.

 

La Corte accoglie il ricorso, cassa e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso del contribuente, che condanna a pagare all'Agenzia delle Entrate le spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.200,00, oltre a spese prenotate a debito; compensa interamente le spese dei due gradi del giudizio di merito.
Avv. Antonino Sugamele

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