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Sentenza

Acquisto e rivendita di auto usate e regime speciale del margine di utile....
Acquisto e rivendita di auto usate e regime speciale del margine di utile.
Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 4 luglio - 4 settembre 2013, n. 20302
Presidente Adamo – Relatore Olivieri

Svolgimento del processo

Con avviso di accertamento emesso dall'Ufficio di Forlì della Agenzia delle Entrate nei confronti di (...) s.r.l., all'esito delle verifiche eseguite dalla Guardia di Finanza e definite con PP.W.CC. in data 18.6.2002, 7.8.2003, 16.11.2004 e 25.1.2005, veniva recuperata l'IVA dovuta per l'anno 2002 su operazioni di acquisto e rivendita di autovetture usate, indebitamente assoggettate al regime speciale del "margine di utile", essendo stato accertato che né gli operatori comunitari, primi cedenti, né i fornitori nazionali, cui si era rivolta la società contribuente, rispondevano ai requisiti soggettivi previsti dal DL n. 41/1995 conv. in legge n. 85/1995.
La opposizione avverso l'avviso di accertamento veniva risolta favorevolmente alla società contribuente con decisione n. 133/2007 della CTP di Forlì integralmente riformata in grado di appello con sentenza 20.4.2009 n. 35 della Commissione tributaria della regione Emilia-Romagna.
I Giudici territoriali, premesso che l'avviso opposto doveva ritenersi validamente motivato "per relationem" in quanto i processi verbali di constatazione erano stati portati a conoscenza e sottoscritti dalla società contribuente, e premesso altresì che era rimasto accertato che gli operatori comunitari - cedenti erano tutti soggetti passivi che avevano potuto portare in detrazione l'IVA a monte e non avevano applicato il regime del margine, rilevavano come gli elementi indiziari evidenziati nei verbali denotavano anomalie ed irregolarità tali da escludere la buone fede dalla ditta cessionaria, che non poteva pertanto allegare il legittimo affidamento per sottrarsi al pagamento della maggiore imposta ed alle relative sanzioni pecuniarie.
La sentenza di appello è stata impugnata per cassazione dalla società che ha formulato quattro censure corredate da quesito di diritto, alle quali ha resistito la Agenzia delle Entrate con controricorso. La società ha depositato anche memoria illustrativa.

Motivi della decisione

1. Con il primo motivo la società censura la sentenza impugnata per vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione ex art. 360 co 1 n. 5 c.p.c., ritenendo erroneo l'accertamento compiuto dai Giudici di merito in ordine alla presenza di elementi oggettivi che avrebbero dovuto indurre in sospetto la cessionaria che la operazione occultava una frode fiscale.
Sostiene la ricorrente che imporre alla ditta cessionaria di eseguire le verifiche dirette ad accertare se il cedente abbia assolto a titolo definitivo l'IVA, si tradurrebbe nel richiedere al contribuente di esercitare una attività di supplenza delle competenze riservate agli Uffici finanziari. In ogni caso non potrebbero comunque addossarsi al contribuente controlli complessi e difficoltosi. Il libretto di circolazione conterrebbe peraltro dati inaffidabili in quanto in molti Paesi membri non sono riportate tutte le trascrizioni della intestazioni proprietarie e la qualità soggettiva di imprese di autonoleggio o di leasing dei precedenti intestatari non fornisce prova certa che tali soggetti abbiano portato in detrazione l'IVA.
1.1 II motivo è infondato.
1.2 Occorre osservare, come è stato già precisato da questa Corte (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 3427 del 12/02/2010), che il regime dell'applicazione dell'IVA sul margine di utile delle operazioni aventi ad oggetto la cessione di autoveicoli "usati" (tali essendo considerati i veicoli con percorrenza superiore a Km 6.000 ed immatricolati da almeno sei mesi: art. 38 co 4 DL 331/1993 conv. in legge n 427/1993) richiede quale presupposto, oltre a requisiti oggettivi (attinenti alla natura del bene compravenduto), anche taluni requisiti soggettivi riguardanti l'originario cedente (ed in particolare la circostanza che il cedente del bene non abbia potuto esercitare, nel suo Paese, alcuna rivalsa per l'imposta versata quando acquistò quel bene).
