Benefici prima casa.
Corte di Cassazione, Tributaria, sentenza 6 febbraio – 26 marzo 2014, n. 7080
Presidente Merone – Relatore Sambito
Svolgimento del processo
La controversia trae origine dall'impugnazione di un avviso di liquidazione con il quale erano state revocate le agevolazioni "prima casa" ed era stato chiesto il pagamento dell'imposta in misura ordinaria, oltre alle sanzioni, relativamente all'acquisto, in comunione tra E.G. ed il coniuge, di un appartamento sul presupposto che la contribuente aveva già fruito del beneficio nel precedente acquisto dell'appartamento confinante, e che l'alloggio, risultante dalla riunione dei due immobili, aveva caratteristiche di lusso.
La Commissione adita rigettava il ricorso, ritenendo che l'accesso all'agevolazione era preclusa, per essere l'acquisto dei due appartamenti riuniti avvenuto in tempi diversi, e per essere la relativa superficie superiore a quella prevista per le abitazioni non di lusso, ed escludendo la ricorrenza di cause di non punibilità in relazione alle sanzioni. La decisione era confermata in appello, con la sentenza indicata in epigrafe, avverso la quale la contribuente ha proposto ricorso per cassazione, con sette motivi. L'Agenzia delle Entrate ha depositato controricorso. Depositata la relazione ex art 380 bis cpc, la causa è, poi, stata rinviata alla pubblica udienza.
Motivi della decisione
1. Col primo ed il secondo motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all'art, 360, 1° co, n. 4 cpc, la nullità della sentenza per violazione dell'art. 112 cpc, per avere la CTR omesso di pronunciare sulle doglianze con le quali aveva dedotto l'illegittimità dell'atto impositivo, rispettivamente, perché recante una pretesa contraddittoria e per difetto di motivazione.
2. I motivi sono infondati, in applicazione la giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. n. 24542 del 2009, n. 2272 del 2007), secondo cui il giudice del merito non è tenuto ad occuparsi espressamente e singolarmente di ogni allegazione, prospettazione ed argomentazione delle parti, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti gli argomenti ed i rilievi che, seppur non espressamente esaminati, siano incompatibili con la soluzione adottata ed il percorso argomentativo seguito.
3. A tale stregua, le dedotte omissioni sono insussistenti: il rigetto dell'appello volto alla caducazione dell'atto impositivo implica che le allegate contraddittorietà ed insufficienza motivazionale dello stesso siano state ritenute infondate dai giudici d'appello, e devono, perciò, ritenersi implicitamente disattese.
4. Il terzo motivo, con cui si deduce la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione, ex artt. 111 Cost.; 1 e 36 del d.lgs. n. 546 del 1992; 132, co 2 n. 4 cpc e 118 disp att. cpc, è infondato. 5. Secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 871 del 2009; n. 7672 del 2003; 2067 del 1998), la sentenza è nulla per la carenza del requisito della motivazione, oltre che in ipotesi di difetto assoluto, da un punto di vista materiale, della stessa anche quando - e questo è il caso invocato nella specie- si sia in presenza di una motivazione apparente, che è ravvisabile quando le ragioni poste a base della decisione siano radicalmente inidonee ad esprimere la ratio decidendi. 6. Tale ipotesi non ricorre nella specie, in quanto la CTR non si è limitata a confermare la decisione di primo grado, ma ha considerato che la parte ricorrente "non ha provato né in corso del giudizio di primo grado né in questa sede che lo stesso (immobile) avesse una superficie netta non superiore a mq. 240 di cui all'art. 6 DM 2 agosto 1969", con ciò, indicando gli elementi di fatto considerati nel pervenire alla decisione. 7. E' significativo, del resto, che tale argomento non venga, neppure, menzionato nel corpo del motivo, che, nell'addebitare alla sentenza di non aver esposto le ragioni per le quali fosse stata ritenuta ostativa alla fruizione del beneficio l'assenza di contemporaneità nell'acquisto dei due appartamenti contigui, denuncia, in conclusione, un difetto di motivazione, al riguardo.
8. Col quinto motivo, che va ora esaminato, si deduce, ex art. 360, 1° co, n. 5 cpc, l'insufficienza della motivazione sul fatto, controverso e decisivo, relativo all'estensione dell'immobile risultante dalla fusione dei due appartamenti confinanti. In particolare, la ricorrente afferma che i giudici d'appello non hanno considerato che era stata prodotta una memoria tecnica (asseverata con giuramento in appello) a firma di un professionista, secondo cui la superficie utile complessiva dell'immobile era pari a mq. 214,28, e non hanno esposto le ragioni per le quali detto elaborato tecnico non sia stato ritenuto condivisibile.
