L’intimazione tributaria di pagamento è un atto autonomamente impugnabile.
I Supremi giudici (sentenza n. 6436/25) hanno enunciato, così, il principio di diritto secondo cui «In tema di contenzioso tributario, l’intimazione di pagamento di cui all’art. 50 d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 del 1973, in quanto equiparabile all’avviso di mora di cui al precedente art. 46 d.P.R. cit., è impugnabile autonomamente ai sensi dell’art. 19, comma 1, lett. e), d.lgs. 31 dicembre 1992 n. 546, sicché la sua impugnazione non è meramente facoltativa, ma necessaria, pena la cristallizzazione dell’obbligazione». Va data, pertanto, continuità alla giurisprudenza secondo la quale il meccanismo di cui all’articolo 19, comma 3, ultimo periodo, del Dlgs n. 546 del 1992), comporta che, se l’intimazione di pagamento non viene impugnata, il relativo credito si consolida e non possono essere fatte valere vicende estintive anteriori alla sua notifica.
Il diverso orientamento
Va, viceversa, disatteso, il diverso e isolato orientamento (fatto proprio, tra le più recenti, da Cassazione 17 giugno 2024 n. 16743) che, facendo leva sul solo riferimento letterale, ritiene che l’avviso di intimazione, sebbene contenente l’esplicitazione di una ben definita pretesa tributaria, non sia un atto previsto tra quelli di cui all’articolo 19 del Dlgs 31 dicembre 1992 n. 546, con conseguente facoltà e non obbligo di impugnazione. Visto l’odierno orientamento di legittimità il contribuente, così, ha l’onere d’impugnare l’avviso di intimazione per fare valere l’eventuale prescrizione dei crediti tributari maturati tra la data di notificazione delle cartelle di pagamento e quella di notificazione dell’avviso stesso.
11-03-2025 22:31
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