I presupposti normativi ai quali è condizionata la applicabilità del regime speciale del margine sono individuati dall'art. 26 bis della direttiva n. 77/388/CEE del Consiglio del 17.5.1977 (come modificata dalla direttiva n. 94/5/CE del 14.2.1994 - le successive modifiche introdotte dall'art. 4 della direttiva n. 115 del 2.12.2001 non rilevano a fini della presente causa). La norma dispone alla lettera "B. Regime particolare dei rivenditori, che "1. Gli Stati membri applicano alle cessioni di beni d'occasione, di oggetti d'arte, d'antiquariato o da collezione, effettuate da soggetti passivi-rivenditori, un regime particolare di imposizione sull'utile realizzato dal soggetto passivo-rivenditore, conformemente alle seguenti disposizioni. 2. Le cessioni di beni di cui al paragrafo 1 sono le cessioni, da parte di un soggetto passivo-rivenditore, di beni d'occasione, di oggetti d'arte, di antiquariato o da collezione, che gli sono stati ceduti all'interno della Comunità: - da una persona che non sia soggetto passivo, oppure - da un altro soggetto passivo, qualora la cessione del bene da parte di quest'ultimo sia esentata conformemente all'articolo 13, parte B, lettera c), oppure da un altro soggetto passivo, purché la cessione del bene da parte di quest'ultimo benefici della franchigia prevista all'articolo 24 e riguardi un bene d'investimento, oppure - da un altro soggetto passivo - rivenditore, qualora la cessione del bene da parte di quest'ultimo sia stata assoggettata all'imposta sul valore aggiunto conformemente al presente regime particolare.
3. La base imponibile delle cessioni di beni di cui al paragrafo 2 è costituita dall'utile realizzato dal soggetto passivo-rivenditore, previa detrazione dell'importo dell'imposta sul valore aggiunto relativo all'utile stesso. Tale utile è pari alla differenza tra il prezzo di vendita chiesto dal soggetto passivo-rivenditore e il prezzo di acquisto. Ai sensi del presente paragrafo si intende per: - prezzo di vendita tutto ciò che costituisce il corrispettivo che il soggetto passivo-rivenditore ha ottenuto o deve ottenere dall'acquirente o da un terzo, comprese le sovvenzioni direttamente connesse con questa operazione, le imposte, i dazi, i prelievi e le tasse, le spese accessorie quali commissioni, spesi di imballaggio, di trasporti e di assicurazione chieste dal soggetto passivo-rivenditore all'acquirente ma ad esclusione degli importi di cui all'articolo 11, parte A paragrafo 3; - prezzo d'acquisto tutto ciò che costituisce il corrispettivo che il fornitore ha ottenuto o deve ottenere dal soggetto passivo-rivenditore, secondo la definizione di cui al primo trattino".
La disciplina comunitaria è stata pedissequamente riprodotta nella normativa statale di attuazione prevista dall'art. 36 del DL 23.2.1995 n. 41 conv. in legge 22.3.1995 n. 85.
1.3 Ne segue che il corretto adempimento degli oneri formali di documentazione della cessione (ed in particolare la annotazione in fattura, da parte del cedente, del regime del margine di utile) non esaurisce, in ogni caso, la prova della effettiva esistenza dei presupposti soggettivi ed oggettivi che consentono l'applicazione del regime speciale dell'IVA alla operazione di cessione del bene. La mera sussistenza dei requisiti formali della fattura emessa dal cedente in regime del margine, non può, infatti, essere considerata elemento sufficiente a comprovare la regolarità fiscale della operazione di cessione, poiché in tal modo verrebbe ad attribuirsi a tale documento un'efficacia probatoria, non prevista dalla normativa comunitaria né dall'ordinamento interno, in relazione all'esistenza dei presupposti giustificativi di tale regime fiscale tra cui, in particolare, che il cedente abbia assolto l'imposta in modo definitivo e risponda ad uno dei requisiti soggettivi indicati dalla medesima disposizione, configurandosi o come privato consumatore, o come soggetto che non abbia potuto detrarre l'imposta per aver destinato i beni ad attività esente, ovvero che agisca in regime di franchigia nel proprio Stato membro, ovvero ancora che abbia a sua volta assoggettato il proprio acquisto al regime del margine di utile.
