In materia di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione di quello di impresa, l'art. 32 d.P.R. n. 600/1973 impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che questi secondi sono registrati in contabilità, e che i primi sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – T, ordinanza 3 aprile – 6 maggio 2014, n. 9722
Presidente Cicala – Relatore Bognanni
Svolgimento del processo
1. L'Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione, affidato ad un unico motivo, avverso la sentenza della commissione tributaria regionale della Liguria n. 55/09/10, depositata il 31 marzo 2010, con la quale essa rigettava l'appello della medesima contro la decisione di quella provinciale, sicché l'opposizione di F.G., relativa all'avviso di accertamento concernente le imposte Irpef, Ilor ed Iva per l'anno 1996, riguardanti l'attività di impresa individuale di pulizie, svolta in nero con mancata presentazione della dichiarazione del reddito, veniva accolta, anche se solo in buona parte. In particolare il giudice di secondo grado osservava che la maggior parte delle somme riscosse proveniva da risarcimenti assicurativi, mentre il volume delle operazioni bancarie, inerenti anche al conto corrente, andava equitativamente abbattuto del 15% in considerazione delle varie incombenze economiche di carattere familiare, che non potevano essere conglobate in quelle afferenti l'attività di impresa.
F.G. non ha svolto alcuna difesa.
Motivi della decisione
2. Col motivo addotto a sostegno del ricorso la ricorrente deduce violazione e/o falsa applicazione di norme di legge, in quanto il giudice di merito non considerava che i risarcimenti assicurativi non erano corroborati da alcuna prova, nonché le varie movimentazioni bancarie compiute dall'appellata erano strettamente connesse alla disponibilità di capitali, che le derivavano dalla gestione dell'impresa, e quindi costituivano proventi "in nero", perché non annotati nelle prescritte scritture contabili, peraltro non tenute, giacché l'attività ormai risultava formalmente cessata nell'anno precedente, come analiticamente verificato dalla Guardia di finanza. Peraltro tutte le movimentazioni bancarie denotavano l'attività d'impresa dell'interessata. Semmai tale dato spostava l'onere della prova proprio sulla contribuente, atteso che i versamenti e i prelevamenti sui conti bancari costituivano presunzioni legali, aventi i caratteri della gravità, precisione e concordanza.
Il motivo è fondato. Infatti in materia di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione di quello di impresa, l'art. 32 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600 impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che questi secondi sono registrati in contabilità, e che i primi sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziché costituire acquisizione di utili. Pertanto, posto che, in materia, sussiste inversione dell'onere della prova, alla presunzione di legge (relativa) va contrapposta una prova, non un'altra presunzione semplice, ovvero una mera affermazione di carattere generale, come nella specie; né è possibile ricorrere all'equità (Cfr. anche Cass. Sentenze n. 14675 del 2006, n. 18016 del 2005). Inoltre va osservato che in tema di accertamento delle imposte sui redditi, è legittima l'utilizzazione da parte dell'amministrazione finanziaria dei movimenti dei conti correnti bancari in disponibilità del contribuente, anche in assenza di preventivo interpello dell'interessato sulle operazioni bancarie oggetto di verifica e di verbalizzazione delle correlative dichiarazioni, posto che nessuna norma sancisce l'obbligo dell'ufficio della preventiva convocazione del medesimo, al quale peraltro nella specie erano stati consegnati i verbali relativi alla verifica della Guardia di finanza (V. pure Cass. Sentenze n. 13819 del 13/06/2007, n. 11094 del 1999). Né il giudice di appello indicava le fonti del suo convincimento in ordine alla carenza di prova della pretesa fiscale, se non in modo del tutto apodittico ed apparente, come pure in ordine ai pretesi risarcimenti assicurativi.
Dunque su tali punti la sentenza impugnata non risulta motivata in modo giuridicamente corretto.
3. Ne deriva che il ricorso va accolto, con la conseguente cassazione della sentenza impugnata, con rinvio, al giudice "a quo", altra sezione, per nuovo esame, e che si uniformerà ai suindicati principi di diritto.
4. Quanto alle spese dell'intero giudizio, esse saranno regolate dal giudice del rinvio stesso.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso; cassa la sentenza impugnata, e rinvia, anche per le spese, alla commissione tributaria regionale della Liguria, altra sezione, per nuovo esame.
13-05-2014 13:02
Richiedi una Consulenza