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Sentenza

Sentenza n. 5057 del 9 dicembre 2015 (ud 23 febbraio 2015) - della Commiss. Trib...
Sentenza n. 5057 del 9 dicembre 2015 (ud 23 febbraio 2015) - della Commiss. Trib. Regionale, Palermo, Sez. XXIX - Pres. Antonino Lo Franco - Rel. Gerlando Lentini
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA COMMISSIONE TRIBUTARIA REGIONALE DI PALERMO

VENTINOVESIMA SEZIONE

riunita con l'intervento dei Signori:

LO FRANCO ANTONINO - Presidente

LENTINI GERLANDO - Relatore

LAPORTA ADRIANA - Giudice

ha emesso la seguente

SENTENZA

- sull'appello n. 2402/11

depositato il 21/04/2011

- avverso la sentenza n. 612/4/10 emessa dalla Commissione Tributaria Provinciale di AGRIGENTO

proposto dall'ufficio: AG.ENTRATE DIR. PROVIN. UFF. CONTR. AGRIGENTO

controparte:

M.G.

VIA F. 91 92014 P. E. A.

difeso da:

NERO AVV. CHETTY

VIA GIOVANNI XXIII N. 6 92100 AGRIGENTO AG

Atti impugnati:

DINIEGO RIMBORSO IRPEF 2002



SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 25.06.2010 n. 612/04/10 la Commissione Tributaria Provinciale di Agrigento, Sezione 4, in accoglimento del ricorso presentato dal sig. M.G.,con il patrocinio dell'Avv. Chetty Naro, condannò l'Agenzia delle Entrate(Ufficio di Agrigento ) al rimborso del 50% dell'Irpef trattenuta dal datore di lavoro (società Enel Produzione spa) sull'indennità di incentivo all'esodo corrisposta in occasione della cessazione del rapporto di lavoro avvenuta in data 30 giugno 2002.

L'Agenzia delle Entrate ha proposto appello alla sentenza della CTP - che non ha tenuto conto delle controdeduzioni dell'Ufficio, depositate il 23.12.09,con le quali era stato precisato che per le somme richieste a rimborso con l'istanza presentata il 14.05.09,si era già verificata la decadenza prevista dall'art 38 del D.P.R. n. 602 del 1973,essendo già trascorsi i 48 mesi previsti dalla norma - con la ri(///)izione delle eccezioni già proposti in 1 grado,ulteriormente de(///) che: " la Circolare n. 62/2008 è stata male interpretata dai primi gi(///) perché il rimborso non può essere disposto nei casi, come quello di specie,di rapporti esauriti".

L'Agenzia,in unico contesto, ha svolto argomentazioni a specifica del principale motivo di appello della sentenza impugnata adducendo le ragioni della non spettanza del rimborso preteso dal M. per cui ha concluso per la riforma della sentenza dichiarando la legittimità del provvedimento di silenzio/rifiuto per avvenuta decadenza ex art. 38 del D.P.R. n. 602 del 1973

Si è costituito il richiedente del rimborso rilevando la inammissibilità ed infondatezza dell'appello per una errata interpretazione,da parte dell'Ufficio, della circolare n. 62/2008; nonché per l'errata applicazione del principio della certezza del diritto e dell'intangibilità dei rapporti c.d. esauriti affermati dalla giurisprudenza comunitaria; pertanto, conclude per il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza impugnata con vittoria delle spese dei due gradi di giudizio,con distrazione a favore del procuratore,patrocinante della controversia tributaria.

All'udienza del 23.02.2015 la causa è stata discussa e posta in decisione.



MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo giudice ha accolto il ricorso originario del M. avendo ritenuto che il contribuente non era incorso nella decadenza prevista dall'art. 38 D.P.R. n. 602 del 1973,per non essere trascorsi,alla data della domanda di rimborso,i 48 mesi dalla data in cui era stata applicata la trattenuta fiscale Ed invero il contribuente ha sostenuto, con condivisione dei primi giudici, di avere avanzato la domanda di rimborso allorchè il suo diritto era divenuto evidente per effetto delle pronunce della Corte di giustizia dell'Unione Europea,dalle quali derivava la necessità di disapplicare la disposizione interna discriminatoria (l'art. 19,co.4-bis del testo unico delle imposte sui redditi,approvato con D.P.R. del 22 dicembre 1986,n.917) nella parte in cui aveva previsto età diverse tra uomini(55 anni ) e do(///)e (50 anni) per la fruizione del suddetto beneficio fiscale.

Da (///)tte pronunce derivava inoltre l'obbligo di applicare alla categoria sfa(///),uomini,la norma prevista per la categoria favorita,donne,con la co(///)guenza che avendo compiuto il contribuente oltre cinquant'anni di età all'epoca della cessazione del rapporto di lavoro,aveva diritto al beneficio e al conseguente rimborso.Il contribuente, pertanto, in ciò condiviso dai primi giudici,ha concluso che non gli si poteva opporre la decadenza stabilita dall'art 38 D.P.R. n. 602 del 1973,dato che il termine di 48 mesi ivi previsto non poteva decorrere da data anteriore a quella in cui l'esistenza del diritto al rimborso era divenuta,evidente in seguito ai pronunciamenti della Corte di Lussemburgo, ma anche da quelle della Corte Costituzionale e della Cassazione a queste succedute.

Per maggiore conoscenza dell'argomento è pure necessario chiarire che il silenzio rifiuto opposto dall'ufficio - per ritenuta mancanza dei requisiti previsti - a istanza di rimborso Irpef liquidata sulla somma ricevuta a titolo di incentivo all'esodo, ai sensi dell'articolo 17, comma 4-bis, del D.P.R. n. 917 del 1986, vigente ratione temporis, il contribuente nell'adire,con ricorso, la Commissione tributaria provinciale aveva l'onere di dimostrare i presupposti del suo diritto. La giurisprudenza della Cassazione chiarisce innanzitutto che ai fini del decidere da parte dei giudici di merito,è ininfluente la circostanza a proposito del riferimento cronologico per l'applicazione dell'aliquota prevista dall'articolo 17, comma 4-bis, del Tuir, atteso che nel contesto di cui trattasi non è in considerazione il momento della tassazione bensì la sussistenza dei requisiti di fatto previsti dalla disposizione come presupposti per l'applicazione del beneficio dell'incentivazione dell'esodo (cfr Cassazione, 26395/2005). Infatti, ii comma 4-bis richiedeva il superamento dei 50 anni d'età per le donne e dei 55 per gli uomini. In tal caso l'imposta si applicava con l'aliquota pari alla metà di quella dovuta per la tassazione del trattamento di fine rapporto.

La Suprema corte ha poi stabilito che spetta al contribuente che impugna il silenzio rifiuto formatosi sull'istanza di rimborso dimostrare l'illegittimità del rifiuto, mentre l'Amministrazione finanziaria, da parte sua, può difendersi a tutto campo non essendo vincolata a una specifica motivazione di rigetto. Inf(///) costituisce principio consolidato (Cassazione, sentenze 7789/2006 e 333(///) quello secondo cui la disposizione dettata dall'articolo 57, comma 2, (///) n. 546/1992, non limita affatto la possibilità dell'Agenzia di difend(///) in giudizio e di impugnare la sentenza che lo conclude, ma riguarda le eccezioni in senso tecnico - ossia lo strumento processuale con cui il contribuente (convenuto in senso sostanziale) fa valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa o estintiva della pretesa fiscale -

Ed invero il Giudice di legittimità ha stabilito in maniera specifica, con ordinanza del 20 aprile 2012, n. 6246, che spetta al contribuente,che impugna il silenzio rifiuto formatosi su un'istanza di rimborso, dimostrare l'illegittimità del diniego;mentre l'Amministrazione finanziaria non è vincolata ad esporre una specifica motivazione di rigetto.