Tutto ciò non comporta, evidentemente, che la documentazione contabile rispondente ai requisiti di regolarità formale, sia da ritenersi in assoluto irrilevante, essendo comunque necessario il possesso di tale documentazione per l'esercizio del diritto ad applicare la imposta sulla base imponibile ridotta, ma soltanto che la mancanza di corrispondenza tra la rappresentazione documentale della operazione di cessione del bene in regime del margine e quella invece effettivamente realizzata dalle parti (ordinaria operazione di cessione intracomunitaria assoggettata ad IVA, in relazione al valore di transazione del bene indicato in fattura, nel Paese di destinazione: art. 38 DL 30.8.1993 n. 331 conv. in legge 29.10.1993 n. 427), può essere certamente contestata dall'Ufficio finanziario, ove emergano elementi oggettivi - idonei a fondare anche accertamenti di tipo presuntivo - che privino di attendibilità le indicazioni contenute nella fattura emessa nei confronti del cessionario, in tal caso insorgendo a carico di quest'ultimo, quale soggetto che intende avvalersi del regime speciale in deroga al sistema ordinario di applicazione dell'IVA concernente gli acquisti interni ed intracomunitari, l'onere di provare la sussistenza dei presupposti che ne consentono l'applicazione, e, quindi, la mancata detrazione dell'IVA "a monte" da parte del cedente (cfr. Corte cass. V sez. 30.5.2012 n. 866; id. Sez. 5, Sentenza n. 8828 del 01/06/2012; id. V sez. 12.9.2012 n. 15219).
1.4 In linea con le indicazioni giurisprudenziali della Corte di legittimità si colloca la sentenza impugnata che, correttamente, ha ritenuto incentrare il proprio esame sulla questione della rilevabilità da parte della ditta cessionaria di elementi sintomatici emergenti dalla situazione concreta e tali da indurre a sospetto di frode le operazioni di cessione concluse con i fornitori.
Rileva il Collegio che la tesi difensiva, sviluppata con il primo motivo di ricorso, secondo cui al libretto di circolazione non potrebbe riconoscersi efficacia probatoria, appare inconferente rispetto all'argomento che i Giudici di merito hanno posto a fondamento del "decisum": non viene, infatti, in questione nella sentenza di appello la capacità dimostrativa diretta del libretto di circolazione in ordine al "fatto - detrazione IVA", ma piuttosto la capacità indiziante da riconoscersi - ai fini della costruzione dello schema logico presuntivo ex art. 2727 e 2729 c.c. - alla intestazione proprietaria, risultante dal libretto, in capo a soggetti che svolgono attività economica avente ad oggetto l'acquisto e la cessione, ovvero il noleggio o la concessione in leasing di autoveicoli, trattandosi di soggetti passivi d'imposta che impiegano i veicoli come beni strumentali o comunque "inerenti" l'attività economica svolta e che, pertanto, sono legittimati ad esercitare il diritto di detrazione l'IVA corrisposta in rivalsa con l'acquisto a monte.
Il rilievo della ricorrente per cui il dato concernente la detta qualità soggettiva della ditta cedente, non esclude la "possibilità" che anche i soggetti passivi d'imposta realizzino operazioni di cessione di veicoli non impiegati strumentalmente nell'attività economica (es. veicoli attribuiti come benefits ai propri dipendenti) ovvero acquistati senza aver potuto portare in detrazione l'IVA (ad es. perché il bene è stato acquistato da un privato non soggetto passivo, ovvero da un soggetto passivo che a sua volta aveva già beneficiato del regime del margine di utile) non inficia affatto la capacità indiziante che va riconosciuta al dato rilevato dal libretto di circolazione, atteso che la operazione logica che dal fatto noto (1 - i veicoli sono beni strumentali all'esercizio delle attività d'impresa svolte dalle società che scambiano autoveicoli o li concedono in godimento; 2 - i soggetti passivi che acquistano beni strumentali all'esercizio della impresa hanno diritto a detrarre l'IVA corrisposta all'acquisto) perviene alla conoscenza del fatto ignorato (i soggetti predetti hanno detratto l'IVA monte) va compiuta alla stregua di relazioni di inferenza fondate sulla "probabilità" - e non sulla mera possibilità - e dunque su criteri di regolarità causale degli accadimenti (fondati su nessi di presupposizione necessaria, su dati statistici rilevati dall'osservazione fenomenica, su nozioni teoriche tratte dalle discipline scientifiche, economiche, giuridiche, tecniche nonché sulle prassi applicative di tali discipline) che consentano di ritenere dotata di un elevato grado di certezza la conseguenza che si intende far derivare da uno o da un complesso di fatti accertati.
