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Sentenza

Sollevata questione della legittimità dell'art. 1 del Reg. CE n. 710/95 del 27.3...
Sollevata questione della legittimità dell'art. 1 del Reg. CE n. 710/95 del 27.3.95 che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di apparecchi riceventi per la televisione a colori originari da Corea, Malesia e Thailandia
utorità:  Cassazione civile  sez. trib.
Data:  19 settembre 2012
Numero:  n. 15740
Intestazione

                    LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE                   
                         SEZIONE TRIBUTARIA                          
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:                            
Dott. PIVETTI  Marco                                -  Presidente   -
Dott. D'ALONZO Michele                         -  rel. Consigliere  -
Dott. GRECO    Antonio                              -  Consigliere  -
Dott. CIRILLO  Ettore                               -  Consigliere  -
Dott. OLIVIERI Stefano                              -  Consigliere  -
ha pronunciato la seguente:                                          
                     sentenza                                        
sul ricorso 25434-2008 proposto da: 
MSI  SRL  IN  LIQUIDAZIONE  in persona del Liquidatore  pro  tempore, 
elettivamente  domiciliato  in ROMA, VIA  GERMANICO  146,  presso  lo 
studio  dell'avvocato  MOCCI ERNESTO, rappresentato  e  difeso  dagli 
avvocati  LEONE  GREGORIO,  FONTANA VALERIA  GRAZIA  BRUNA  delega  a 
margine; 
                                                       - ricorrenti - 
                               contro 
AGENZIA   DELLE  DOGANE  UFFICIO  DOGANE  MILANO  (OMISSIS),  
elettivamente 
domiciliato  in  ROMA,  VIA DEI PORTOGHESI  12,  presso  l'AVVOCATURA 
GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope legis; 
                                                 - controricorrenti - 
avverso  la  sentenza  n.  107/2007 della COMM.TRIB.REG.  di  MILANO, 
depositata il 11/03/2008; 
udita  la  relazione  della causa svolta nella pubblica  udienza  del 
02/02/2012 dal Consigliere Dott. MICHELE D'ALONZO; 
udito   per   il   ricorrente  l'Avvocato  LEONE   che   ha   chiesto 
l'accoglimento; 
udito  per  il  resistente  l'Avvocato ALBENZIO  che  ha  chiesto  il 
rigetto; 
udito  il  P.M.  in persona del Sostituto Procuratore Generale  Dott. 
SEPE Ennio Attilio che ha concluso per il rigetto del ricorso. 
                 

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
La società MSI società a responsabilità limitata in liquidazione (già Thomson Multimedia Sales Italy spa) ha chiesto l'annullamento dell'avviso di rettifica emesso dall'Agenzia delle Dogane il 29 aprile 2004 e notificato il 7 maggio 2004 con il quale, in relazione agli anni dal 1997 al 2001 erano stati accertati - ai sensi dell'art. 78 del Codice Doganale Comunitario (Regolamento CE n. 2913 del 12 ottobre 1992) maggiori dazi per Euro 4.377.986,74, maggiore IVA per Euro 871.178, 54 e maggiori interessi tino al 20 aprile 2004 per Euro 1.927.836, 88, per un ammontare complessivo di Euro 7.177.002,16. La rettifica riguardava dichiarazioni relative ad importazioni in Italia ad opera della Thomson Multimedia Sales Italy spa di televisori da 10 e 14 pollici prodotti e venduti dalla società tailandese Thomson Television Thailand (TTT) e derivava dall'applicazione a tali importazioni dei maggiori dazi antidumping previsti - nella misura del 15,1 o del 23,4 per cento - per l'importazione nel territorio comunitario di televisori aventi origine in Corea e in Malesia in luogo del dazio al 3 per cento previsto per l'importazione di televisori originar dalla Tailandia. Con verbale del 14 aprile 2004, infatti, l'Agenzia delle Dogane aveva contestato che l'OLAF aveva accertato, nel corso di una visita ispettiva effettuata nel febbraio 2003 presso la produttrice tailandese, che i tubi catodici dei televisori erano originari della Corea e della Malesia e che il loro costo era superiore al 35 per cento del costo complessivo di ciascun televisore.
