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Sentenza

Fisco: onere della prova e presunzioni semplici....
Fisco: onere della prova e presunzioni semplici.
Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 6 maggio - 14 giugno 2013, n. 14960
Presidente Cirillo – Relatore Meloni

Svolgimento del processo

A seguito di un controllo effettuato dal Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Firenze presso la sede della società Centro M. srl l'Agenzia delle Entrate procedeva alla notifica di avviso di rettifica della dichiarazione annuale IVA relativa all'anno d'imposta 1997 alla società Centro M. srl, di cui era legale rappresentante D. A., in relazione ad un debito d'imposta iva di € 21.000,00 circa comprese sanzioni ed interessi.
L'Ufficio riteneva esistente una associazione criminale dedita alla frode fiscale mediante introduzione di metallo prezioso nel territorio nazionale e utilizzo di fatture false a fronte di operazioni commerciali soggettivamente inesistenti allo scopo di evadere l'iva mediante utilizzo di società filtro e cartiere.
La società Centro M. srl presentava ricorso avverso l'avviso di rettifica alla Commissione Tributaria provinciale di Arezzo la quale rigettava il ricorso.
Su ricorso in appello proposto dal contribuente, la Commissione tributaria regionale della Toscana, con sentenza nr.32/13/06 depositata in data 18/9/2006, riformava la sentenza di primo grado ed annullava l'atto di contestazione per mancanza di prova in ordine al coinvolgimento della società nel circuito fraudolento. Avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale della Toscana ha proposto ricorso per cassazione l'Agenzia con quattro motivi ed ha replicato la società con controricorso.