Nella specie alla qualità soggettiva del precedente intestatario si ricollega - in applicazione del criterio fornito dal dato di esperienza delle condotte economiche congruenti - la "normale" (in senso probabilistico) conseguenza che la società di autonoleggio o di leasing detragga l'IVA corrisposta in rivalsa al momento (l'acquisto del veicolo destinato all'attività di scambio di beni e servizi sul mercato. Viceversa non esprime il connotato di regolarità causale, rivestendo il carattere di evenienza del tutto marginale, l'ipotesi che la impresa di autonoleggio o di leasing acquisiti veicoli per non destinarli all'attività commerciale ovvero acquisiti veicoli da privati non soggetti passivi d'imposta: ipotesi pure possibile ma che, proprio per il suo carattere di marginalità, non contrasta con la presunzione semplice di detrazione dell'IVA a monte, potendo eventualmente essere oggetto di prova contraria (gravante sul contribuente). L'assunto della ricorrente secondo cui le evenienze particolari, sopra indicate, ritenute eccezionali dalla CTR, costituirebbero invece pratiche molto diffuse nel settore commerciale, è privo di pregio in quanto, oltre a risolversi in una affermazione meramente apodittica, priva di qualsiasi riscontro desunto da elementi obiettivi, non evidenzia alcun vizio logico della motivazione della sentenza impugnata, limitandosi la ricorrente a contrapporre la propria soggettiva prospettazione antitetica al giudizio di merito formulato dalla CTR, chiedendo alla Corte un inammissibile rivalutazione della fattispecie concreta già esaminata dai Giudici di merito.
1.5 Del tutto inconferente e generica appare altresì la tesi difensiva secondo cui "soprattutto nelle annualità passate" il regime di detrazione IVA relativo alle operazioni di cessione di veicoli era molto variegato (viene richiamata in proposito la sentenza della Corte di giustizia 5.10.1999 C-305/97 da cui si evince che nel Regno Unito era prevista una indetraibilità assoluta dell'IVA all'acquisto da parte della società di leasing) ed in diversi Paesi membri non era prevista la trascrizione nel libretto di circolazione dei passaggi di proprietà (viene richiamata al proposito la circolare della Ag. Entrate n. 14/E del 26.2.2008). La società ricorrente, infatti, omette del tutto di spiegare le ragioni per le quali, nel caso di specie, l'esame dei dati dei libretti di circolazione dei veicoli acquistati dai fornitori italiani non avrebbe consentito di verificare la qualità di soggetti passivi IVA e la natura dell'attività esercitata dei precedenti cedenti, ed ancora se, nella specie, nel Paese membro in cui era residente il cedente comunitario dei veicoli riforniti agli intermediari nazionali sussistessero norme limitative alla detraibilità dell'IVA a monte da parte delle società di autonoleggio o di leasing.
2. Con il secondo motivo la società denuncia ancora il vizio di insufficiente e contraddittoria motivazione, in relazione all'art. 360 co 1 n. 5 c.p.c., con riferimento alla statuizione della sentenza secondo cui i Giudici di merito, dopo aver affermato che nulla può addebitarsi alla società cessionaria che abbia verificato la regolarità formale della fattura, laddove l'affidamento circa la effettiva esistenza dei requisiti per l'applicazione del regime del margine trovi fondamento "...in una situazione in cui l'acquisto avvenga in presenza di un quadro che conforti tale verosimiglianza (ad es. esistenza di un fornitore che per struttura aziendale e continuità di attività dia garanzie di serietà; linearità e trasparenza delle operazioni di acquisto) hanno poi contraddittoriamente concluso per la indebita applicazione del regime fiscale in ordine agli acquisti di auto usate effettuati dalla G. M. e Figlio s.r.l. che era da ritenersi un'azienda strutturata e da tempo operante nel settore.
2.2 II motivo è privo di pregio.
2.3 Premessa la apoditticità della affermazione della parte ricorrente in ordine alle caratteristiche della società-cedente, è appena il caso di osservare che i Giudici territoriali hanno escluso che A. s.r.l. potesse opporre un legittimo affidamento sulla regolarità delle operazioni di cessione, non alla stregua delle caratteristiche strutturali e di operatività della società M. a r.l. , ma su altri elementi obiettivi che avrebbero dovuto indurre a sospetto la ditta cessionaria, quali: 1- le intestazioni proprietarie, risultanti dai libretti di circolazione, dei precedenti cedenti, soggetti comunitari che esercitavano imprese di autonoleggio o di compravendita di auto e che avevano portato in detrazione PIVA a monte; 2- la anomalia che caratterizzava tali operazioni di cessione in quanto le vetture immatricolate in Spagna venivano spedite direttamente presso la sede di A. s.r.l., ma dai documenti risultava che il cedente che aveva ordinato il trasporto non era G. M. e F. s.r.l. sibbene una società irlandese, circostanza che legittimava la ipotesi di una interposizione Fittizia nella cessione.