Il contribuente,pertanto, vincolato da tale onere ha esplicitato il motivo dell'illegittimità del diniego al rimborso riportando la previsione della sentenza n. 0207/04 del 21.07.05 della Corte di Giustizia Europea con riferimento alla interpretazione dell'art. 4 trattato CE e della direttiva del Consiglio 09.02.76,76/207/CEE,relativa al principio della parità di trattamento fra gli uomini e le donne per quanto riguarda l'accesso al lavoro,alla formazione e alla promozione e le condizioni di lavoro compreso quello oggetto del giudizio.

Il principio della dedotta sentenza della Corte di Giustizia EuIropea,pur avendo origine diversa (Alcuni dati sulle pensioni in cinque Paesi dell'UE-(Anno 2005) Francia 60 anni per entrambi i sessi Germania 65 anni per entrambi i sessi Regno Unito 65 anni per entrambi i sessi Spagna 65 anni per entrambi i sessi ),è stato posto al vaglio della Corte Costituzionale nell'esame del diverso regime tra uomini e donne.

Come è stato riscontrato, a più riprese il legislatore ha introdotto un diverso regime tra uomini e donne. In proposito la giurisprudenza amministrativa,contabile e costituzionale si è, nel corso degli anni, più volte pronunciata esprimendo giudizi diversi.

La Corte Costituzionale si è espressa in materia di differente età pensionabile tra uomo e donna in numerose occasioni.

Nella sentenza n. 123 dell'11/07/1969, la scelta del legislatore di prevedere un'età pensionabile inferiore per la donna lavoratrice è giustificata co(//) (///)sigenza di salvaguardare l'essenzialità della funzione familiare della donna richiamata dall'art. 37 della Costituzione (sul"presupposto che la at(///) al lavoro in via di massima, viene meno nella donna prima che nel(///)omo, in genere di maggior resistenza fisica e che la lavoratrice, raggiunto il cinquantacinquesimo anno di età, è opportuno torni ad accudire esclusivamente la famiglia").

La sentenza, n. 137 del 15/07/1969 ha stabilito che "la norma contenuta nell'art. 12 del R.D.L. 14 aprile 1939 n. 636, convertito in L. 6 luglio 1939, n. 1272, così come modificato dall'art. 2 della L. 4 aprile 1952, n.218 - dettata per la pensione di vecchiaia e di invalidità e di recente applicata alla pensione di anzianità - non è in contrasto con gli arti. 3 e 37 della Costituzione, nonostante prescriva per la donna una pensione inferiore a quella dell'uomo, a parità di retribuzione e di contribuzione. E ciò perché, (///) ai fini della pensione di vecchiaia, occorre tener conto dell'importanza che,nella relativa liquidazione, assume il maggior periodo di tempo di prestazione d'opera, in quanto per la donna si tratta di pensione percepita a 55 anni e per l'uomo a 60 anni, cioè dopo altri 5 anni di lavoro. Ed occorre tener presente altresì che, per il meccanismo di calcolo prescritto in detto art. 12 del R.D.L. n. 636 del 1939, se la donna differisce il pensionamento fino al sessantesimo anno, ogni disparità scompare e, successivamente, dai sessantesimo al sessantacinquesimo anno, le due pensioni aumentano in condizione di parità,sulla base di percentuali uguali. La disparità, cioè, è soltanto iniziale ed è dovuta al fatto che il lavoratore si inserisce nella scala degli importi di pensione a sessanta e non già a cinquantacinque anni. Queste considerazioni (///) inducono a pervenire alle medesime conclusioni per la pensione di invalidità e di anzianità, atteso che la posizione dell'uomo e della donna, nell'assicurazione obbligatoria, non va valutata in funzione di ogni singola prestazione,ma globalmente, per tutti gli eventi protetti, in quanto il rapporto assicurativo della previdenza sociale ha la caratteristica fondamentale dell'unitarietà,realizzandosi la tutela attraverso un'unica assicurazione ed un'uniforme disciplina rispetto alle obbligazioni contributive".