Con ricorso del 9 maggio 2006, la società MSI aveva impugnato l'atto di revisione deducendo:
a) l'illegittimità della revisione stessa in quanto fondata su risultanze di una indagine dell'OLAF condotta in assenza di poteri;
b) la violazione dell'art. 24 del codice doganale comunitario ad opera dell'art. 39 e dell'allegato 11 del Regolamento n. 2454/93 che aveva fissato un criterio per l'individuazione dell'origine dei televisori (basato sul valore aggiunto dei singoli componenti) andando così al di là della funzione meramente applicativa demandata alla normativa regolamentare;
c) la conformità alle previsioni dei regolamenti antidumping del pagamento del dazio nella misura del 3 per cento quale prevista per le importazioni dalla Tailandia; d) l'illegittimità dell'avviso di rettifica nella parte in cui esso applicava il dazio antidumping anche a televisori il cui tubo catodico era di origine tailandese.
La Commissione tributaria provinciale di Milano respinse il ricorso con sentenza del n. 32/7/05 del 24 marzo 2006, confermata dalla Commissione tributaria regionale con sentenza dell'11 marzo 2008 n. 107/40/07. Con quest'ultima pronunzia, la Commissione di appello ha dichiarato inammissibili ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57 le eccezioni di decadenza o prescrizione formulate dalla società con le note presentate per l'udienza di discussione, trattandosi di eccezioni non rilevabili d'ufficio e basate su circostanze di fatto sconosciute alla Commissione. Nel merito ha osservato che la sentenza della Corte di Giustizia resa in data 8 marzo 2007 nelle cause riunite C-447/05 e C-448/05 aveva negato l'illegittimità dell'art. 11 del Regolamento n. n. 2454/93 e ne risultava quindi superato - come lo stesso contribuente aveva riconosciuto - i relativo motivo di appello. La deduzione concernente la mancanza di poteri dell'OLAF era irrilevante dato che la sentenza di primo grado aveva ritenuto provata la rettifica dell'origine dei televisori in base alla documentazione acquisita presso il contribuente durante la verifica operata dalla Dogana di Milano e quindi non era dimostrato che l'accertamento fosse basato su elementi raccolti dall'OLAF, Anche la deduzione relativa all'applicabilità del dazio al 3 per cento era infondata alla luce della medesima sentenza Europea dell'8 marzo 2007. Infine la sentenza affermava che non era dimostrato che i tubi catodici prodotti in Tailandia menzionati in alcuni documenti si riferissero ai televisori per i quali era causa. L'eccezione di difetto di giurisdizione formulata dalla società non era ammissibile, non essendo comprensibile a che cosa essa facesse riferimento.
Contro tale pronunzia, la società MSI società a responsabilità limitata in liquidazione (già Thomson Multimedia Sales Italy spa) ha proposto ricorso per cassazione formulando sette motivi di censura, specificati in quindici quesiti.
L'Agenzia delle Dogane ha depositato controricorso con cui ha contestatoli fondamento delle censure avversarie.
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MOTIVI DELLA DECISIONE
1. I primi due motivi del ricorso lamentano che la Commissione di appello non abbia dichiarato la eccepita prescrizione dei diritti doganali in oggetto.
1.a. La prima parte del primo motivo denunzia in particolare il vizio di omessa pronunzia su tale eccezione e la conseguente violazione dell'art. 112 cod. proc. civ..
Per questa parte il motivo è palesemente infondato dato che la sentenza impugnata si è pronunziata sull'eccezione dichiarandola inammissibile per preclusione ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 57, comma 2, per essere stata la stessa proposta solo in appello e solo con le note di udienza per la discussione.
1.b. La seconda parte del primo motivo deduce invece l'illegittimità di tale statuizione di inammissibilità, sostenendo che la prescrizione triennale di cui all'art. 221 del Codice doganale (art. 68 della versione attuale de codice di cui al regolamento n. 450 del 2008) - è rilevabile anche d'ufficio in ogni stato e grado del processo e che la cognizione di tale eccezione non può essere ostacolata da eventuali preclusioni processuali previste dal diritto interno.
La deduzione è infondata.