3. Con il terzo motivo la società deduce il vizio di violazione e falsa applicazione degli artt. 36 e 38 DL n. 41/1995, nonché degli artt. 21 e 25 Dpr n. 633/72, in relazione all'art. 360 co 1 n. 3) c.p.c..
La ricorrente sostiene che in relazione agli acquisti di auto usate effettuate dalle ditte I.A. di P.H. ed I. C. di P. D., la CTR ha erroneamente ritenuto inesistente la buona fede di A. s.r.l. sul presupposto di irregolarità rilevate nelle operazioni di importazione intracomunitarie e della interposizione fittizia nella cessione della ditta I.A. (come riferito ai verbalizzanti dalla stessa P.H. tutte le trattative e la conclusione di contratti di cessione dei veicoli usati erano condotte di fatto da P. D. che provvedeva a far pervenire i veicoli direttamente dalla Germania facendo apparire la ditta I.A. come cedente), non potendo imputarsi alla società cessionaria che non aveva realizzato operazioni intracomunitarie alcun coinvolgimento nella frode commessa tra dal soggetto comunitario ed il fornitore italiano non essendo compito della cessionaria estendere le verifiche alle operazioni a monte.
3.1 II motivo è infondato.
3.2 La circostanza che gli acquisti in regime del margine venissero effettuati da A. s.r.l. da fornitori residenti in Italia, e non direttamente da operatori comunitari residenti in altri Paesi membri, non immuta le conclusioni raggiunte in ordine alla insufficienza dei requisiti formali del documento contabile, ove destituiti od inficiati di attendibilità, a comprovare la esistenza dei presupposti applicativi del regime fiscale (tanto in relazione alla cessione intracomunitaria originaria, quanto in relazione alle successive cessioni nazionali), con conseguente onere della relativa prova gravante sul soggetto cessionario.
Le successive cessioni, effettuate nell'ambito dello Stato membro, dei medesimi beni originariamente importati nel territorio di quello Stato in esecuzione di operazioni di cessione intracomunitarie, non precludono, infatti, alla Amministrazione finanziaria di contestare la indebita applicazione del regime del margine anche in relazione alle cessioni successive tra operatori residenti nello stesso Stato membro: una tale preclusione non trova alcun fondamento normativo (l'art. 37 comma 2 DL n. 41/1995 dispone espressamente che "Gli acquisti dei beni di cui all'articolo 36, assoggettati al regime ivi previsto nello Stato membro di provenienza, non sono considerati acquisti intracomunitari. Per le cessioni degli stessi beni non si applicano le disposizioni degli articoli 40. comma 3, 41 e 58. comma 1, del decreto-legge 30 agosto 1993, n. 331, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 ottobre 1993, n. 427") e contrasta con i poteri di accertamento e controllo fiscale, riservati a ciascuno Stato membro, sulle risorse proprie della Comunità: appare del tutto evidente, infatti, come il diritto alla applicazione del regime del margine d'utile - cui vengono assoggettate le cessioni a catena dei medesimi autoveicoli usati - debba rispondere al medesimo presupposto di legge secondo cui nessuno dei soggetti cedenti, intervenuto nella serie delle diverse operazioni di cessione, deve aver portato in detrazione l'IVA (cfr. da ultimo Corte di Giustizia III sez. del 19 luglio 2012, Bawaria Motors Sp. z o.o., in causa C-160/11).
3.3 Tanto premesso, la responsabilità del soggetto cessionario per l'obbligazione tributaria derivante dal fatto illecito del cedente, o del terzo comunque inseritosi nella catena delle cessioni del bene, rimane esclusa - secondo le pronunce della Corte di Lussemburgo - dalla condizione essenziale che detto contribuente "non aveva o non doveva avere conoscenza" della frode (cfr. Corte giustizia CE sez. III, sent. 12.1.2006 in cause riunite C-354/03, C-355/03 e C-184/03, Optigen Ltd, Fulcrum Electr. E Bond House): tuttavia la stessa Corte di Giustizia ha precisato che la buona fede del cessionario può essere riconosciuta soltanto agli "operatori che adottano tutte le misure che si possono loro ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che le loro operazioni non facciano parte di una frode", in quanto solo all'esito di tali adempimenti può ravvisarsi un incolpevole affidamento sulla liceità di tali operazioni. Diversamente un soggetto che "sapeva o avrebbe dovuto sapere che con il proprio acquisto partecipava ad una operazione che si iscriveva in frode all'IVA" non può allegare la propria buona fede a garanzia dei diritti di detrazione o rimborso vantati in relazione alle operazioni compiute (cfr. Corte giustizia CE, sent. 6.7.2006 in cause riunite C-439/04 e C-440/04, Kittel e Recolta).