Motivi della decisione

Con il primo ed il terzo motivo di ricorso la ricorrente Agenzia delle Entrate lamenta violazione e falsa applicazione dell'art.17 e 1 e 19 e 1 DPR 633 del 26/10/1972 e dei principi indicati nelle sentenze della Corte di Giustizia 12/1/2006 e 6/7/2006 in riferimento all'art. 360 n.3 c.p.c. in quanto la CTR ha ritenuto che l'Ufficio non avesse provato che la società contribuente conoscesse la fittizietà delle società intermedie e le omissioni di IVA ad opera delle stesse e, in violazione delle norme sopra richiamate, ha ritenuto detraibile l'imposta corrispondente ad un'operazione la cui fatturazione è stata effettuata da un soggetto diverso da quello che l'ha resa.
Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione degli artt 21,54 e 63 DPR 633/197 2 e art. 33 DPR 600/72, art. 2729 c.c. in riferimento all'art. 360 n.3 c.p.c. in quanto la CTR ha ritenuto illegittimo l'accertamento dell'Ufficio sebbene l'onere di dimostrare la correttezza del proprio operato ricada a carico del contribuente.
Con il quarto motivo di ricorso la ricorrente lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio in riferimento all'art. 360 n.5 c.p.c. in quanto la CTR ha ritenuto illegittimo l'accertamento dell'Agenzia delle Entrate perché basato su indizi e presunzioni.
Il quarto motivo di ricorso appare fondato e deve essere accolto con assorbimento dei restanti motivi.
Appare opportuno premettere che questa corte si è già occupata di fattispecie analoghe a quella in esame e precisamente a situazioni in cui il fatturante è, quanto meno formalmente, il fornitore effettivo ma l'operazione si iscrive - per quanto riguarda quel trasferimento o per quanto riguarda i passaggi precedenti - in una combinazione negoziale fraudolenta dì cui l'acquirente era o partecipe o consapevole e che contempla la consapevolezza in vario modo da parte dei cessionari successivi del non versamento dell'IVA da parte di un cedente. In questa ipotesi l'iva che figura pagata al cedente in via di rivalsa non è detraibile dato che ad essa — con la consapevolezza o la partecipazione del cessionario — non solo non corrisponde un versamento all'erario ma non corrisponde un'attività economica effettiva ed il trasferimento all'intermediario formale ha il solo scopo abusivo di avvantaggiarsi della detrazione. In tale ipotesi è peraltro il fisco ad avere l'onere di provare — anche mediante presunzioni - gli elementi di fatto che concretizzano la frode e la partecipazione ad essa o la consapevolezza di essa da parte del contribuente e tale prova può essere data anche mediante presunzioni, dotate di gravità, precisione e concordanza, consistenti in elementi tali da porre sull'avviso qualsiasi imprenditore onesto e mediamente esperto. ( Cass. V sezione nr. 15741 21/2/2012). Sul tema va richiamata la sentenza di questa Corte n. 867 del 20 ottobre ^010 secondo cui "nelle c.d. "frodi carosello" - fondate sul mancato versamento dell'imposta incassata da società "cartiere" a seguito di acquisti intracomunitari, o altrimenti esenti, e successive rivendite anche attraverso l'interposizione di una o più società filtro ("butTers") - il meccanismo dell'operazione e gli scopi che la stessa si propone (acquisizione di materiali a prezzi più contenuti al fine di praticare prezzi di vendita più bassi, con alterazione a proprio favore del libero mercato) , fanno presumere la piena conoscenza della frode e consapevole partecipazione all'accordo simulatorio del beneficiario finale, con la conseguenza che, in applicazione del relativo principio sancito dall'art. 17 della direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, l'IVA assolta dal medesimo beneficiario nelle operazioni commerciali con la società filtro non è detraibile ai sensi dell'art. 19 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, anche se le predette operazioni siano state effettivamente compiute e le relative fatture, al pari dell'intera documentazione contabile, sembrino perfettamente regolari".
in tema di meccanismi fraudolenti preordinati all'evasione fiscale deve essere anche citata la giurisprudenza comunitaria, in particolare Corte di Giustizia sent. C-439/04 par. 59 Axel Kittel, secondo la quale deve essere negata la detraibilità se l'operatore " sapeva o avrebbe dovuto sapere di partecipare con il proprio acquisto ad un'operazione che si iscriveva in una frode all'IVA".
Alla luce dell'orientamento giurisprudenziale sopra riportato in ordine alla prova che deve essere fornita dall'ufficio, confermato dalle numerose altre sentenze anche recenti in materia e di fattispecie analoghe a quella in esame, (Cass.V sez. nr.8722 del 27/2/2013) deve essere accolto il ricorso proposto con rinvio al giudice del merito affinché esamini nuovamente la questione e le circostanze addotte dall'Ufficio al fine di dimostrare la consapevole partecipazione della società al meccanismo fraudolento posto in essere con operazioni commerciali esclusivamente preordinate, anche se vere, ad eludere l'imposizione fiscale.
Pertanto deve essere censurato il ragionamento della CTR che ha ritenuto illegittimo l'accertamento pur in presenza di elementi presuntivi sufficienti ed adeguati a ritenere provato lo scopo fraudolento, quali ad esempio il carattere fittizio delle operazioni commerciali effettuate (indipendentemente dalla loro effettiva realizzazione) destinate a concludere un piano illecito di sfruttamento di evasione IVA; nella mancanza di una propria struttura commerciale e di una effettiva organizzazione aziendale delle società fornitrici formalmente gestite da soggetti prestanome con capitale sociale minimo; nelle anomale modalità dei rapporti di acquisto e di pagamento con assegni circolari intrattenuti con le società fornitrici dalla contribuente; nella mancanza di idonea documentazione sui trasferimenti della merce; nell'acquisto della merce a prezzi nettamente più bassi del mercato.
Per quanto sopra deve essere accolto il quarto motivo di ricorso, assorbiti gli altri, cassata la sentenza con rinvio ad altra sezione della CTR della Toscana anche per le spese.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, quanto al quarto motivo assorbiti gli altri, cassa la sentenza e rinvia ad altra sezione della CTR della Toscana anche per le spese del giudizio di legittimità.
Avv. Antonino Sugamele

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