Nella sentenza n. 137 del 18/06/1986, emessa con riferimento alla le(///)ione vincolistica in tema di licenziamento, il giudizio è stato ribaltato nel se(///) dell,illegittimità costituzionale della normativa (art. 11 della L. 15 luglio 196(///) 604; art. 9 del R.D.L. 14 aprile 1939, n. 636,conv. in L. 6 luglio 1939, n(///) modificato dall'art. 2 della L. 4 aprile 1952, n. 218; art. 15 D.L.C.P.S. 16 luglio 1947, n. 708; art. 16 L. 4 dicembre 1956, n. 1450) che prevede per il conseguimento della pensione di vecchiaia da parte della donna un'età anticipata rispetto a quella prevista per l'uomo. A questo giudizio la Corte è pervenuta innanzitutto prendendo in considerazione diversi fattori che hanno inciso sull'attitudine lavorativa della donna: innanzitutto l'evoluzione normativa della materia emanazione della L. 20 maggio 1970, n. 300 (Statuto dei lavoratori); della L. 30 dicembre 1971, n. 1204 (sulla tutela della maternità);le leggi di riforma della scuola (L. 18 marzo 1968, n. 444; D.P.R. 31 maggio 1974, n. 420; L. n. 349 del 1974; D.L. n. 13 del 1976; ecc.); la legge di riforma del diritto di famiglia (L. 19 giugno 1975, n. 151), l'avvento di nuove tecnologie, l'evoluzione della giurisprudenza del lavoro,nonché dell'ordinamento comunitario nel senso di una sempre più incisiva applicazione del principio di parità fra uomo e donna. Tutti questi fattori, per quanto riguarda la donna lavoratrice, hanno inciso profondamente, a giudizio della Corte, non solo sulle condizioni di (///) lavoro che la riguardano in modo particolare, ma anche sull'attitudine lavorativa della stessa.

La sentenza n. 498 del 21/04/1988 ha dichiarato costituzionalmente illegittimo - per violazione degli artt. 3 e 37 Cost. - l'art. 4 della L. n. 903 del 1977, nella parte in cui subordina il diritto delle lavoratrici, in possesso dei requisiti per la pensione di vecchiaia, di continuare a prestare la loro opera fino agii stessi limiti di età previsti per gli uomini da disposizioni legislative, regolamentari e contrattuali, all'esercizio di un'opzione in tal senso, da comunicare al datore di lavoro non oltre la data di maturazione dei predetti requisiti. (Stante che l'età lavorativa deve essere eguale per la donna e per l'uomo, rimane fermo il diritto della donna a conseguire la pensione di vecchiaia al cinquantacinquesimo (///) anno di età, per soddisfare sue esigenze peculiari: ciò non contrasta con il fondamentale principio di parità, il quale non esclude speciali profili, dettati dalla stessa posizione della lavoratrice, meritevoli di una particolare regolamentazione). La giustificazione della pronuncia è stata individuata nell'evoluzione delle situazioni verificatesi nel campo del lavoro - per l'introduzione di nuovi mezzi e di nuove tecniche - nonché nel campo dell'assistenza, della previdenza e del diritto di famiglia - nel quale, per effetto della riforma del 1975, è stata attuata la parità tra i coniugi relativamente all'assistenza, alla cura e all'educazione dei figli - ha fatto venir meno le ragioni giustificatrici della differenza di trattamento della donna lavoratrice rispetto all'uomo lavoratore.