La applicazione del principio di buona fede a tutela del contribuente ingannato dall'illecito commesso dalla parte con la quale ha realizzato la operazione risultata imponibile, è stata affrontata dal Giudice comunitario con specifico riferimento alle operazioni di cessione intracomunitarie per le quali la eliminazione delle barriere doganali tra gli Stati membri ha determinato la insorgenza della necessità di individuare procedure idonee a consentire agli operatori di verificare "ex ante" la regolarità fiscale delle operazioni che vanno a compiere, nonché la esigenza di definire i limiti di riparto, tra contribuente e Fisco, del rischio tributario determinato dalla condotta illecita del terzo (cfr. Corte giustizia 27.92007 causa C-409/04, Teleos, punto 58; Corte giustizia 21.2.2008 causa C-271/06, Netto Supermarkt GmbH, punto 28). Il punto di equilibrio stato individuato dalla Corte di giustizia nella duplice condizione: 1 - della "buona fede" (che deve desumersi non soltanto dalla oggettiva estraneità del soggetto alla frode fiscale ma anche dalla ignoranza incolpevole delle intenzioni frodatone attuate dall'acquirente o da terzi) che rimane, invece, esclusa laddove, dalle circostanze concrete, emergano indizi tali per cui il cedente, secondo una efficace sintesi verbale, "sapeva o avrebbe dovuto sapere" che l'operazione intracomunitaria veniva ad iscriversi in una frode fiscale (cfr. Corte giustizia 11.5.2006, causa C-384/04, Federation of Technological Industries, punto 31-32 secondo cui la dimostrazione che il soggetto "era a conoscenza del fatto, o aveva ragionevoli motivi per sospettare che tutta o parte dell'imposta dovuta per tale cessione, ovvero per qualsiasi altra cessione precedente o successiva dei medesimi beni, non sarebbe stata versata" può essere data anche mediante prove presuntive semplici - juris tantum-, riversandosi in tal caso sul contribuente l'onere della prova contraria; Corte giustizia 21.6.2012 cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahageben kft e Peter David, punto 50 e Corte giustizia 6.9.2012 causa C-324/11, Gabor Toth, punto 50-51, che precisano come la prova presuntiva debba essere fondata su "elementi oggettivi" e cioè indizi concludenti in ordine alla esistenza di una situazione che in quanto caratterizzata da irregolarità, anomalie, incompletezza informativa, imponeva al soggetto passivo di esperire ulteriori verifiche in ordine alla regolarità fiscale del operazione ); 2- della "preventiva" adozione da parte del contribuente di tutte le misure ragionevolmente esigibili al fine di assicurarsi che l'operazione che deve essere effettuata non lo conduca a partecipare ad un'evasione tributaria (cfr. Corte giustizia 6.7.206, causa C-439/04 e C-44004, Kittel punto 51; Corte giustizia 21.6.2012 cause riunite C-80/11 e C-142/11, Mahageben kft e Peter David, punto 54): tale secondo elemento è all'evidenza strumentale alla dimostrazione della incolpevole ignoranza del fatto illecito altrui e non coincide con il mero esatto adempimento degli obblighi formali di legge richiesti dallo Stato membro per la regolare esecuzione della operazione (come la emissione e ricezione di una fattura dotata dei prescritti requisiti formali o le annotazioni nei registri contabili) che costituisce, invece, soltanto il presupposto necessario (in quanto in difetto della regolarità formale della operazione la condotta del terzo non riveste carattere decettivo) per procedere all'accertamento della condotta diligente prestata nel caso concreto (cfr. Corte giustizia 27.9.2007, causa C-409/07, Teleos, punti 65-66; Corte giustizia 16.12.2010, causa C - 430/09 Euro Tyre Holding BV, punto 38; Corte giustizia 6.9.2012 causa C-273/11, Mecsek Gabona Kft, punti 48-50).
3.4 La Commissione tributaria regionale si è attenuta alle coordinate tracciate dal Giudice comunitario (e recepite dalla giurisprudenza di questa Corte: Sez. 5, Sentenza n. 5912 del 11/03/2010; id. Sez, 5, Sentenza n. 23560 del 20/12/2012; id, Sez, 5, Sentenza n. 6229 del 13/03/2013) avendo individuato specifici elementi oggettivi ritenuti sufficienti ad escludere che , in base alla concrete circostanze in cui si erano svolte le operazioni di cessione, A. s.r.l. potesse nutrire un legittimo affidamento sulla liceità delle stesse.
