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Sentenza

La deducibilità degli interessi passivi non richiede un giudizio di inerenza...
La deducibilità degli interessi passivi non richiede un giudizio di inerenza
Cass. civ. Sez. V, Sent., (ud. 10/01/2023) 04-05-2023, n. 11642

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SORRENTINO Federico - Presidente -

Dott. ESPOSITO Antonio - Consigliere -

Dott. LENOCI Valentino - rel. Consigliere -

Dott. GUIDA Riccardo - Consigliere -

Dott. CRIVELLI Alberto - Consigliere -

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 14195-2014 R.G. proposto da:

A.A., elettivamente domiciliato in Roma, via Della Giuliana n. 18, presso lo studio dell'avv. Vincenzo Ioffredi, rappresentato e difeso dall'avv. Francesco Mancini in virtù di procura speciale a margine del ricorso;

- ricorrente -

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro-tempore, elettivamente domiciliata in Roma, via dei Portoghesi n. 12 presso l'Avvocatura generale dello Stato dalla quale è rappresentata e difesa ex lege;

- controricorrente -

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale dell'Abruzzo - sezione staccata di Pescara n. 565/10/2013, depositata il 28 novembre 2013;

udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 10 gennaio 2023 dal Consigliere Dott. Valentino Lenoci;

dato atto che il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Fulvio Troncone, ha chiesto l'accoglimento del quarto e quinto motivo di ricorso, ed il rigetto degli altri, con ogni conseguenza di legge.
Svolgimento del processo

1. A seguito di verifica fiscale nei confronti della ditta individuale UsatoeUsato di A.A., con sede in (Omissis), l'Agenzia delle entrate emetteva, nei confronti del suddetto contribuente, avviso di accertamento n. (Omissis), con il quale venivano accertati, per l'anno d'imposta 2005, un reddito d'impresa di Euro 1.204.504,00, un maggior valore della produzione ai fini IRAP di Euro 1.350.655,00 ed operazioni imponibili ai fini IVA per Euro 2.619.638,00.

Conseguentemente, l'Ufficio determinava, nei confronti del suddetto A.A., maggiori imposte IRPEF per Euro 518.811,00, addizionale regionale per Euro 10.466,00, addizionale comunale per Euro 4.651,00, IRAP per Euro 49.057,00, maggiori contributi previdenziali per Euro 7.689,00 ed una maggiore IVA per Euro 230.855,00, irrogando, altresì, la sanzione amministrativa pecuniarie di Euro 778.216,50.

Il provvedimento impositivo si fondava sui seguenti rilievi: a) recupero a tassazione di componenti positivi non contabilizzati per Euro 4.929,11, per parziale disconoscimento degli interessi passivi portati in deduzione; b) recupero a tassazione di componenti positivi non contabilizzati per Euro 1.912,89, derivanti dall'applicazione del tasso legale agli importi bonificati alla società UsatoeUsato Srl e considerati quali finanziamenti immotivatamente infruttiferi; c) recupero a tassazione di maggiori ricavi sscaturenti da indagini finanziarie per Euro 1.154.276,06, sulla base di prelevamenti e versamenti bancari non giustificati.

2. Proposto ricorso dalla contribuente dinanzi alla Commissione tributaria provinciale di Pescara questa, con sentenza n. 310/01/2012 del 16 gennaio 2012, lo rigettava, compensando le spese di lite.

3. Interposto gravame dal contribuente, la Commissione tributaria regionale dell'Abruzzo - sezione staccata di Pescara, con sentenza n. 565/10/2013, pronunciata il 28 marzo 2013 e depositata in segreteria il 28 novembre 2013, rigettava l'appello, compensando integralmente le spese di lite.

4. Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione A.A., sulla base di cinque motivi.

L'Agenzia delle entrate si è costituita in giudizio al solo fine della partecipazione all'udienza di discussione, ai sensi dell'art. 370, comma 1, c.p.c..

5. All'udienza pubblica del 10 gennaio 2023 il consigliere relatore ha svolto la relazione ed il P.M. ed i procuratori delle parti hanno rassegnato le proprie conclusioni.
Motivi della decisione

6. Il ricorso in oggetto, come si è detto, è affidato a cinque motivi.

6.1. Con il primo motivo di ricorso A.A. eccepisce la nullità della sentenza impugnata per violazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, num. 4), dello stesso codice.