9. Il motivo è inammissibile. La ricorrente si limita a riportare le conclusioni dell'elaborato peritale senza indicare i necessari passaggi motivazionali, che hanno indotto il tecnico a concludere che la complessiva estensione dell'immobile -quale derivante dall'accorpamento delle due unità immobiliari- sia inferiore ai mq. 240, previsti dall'art. 6 del DM 2 agosto 1969, richiamato dall'art. 1 della Tariffa allegata al dPR n. 131 del 1986.
10. E', dunque, carente l'esposizione degli elementi rispetto ai quali si invoca il controllo della "causalità dell'errore", carenza che preclude l'esame della relativa decisività, e tale vizio appare esiziale, tanto più che, da quanto affermato nei pregressi scritti difensivi - trascritti nel ricorso -, l'estensione utile pare esser stata computata con riferimento alle prescrizioni di cui all'art. 3 del DM n. 801 del 1977, relativo alla "Determinazione del costo di costruzione di nuovi edifici", invece che al DM 2 agosto 1969, differenza che non è priva rilievo: per il primo decreto, infatti, la superficie utile va computata "al netto di murature, pilastri, tramezzi, sguinci, vani di porte e finestre, di eventuali scale interne, di logge e di balconi", mentre, per il secondo, va determinata sottraendo dall'estensione globale indicata nell'atto di acquisto (compresi i muri perimetrali e quelli divisori) solo gli ambienti espressamente esclusi (balconi, terrazze, cantine, soffitte, scale e posto macchine).
11. Il riferimento alle disposizioni di cui all'art 3 del DM 10.5.1977 n. 801, non giova, dunque, alla ricorrente, tenuto conto che le previsioni relative ad agevolazioni o benefici in genere in materia fiscale non sono passibili d'interpretazione analogica o interpretazione che ne ampli la sfera applicativa (cfr. Cass. n. 10807 del 2012).
12. Il rigetto dei motivi relativi all'esclusione dal beneficio, trattandosi di immobile avente caratteristiche di lusso, priva la ricorrente d'interesse alla valutazione del motivo quarto (col quale stata dedotta la violazione del dPR n. 131 del 1986, tariffa I, art. 1, nota II bis, per avere i giudici d'appello ritenuto che l'agevolazione non operasse in ipotesi di acquisti effettuati in tempi diversi) in applicazione della giurisprudenza secondo cui quando, come nella specie, la decisione impugnata si fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte ed autonome, ciascuna delle quali logicamente e giuridicamente sufficiente a sorreggerla, il rigetto delle doglianze riferita ad una di esse rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l'intervenuta definitività delle altre, alla cassazione della decisione stessa (Cass. n. 2108 del 2012; SU n. 7931 del 2013).
13. Col sesto motivo, si denuncia, in riferimento agli artt. 111 Cost.; 1 e 36 del d.lgs. n. 546 del 1992; 132, co 2 n. 4 cpc e 118 disp att. cpc, la nullità della sentenza per difetto assoluto di motivazione, in ordine alla doglianza mossa in tema di motivazione, in ordine alla doglianza mossa in tema di disapplicazione delle sanzioni irrogate dall'Ufficio.
14. Col settimo motivo, si denuncia, in subordine, la violazione dell'art. 6, co 2, del d.lgs. n. 472 del 1997, 10, co 3 della 1 n. 212 del 2000 ed 8 del d.lgs. n. 546 del 1992, per non esser state ravvisate cause di non punibilità tali da comportare la disapplicazione delle sanzioni irrogate dall'Amministrazione.
15. Il sesto motivo è infondato, sulla scorta delle considerazioni sopra esposte ai punti 5. e 6., dovendosi aggiungere che il silenzio serbato sulla questione qui in rilievo integra, quindi, un vizio di motivazione (motivazione omessa), che è inidoneo a comportare la cassazione della sentenza ricadendo sul profilo di diritto relativo alla sussunzione della fattispecie accertata (fruizione indebita dell'agevolazione ritenuta spettante) nell'ambito dell'esimente dell'incertezza normativa oggettiva.
16. Il settimo motivo è infondato.
17. Secondo la condivisibile giurisprudenza di questa Corte (Cass. n. 4683 del 2012; n. 4522 del 2013), l'incertezza normativa obiettiva, che costituisce causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, postula una condizione di inevitabile incertezza sul contenuto, sull'oggetto o sui destinatari della stessa norma tributaria, ossia l'insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso la sua interpretazione dal giudice, unico soggetto dell'ordinamento investito dal potere-dovere di accertare la ragionevolezza di una determinata opzione ermeneutica.
18. La Corte ravvisa giusti motivi, in considerazione del consolidarsi della giurisprudenza in epoca successiva alla proposizione del ricorso, per compensare, interamente, tra le parti le spese del giudizio.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.
30-03-2014 15:00
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