Tali elementi, evidenziati nei PP.W.CC. acquisiti al giudizio, che avrebbero dovuto insospettire la ditta cessionaria in ordine ad una possibile evasione d'imposta, sono stati individuati dai Giudici territoriali:
- nella qualità di società di autonoleggio e di leasing degli operatori comunitari, primi cedenti, come risultanti dai libretti di circolazione - nell'aver intrattenuto A. s.r.l., per quanto concerne le auto usate acquistate da I.A. di P.H., contatti esclusivamente con P. D. in Germania (avendo riferito la stessa rapp.te legale della società che appariva come fornitrice di non aver svolto alcuna trattava, di non avere alcuna esperienza nel settore e di limitarsi a sottoscrivere i documenti che le venivano presentati da P. D.).
In relazione a tali fatti che coinvolgono direttamente l'attività svolta dalla società ricorrente nella esecuzione delle operazioni di acquisto (e dunque non rapporti intercorsi tra soggetti a quella estranei), la critica formulata alla sentenza di appello non appare pertinente.
Osserva il Collegio che l'esame della regolarità formale del documento di circolazione, attesi gli effetti giuridici connessi alla continuità delle trascrizioni ed al possesso dello stesso documento, rientra tra i compiti che un operatore commerciale minimamente avveduto è tenuto a svolgere nell'esercizio dell'attività economica se intende evitare di incorrere nella responsabilità contrattuale per inadempimento nei confronti dei propri clienti acquirenti dei veicoli. La verifica dei dati risultanti dal libretto di circolazione, in quanto strettamente inerente alla stessa attività commerciale di compravendita dei veicoli, non può essere, pertanto, situata nell'ambito dei controlli amministrativi demandati in via esclusiva alla Amministrazione finanziaria, e neppure nell'ambito delle misure di precauzione richieste alla ditta cessionaria laddove sussistano motivi di sospetto in ordine alla evasione d'imposta, ma deve essere cronologicamente collocata in un momento anteriore concernente la normale verifica da parte dell'acquirente della corrispondenza della qualità della merce a quella dedotta in contratto ed oggetto del programma
negoziale.
Ne consegue che proprio dalla agevole (non occorrendo avvalersi di informazioni acquisite aliunde, né della necessaria cooperazione di autorità amministrative, nazionali od estere, né della cooperazione di soggetti terzi) rilevazione - mediante esame dei dati dei libretti di circolazione che accompagnavano i veicoli ceduti dai fornitori - delle originarie intestazioni proprietarie a soggetti passivi (società di autonoleggio; società concessionarie della rivendita di auto) legittimati a portare in detrazione l'IVA corrisposta "a monte" (al momento dell'acquisto dei veicoli), può emergere, come nel caso di specie, quell'elemento oggettivo di natura indiziaria che è richiesto dalla giurisprudenza comunitaria ai fini della insorgenza del dovere imposto alla società cessionaria di adoperarsi con la massima diligenza per verificare la correttezza fiscale della operazione (nella specie per verificare la sussistenza del presupposto stesso al quale la legge ricollega la applicabilità del regime speciale IVA del margine di utile).
Quanto poi alle trattative che A. s.r.l. svolgeva direttamente con soggetto diverso dall'apparente fornitore italiano, senza che sia stata fornita alcuna giustificazione in merito, la circostanza appare ex se dirimente per escludere quella situazione di "assoluta linearità e trasparenza" alla quale, correttamente, il Giudice di appello ha riferito il fondamento del legittimo affidamento sulla liceità della operazione.
3.5 La sentenza della CTR deve, pertanto, ritenersi esente dal vizio di legittimità denunciato.
4. Con il quarto motivo la società ricorrente deduce il vizio di violazione e falsa applicazione dell'art. 8 del Dlgs n. 546/1992 e del Dpr n. 472/1997, in relazione all'art. 360 co 1 n. 3 c.p.c.
Sostiene la ricorrente che sussistevano momento della effettuazione operazioni obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione delle disposizioni concernenti il regime fiscale del margine di utile, tali da giustificare la non punibilità per l'illecito tributario ai sensi dell'art. 6 comma 2 Dlgs n. 472/1997, in quanto soltanto con la circolare n. 40/E del 18.7.2003 la Agenzia delle Entrate aveva specificato cha la mera annotazione in fattura del regime speciale non esimeva l'acquirente da ulteriori accertamenti in caso emergessero ulteriori elementi oggettivi di sospetto, mentre in precedenza la circolare del 14.4.2001 n. 51522 si era limitata a prescrivere che nella fattura doveva essere specificata la ragione della mancata applicazione dell'IVA (se in quanto trattavasi di operazione di cessione intracomunitaria, ovvero se trattavasi di operazione soggetta al regime del margine).