Lamenta, in particolare, il ricorrente che la C.T.R. non aveva tenuto conto della corposa documentazione prodotta nei due gradi del giudizio di merito, a giustificazione dei prelevamenti e dei versamenti bancari in relazione ai quali è stata applicata la presunzione di provenienza quali corrispettivi imponibili di dette somme, e quindi non si era pronunciata sul relativo motivo di appello.

6.2. Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente eccepisce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 29 settembre 1973, n. 600, art. 32 e del D.P.R. n. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 51, nonchè dell'art. 2697 c.c., in relazione all'art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c..

Deduce, in particolare, il ricorrente che la C.T.R. non avrebbe tenuto in debito conto le deduzioni difensive a giustificazione delle movimentazioni bancarie, al fine di superare la presunzione di provenienza reddituale delle somme oggetto delle movimentazioni bancarie.

6.3. Con il terzo motivo di ricorso il contribuente eccepisce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, in relazione all'art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c., in quanto le indagini bancarie in oggetto erano state effettuate in assenza dei presupposti legali, e senza la prescritta autorizzazione.

6.4. Con il quarto motivo di ricorso si deduce violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 61 (testo unico delle imposte sui redditi), in relazione all'art. 360, comma 1, num. 3), c.p.c..

Sostiene, in particolare, il ricorrente che la C.T.R. avrebbe erroneamente ritenuto indeducibili, per mancanza del requisito dell'inerenza, i costi riguardanti gli interessi passivi portati in deduzione, che invece erano deducibili in forza del citato D.P.R. n. 917 del 1986, art. 96.

6.5. Con il quinto ed ultimo motivo di ricorso il contribuente eccepisce, infine, violazione e falsa applicazione dell'art. 112 c.p.c., in relazione all'art. 360, comma 1, num. 4), dello stesso codice.

Deduce, in particolare, il ricorrente che la C.T.R. aveva omesso qualunque valutazione in ordine alle censure riguardanti il rilievo riguardante la mancata percezione degli interessi attivi sul finanziamento effettuato dalla ditta individuale A.A. in favore della UsatoeUsato Srl .

7. Così delineati i motivi di ricorso, osserva la Corte quanto segue.

7.1. Il primo motivo deve ritenersi fondato.

Va innanzitutto rilevato che il ricorrente, pur avendo rubricato il motivo in questione come nullità della sentenza per mancanza di corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, facendo riferimento all'art. 360, comma 1, num. 4), c.p.c. ed alla violazione dell'art. 112 dello stesso codice, ha in realtà denunciato la sostanziale mancanza di motivazione, con riferimento alla parte della sentenza impugnata in cui viene esaminato il terzo motivo di appello, relativo alla mancanza di esame della documentazione presentata dal contribuente a giustificazione delle movimentazioni bancarie alla base dell'accertamento.

Sul punto, va innanzitutto rilevato che questa Corte può riqualificare il motivo di impugnazione, quando, dal corpus motivazionale dello stesso, si evince chiaramente qual è il vizio lamentato, in applicazione del principio di diritto ai sensi del quale "L'erronea intitolazione del motivo di ricorso per cassazione non osta alla riqualificazione della sua sussunzione in altre fattispecie di cui all'art. 360 c.p.c., comma 1, nè determina l'inammissibilità del ricorso, se dall'articolazione del motivo sia chiaramente individuabile il tipo di vizio denunciato" (Cass. 20 febbraio 2014, n. 4036; Cass. 10 settembre 2020, n. 18770).

Orbene, ciò posto, deve rilevarsi che il ricorrente, con il terzo motivo di appello, ha effettivamente indicato una serie di documenti, prodotti nel corso della fase amministrativa e dei due gradi del giudizio di merito, che, a suo dire, fornirebbero una adeguata giustificazione delle movimentazioni bancarie che, al contrario, l'Ufficio ritiene ingiustificate.

Sul punto, e con specifico riferimento a tale motivo di appello, la C.T.R. ha sì pronunciato il rigetto del motivo, ma con una motivazione del tutto apparente, essendosi limitati, i giudici di appello, a richiamare i principi generali applicabili in merito agli accertamenti bancari ex D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, num. 7), concludendo che "i movimenti bancari che non siano giustificati dal contribuente, possono costituire per l'ufficio una presunzione iuris tantum tanto da dover attribuire natura reddituale ai citati movimenti", senza tuttavia esaminare alcunchè delle censure proposte dal contribuente in sede di appello, e soprattutto senza effettuare alcun esame della documentazione prodotta dallo stesso contribuente.