Analoga alla precedente è la sentenza n. 275 del 29/10/2009, che ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'art. 30 D.Lgs. n. 198 del 2006,"nella parte in cui prevede, a carico della lavoratrice che intenda proseguire nel rapporto di lavoro oltre il sessantesimo anno di età, l'onere di dare tempestiva comunicazione della propria intenzione al datore di lavoro, da effettuarsi almeno tre mesi prima della data di perfezionamento del diritto dalla pensione di vecchiaia, e nella parte in cui fa dipendere da tale adempimento l'applicazione al rapporto di lavoro della tutela accordata dalla legge sui licenziamenti individuali". La motivazione della pronuncia è che "nella disposizione censurata, l'onere di comunicazione posto a carico della lavoratrice, condizionando il diritto di quest'ultima di lavorare fino al compimento della stessa età prevista per il lavoratore ad un adempimento e, dunque, a un possibile rischio che, nei fatti, non è previsto per l'uomo, compromette ed indebolisce la piena ed effettiva realizzazione dei principio di parità tra l'uomo e la donna,in violazione dell'art. 3 Cost., non avendo la detta opzione alcuna ragionevole giustificazione, e dell'art. 37 Cost., risultando leso il principio della parità uomo-donna in materia di lavoro".

Per le superiori considerazione fondato risulta il ricorso originario del contribuente,, che sostanzialmente,sulla fattispecie fa rilevare una supposta incompatibilità dell'art. 19, comma IV- bis del TUIR, con la copiosa giurisprudenza Costituzionale nonché con la direttiva del Consiglio 9 febbraio 1976, n. 76/207/CEE.

L'art. 5 della direttiva comunitaria stabilisce, difatti: "l'applicazione del principio della parità di trattamento per quanto riguarda le condizioni di lavoro, comprese le condizioni inerenti al licenziamento. Infatti le numerose sentenze della Corte di Giustizia Europea hanno assicurato l'applicazione del principio di garantire agli uomini e alle donne le medesime condizioni, senza discriminazioni fondate sul sesso. A tal fine le numerose sentenze della Costituzione hanno preso le misure necessarie affinché siano soppresse le disposizioni legislative contrarie al principio di parità di trattamento.

Pertanto, con la predetta sentenza del 21 luglio 2005, detta Corte si è pronunciata sulla effettiva incompatibilità dell'articolo 19, comma IV- bis del TUIR con le disposizioni comunitarie in materia di parità fra i sessi,nella parte in cui il comma di cui sopra non prevede il medesimo limite minimo di età per uomini e donne lavoratori che vogliano beneficiare della tassazione agevolata prevista per il c.d. "incentivo all'esodo".

La Corte di Giustizia, al punto 34 della sentenza citata, ha stabilito, infatti,che "tale differenza di trattamento costituisce una discriminazione fondata sul sesso" e, pertanto, ha concluso stabilendo che la direttiva citata deve essere interpretata nel senso che essa "osta ad una norma quale quella controversa nella causa principale che consente, a titolo di incentivo all'esodo, il beneficio della tassazione con aliquota ridotta alla metà delle somme erogate in occasione dell'interruzione del rapporto di lavoro ai lavoratori che hanno superato i 50 anni, se donne e i 55, se uomini".

Chiaro è quindi l'intento della Corte di Giustizia: non effettuare discriminazioni fra lavoratori appartenenti ai due sessi, basate solo sull'età anagrafica.

Le considerazioni che precedono rendono infondati i motivi d'appello alla sentenza della CTP impugnata dall'Agenzia delle Entrate di Palermo.

La scelta decisoria della Commissione Tributaria Provinciale è corretta e condivisa da questa CTR che alla udienza del 23 febbraio 2015 decide per il rigetto dell'appello e la conferma della sentenza impugnata

La complessità delle questioni ha giustificato la CTP ad una pronuncia di compensazione delle spese del primo grado di giudizio;che in mancanza da parte del contribuente di un appello incidentale sull'argomento non possono determinare questa Commissione a riformare la sentenza impugnata sul punto mentre la soccombenza dell'Agenzia in questa sede d'appello,determina la sua condanna alle spese di questo grado di giudizio che vengono liquidate come in dispositivo.con distrazione in favore del procuratore e difensore del contribuente.

La Commissione



P.Q.M.

Rigetta l'appello della Agenzia delle Entrate, confermando la sentenza impugnata,condannando l'Agenzia soccombente alle spese di questo grado del giudizio che liquida in Euro 500,00,e che distrae in favore edel difensore del contribuente.

Palermo il 23 febbraio 2015.
Avv. Antonino Sugamele

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