4.1 II motivo è infondato.
4.2 Premesso che le circolari amministrative "contra legem" non possono fondare alcun legittimo affidamento, ne segue che è del tutto inesatta la interpretazione che di tali atti amministrativi fornisce la ricorrente. L'Amministrazione finanziaria non può infatti derogare alle norme statali e comunitarie che disciplinano le condizioni di applicabilità del regime speciale del margine di utile, rimanendo esclusa pertanto una interpretazione della circolare del 2001 volta a ritenere che per la applicazione del regime fiscale era sufficiente la relativa annotazione sulla fattura emessa dal cedente, indipendentemente dal ricorso, in concreto, delle altre condizioni sostanziali (caratteristiche dell'usato; assolvimento a titolo definitivo dell'IVA corrisposta a monte dal soggetto cedente).
In proposito occorre rilevare che la circolare n. 40/2003 della Agenzia delle Entrate non è affatto venuta ad introdurre una nuova disciplina dei presupposti di applicazione del regime speciale del margine d'utile, né ad aggiungere ulteriori obblighi non previsti, ma, in funzione meramente ricognitiva della materia, si è limitata a riconoscere la distinzione (già implicita nella disciplina normativa tributaria) tra regolarità formale della documentazione e presupposti normativi per la fruizione del regime speciale dell'IVA, richiamando i cessionari a prestare la dovuta diligenza nella verifica di detti presupposti in presenza di obiettivi elementi sintomatici di sospetto, quali per l'appunto le intestazioni proprietarie dei veicoli a soggetti che normalmente utilizzano tali beni - strumentali - per l'esercizio della impresa.
4.3 In ogni caso il motivo si palesa infondato in quanto, come ripetutamente affermato da questa Corte, in tema di sanzioni per violazione delle norme tributarie, l'incertezza normativa oggettiva, causa di esenzione del contribuente dalla responsabilità amministrativa tributaria, in base al principio generale stabilito nell'art. 6, comma 2, D.Lgs. n. 472 del 1997, poi inserito nel cd. Statuto del contribuente dall'art. 10, comma terzo, del d.lgs. 27 luglio 2000, n. 212, e dell'art. 8 d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, postula una condizione di inevitabile incertezza su contenuto, oggetto e destinatari della norma tributaria, ossia insicurezza ed equivocità del risultato conseguito attraverso il procedimento di interpretazione, in presenza di pluralità di prescrizioni di coordinamento difficoltoso per via di elementi positivi di confusione, che è onere del contribuente allegare; dette insicurezza ed equivocità, inoltre, vanno riferite non già ad un generico contribuente, né a quei contribuenti che, per loro perizia professionale, siano capaci di interpretazione normativa qualificata, all'Ufficio finanziario, ma al giudice, unico soggetto dell'ordinamento cui è attribuito il potere-dovere di accertare la ragionevolezza di un determinata interpretazione (cfr. Corte cass. Sez. 5, Sentenza n. 24670 del 28/11/2007; id. Sez. 5, Sentenza n. 2J92 del 16/02/2012 ; id. Sez. 5, Sentenza n. 13457 del 27/07/2012 ; id. Sez. 5, Sentenza n. 18434 del 26/10/2012; id. Sez. 5, Sentenza n. 4522 del 22/02/2013; id. Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 3245 del 11/02/2013).
Nella specie non è stato allegato dalla parte ricorrente né risulta al Collegio che le disposizioni normative statali e comunitarie in materia di regime del margine abbiano dato luogo, in sede giurisdizionale, a differenti soluzioni interpretative contrastanti pur se da ritenersi egualmente valide in quanto fondate sulla corretta applicazione dei criteri ermeneutici, con la conseguenza che la prospettata difformità interpretativa delle norme in questione, riferita alle circolari amministrative indicate, non è idonea ad elidere, nella specie, la sanzionabilità della condotta violativa del regime fiscale del margine d'utile.
5. In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la società soccombente condannata alla rifusione delle spese del presente giudizio che si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta i ricorso e condanna la società ricorrente alla rifusione delle spese del presente giudizio che liquida in € 12.500,00 per compensi oltre alle spese prenotate a debito.
Avv. Antonino Sugamele

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