E' evidente, allora, come la sentenza, sul punto, contenga una motivazione del tutto apparente, e come tale debba essere in parte qua censurata.

7.2. L'accoglimento del primo motivo determina l'assorbimento del secondo motivo, riguardante la asserita violazione delle norme di cui al D.P.R. n. 600 del v1973, art. 32 e del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51 posto che anche con tale motivo il ricorrente lamenta la mancata valutazione delle eccezioni mosse nella fase amministrative e nel giudizio di merito, con riferimento alla determinazione dell'esatto reddito imponibile.

7.3. Il terzo motivo deve invece ritenersi inammissibile.

Il ricorrente, in particolare, lamenta che la C.T.R. avrebbe ritenuto valide le indagini bancarie effettuate nei suoi confronti, pur in assenza della prescritta autorizzazione.

Va rilevato, tuttavia, in senso contrario, che, con orientamento ormai da tempo consolidato, tanto con riguardo al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, num. 7), in materia di imposte dirette, quanto con riferimento al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, num. 7), in materia di IVA, questa Corte ha affermato che la mancanza dell'autorizzazione ai fini della richiesta di acquisizione, dagli istituti di credito, di copia delle movimentazioni dei conti bancari, non implica, in assenza di previsioni specifiche, l'inutilizzabilità dei dati acquisiti, salvo che ne sia derivato un concreto pregiudizio al contribuente ovvero venga in discussione la tutela di diritti fondamentali di rango costituzionale dello stesso, come l'inviolabilità della libertà personale o del domicilio, in quanto detta autorizzazione attiene solo ai rapporti interni ed in materia tributaria non vige il principio, invece sancito dal c.p.p., dell'inutilizzabilità della prova irritualmente acquisita (Cass. 10 febbraio 2021, n. 3242; Cass. 28 maggio 2018, n. 13353, in materia di imposte dirette; Cass. 1 aprile 2003, n. 4987, in materia di IVA; sulla necessità che l'omissione dell'autorizzazione debba essersi tradotta in un concreto pregiudizio per il contribuente cfr. Cass., 14 aprile 2018, n. 9480).

La giurisprudenza di legittimità ha anche chiarito che non vi è neppure obbligo di allegazione della autorizzazione. Si è infatti affermato che l'autorizzazione prescritta dall'art. 51, comma 2, n. 7, cit., ai fini dell'espletamento delle indagini bancarie, esplica una funzione organizzativa, incidente nei rapporti tra uffici, e non richiede alcuna motivazione, sicchè la sua mancata allegazione ed esibizione all'interessato non comporta l'illegittimità dell'avviso di accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite, che può derivare solo dalla sua materiale assenza e sempre che ne sia derivato un concreto pregiudizio per il contribuente (Cass. 10 febbraio 2017, n. 3628; 21 luglio 2009, n. 16874; 26 settembre 2014, n. 20420). In particolare si è avvertito come "...l'esibizione tempestiva di tale autorizzazione non è indispensabile neppure ai fini del controllo della motivazione della stessa, considerato che, in tema di accertamento delle imposte sia dirette che indirette, l'autorizzazione necessaria agli Uffici per l'espletamento di indagini bancarie non deve essere corredata dall'indicazione dei motivi che ne hanno giustificato il rilascio. E ciò per un duplice ordine di ragioni. In primo luogo, perchè in relazione a detta autorizzazione la legge non dispone alcun obbligo di motivazione, a differenza di quanto stabilito, invece, per gli accessi e le perquisizioni domiciliari, dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 33, e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 52. Ma poi, anche perchè la medesima autorizzazione, ad onta del nomen iuris adottato, esplicando una funzione organizzativa, incidente esclusivamente nei rapporti tra uffici, e avendo natura di atto meramente preparatorio, inserito nella fase di iniziativa del procedimento amministrativo di accertamento, non è nemmeno qualificabile come provvedimento o atto impositivo, tipologie di atti per le quali, rispettivamente, la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 1, e la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, prevedono l'obbligo di motivazione (cfr. Cass. 14026/12; 5849/12)". E conclude dunque affermando che "per tali ragioni, pertanto, il fatto che l'autorizzazione in parola non sia stata allegata, è da reputarsi del tutto irrilevante ai fini della validità degli atti impositivi emessi dall'Ufficio, non essendo stati addotti dal contribuente motivi di pregiudizio diversi dalla sindacabilità della motivazione di tale autorizzazione, in relazione alla quale, la legge non prevede obbligo alcuno di motivazione" (Cass. n. 3628/2017, in controversia riguardante IRAP ed IVA e dunque con riferimento al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, e al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51).

In continuità con i precedenti di questa Corte, che questo Collegio condivide, può affermarsi in conclusione che in materia di indagini bancarie la mancanza di autorizzazione, prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 32, comma 1, num. 7, per l'accertamento delle imposte dirette, e dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 51, comma 2, num. 7), in materia di imposta sul valore aggiunto, ai fini della richiesta di acquisizione dagli istituti di credito di copia delle movimentazioni dei conti correnti e di qualsiasi rapporto intrattenuto presso banche o operatori finanziari non implica l'inutilizzabilità dei dati acquisiti, salvo previsioni specifiche e salvo che ne sia derivato un concreto pregiudizio al contribuente; inoltre, esplicando una funzione organizzativa, incidente nei rapporti tra gli uffici, non richiede alcuna motivazione e la sua mancata allegazione ed esibizione all'interessato non comporta l'illegittimità dell'avviso d'accertamento fondato sulle risultanze delle movimentazioni bancarie acquisite.

Nel caso di specie, poichè il contribuente non ha neppure evidenziato quale concreto pregiudizio avrebbe subito dalla mancata allegazione di una autorizzazione, comunque emessa, il giudice d'appello correttamente ha ritenuto utilizzabili le risultanze degli accertamenti bancari. Sotto questo profilo, il motivo deve quindi ritenersi inammissibile, proprio per la specifica mancanza di interesse del ricorrente e l'assenza di qualsivoglia pregiudizio per il contribuente.

7.4. Venendo ora ad esaminare il quarto motivo, esso deve ritenersi fondato.

Con tale motivo, il ricorrente deduce l'errore in cui sarebbe incorsa la C.T.R., nella parte in cui ha operato un disconoscimento parziale degli interessi passivi portati in deduzione, in quanto costi non inerenti.

Deve, in contrario, rilevarsi che, ai sensi del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 5, gli interessi passivi sono sempre deducibili (anche se nei limiti di cui all'art. 96 dello stesso art. 109, comma 5), senza che sia necessario operare alcun giudizio di inerenza: ciò, in quanto gli interessi passivi sono oneri generati dalla funzione finanziaria, che afferiscono all'impresa nel suo essere e progredire, e dunque non possono essere specificamente riferiti ad una particolare gestione aziendale o ritenuti accessori ad un particolare costo (Cass. 22 giugno 2022, n. 20194; 18 maggio 2022, n. 16084; 14 maggio 2014, n. 10501).

Ne consegue, pertanto, che, avendo la C.T.R. ritenuto indeducibili tali costi, sulla base di un giudizio di non inerenza, la sentenza sul punto debba essere cassata.

7.5. Anche il quinto motivo, infine, deve ritenersi fondato.

Il ricorrente lamenta l'omessa pronuncia della C.T.R. in ordine alle censure, proposte in primo grado e riproposte in appello, circa la ritenuta legittimità del rilievo concernente l'omessa contabilizzazione dei ricavi in merito agli interessi riscossi sul finanziamento della ditta individuale UsatoeUsato di A.A. alla società UsatoeUsato Srl .

Orbene, la pronunciata impugnata, in effetti, nulla osserva sul punto, pur a fronte di una specifica censura, puntualmente riportata alle pagg. 44-45 del ricorso e senza che si possa ritenere che le conclusioni della pronuncia di primo grado siano state, sotto tale profilo, sottoposte a effettivo vaglio critico.

8. In conclusione, quindi, devono essere accolti il primo, quarto e quinto motivo di ricorso, mentre il secondo motivo deve essere assorbito ed il terzo deve essere dichiarato inammissibile.

La sentenza impugnata deve quindi essere cassata, in relazione ai motivi accolti, con rinvio per nuovo giudizio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell'Abruzzo - sezione staccata di Pescara, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.

La Corte accoglie il primo, quarto e quinto motivo di ricorso, dichiara assorbito il secondo motivo e dichiara inammissibile il terzo motivo.

Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia per nuovo giudizio alla Corte di giustizia tributaria di secondo grado dell'Abruzzo - sezione staccata di Pescara, in diversa composizione, la quale provvederà anche alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2023.

Depositato in Cancelleria il 4 maggio 2023
Avv. Antonino Sugamele

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