Secondo l'ordinamento italiano - ed in particolare secondo gli artt. 2938 e 2969 cod. civ. - sia l'eccezione di prescrizione dell'obbligazione tributaria sia l'eccezione di decadenza dell'amministrazione tributaria dal diritto di chiedere al contribuente l'adempimento di tale obbligazione sono eccezioni non rilevabili d'ufficio. Ne consegue, ai sensi del D.Lgs. n. 546 del 1992, citato art. 57, comma 2, che le medesime eccezioni non possono proporsi per la prima volta in appello. E' invece pacifico che nella specie la società MSI non aveva proposto in primo grado l'eccezione in questione.
La normativa comunitaria nulla dispone in merito alla rilevabilità o non rilevabilità d'ufficio della prescrizione/decadenza di cui all'art. 221 comma 3, del CDC (e del resto nulla dispone in generale circa il regime processuale delle controversie in materie regolate dal diritto Europeo. Mentre la prescrizione è istituto di diritto sostanziale, è invece questione di diritto processuale quella relativa alla rilevabilità di essa e alle relative preclusioni processuali). Ne consegue che tale profilo è rimesso alla legislazione nazionale (cfr. le sentenze rese dalla Corte Europea nei casi Rewe C-33/76, Comet C- 45/76 e numerose altre pronunzie successive) alla quale spetta in generale la disciplina delle modalità processuali sia dell'azione di recupero dei crediti fiscali pur se derivanti da norme comunitarie, sia dell'azione del contribuente diretta a far valere i propri crediti tributari pur se consacrati da norme comunitarie con l'unica specificazione che le condizioni e modalità previste dalla legge nazionale per tali azioni non siano tali da determinare per le pretese aventi la loro fonte nel diritto comunitario un regime processuale deteriore (principio di equivalenza) e non siano comunque tali da rendere eccessivamente difficile l'esercizio di tali pretese (principio di effettività).
Detti principi sono stati innumerevoli volte ribaditi - anche con specifico riferimento alla prescrizione (cfr. tra le altre la sentenza resa nel caso Mark & Spencer I, C-62/2000) - per le azioni aventi ad oggetto crediti del contribuente per il rimborso di imposte pagate e non dovute, ma essi non possono non valere anche in relazione alle azioni di recupero dell'autorità fiscale. Il fatto che si tratti di prescrizione o decadenza direttamente e specificamente prevista non dal diritto nazionale ma dalla normativa Europea nulla dice circa la sua rilevabilità di ufficio o meno e circa il suo assoggettamento alle ordinarie preclusioni processuali.
Non può infatti valere in senso contrario il richiamo al principio di effettività e di prevalenza del diritto comunitario, posto - se non altro - che la prescrizione delle pretese giuridiche nascenti dal diritto comunitario è istituto che costituisce un temperamento (ispirato al valore della certezza degli affari) e non un'attuazione del principio di effettività di tale diritto. Sarebbe del resto incongruo e contrario ai principi di cui all'art. 10 CE che la disciplina processuale dei crediti fiscali relativi a risorse proprie della Comunità (quali sono le imposte doganali) fosse deteriore (e cioè prevedesse per il relativo recupero limiti, condizioni ed ostacoli maggiori o più rigidi) rispetto a quanto previsto per il recupero dei crediti fiscali propri del singolo stato nazionale. Può aggiungersi che, come la Corte di giustizia ha da tempo chiarito - cfr. la sentenza nella causa Vari Scijndel C-431/93 e la sentenza resa nelle cause riunite Vari de Werd a.o. C- 222/05 e C- 225/05 - il principio di effettività implica la rilevabilità di ufficio della violazione del diritto comunitario (alla stessa stregua della generale rilevabilità di ufficio di ogni questio juris intesa come questione relativa all'accertamento del diritto oggettivo applicabile secondo il principio jura novit curia) ma non richiede che a tal fine il giudice nazionale superi il principio di allegazione ovvero l'eventuale preclusione alla tardiva introduzione di nuovi fatti nel giudizio. Nella specie la Commissione tributaria regionale, come si è ricordato nella precedente narrativa, ha specificamente osservato che l'esame dell'eccezione di prescrizione ex art. 221 del CDC era preclusa anche perchè avrebbe implicato l'accertamento di fatti non prima introdotti nella causa.
Deve quindi escludersi che sia incompatibile con il diritto comunitario la disciplina prevista dalla legge italiana in tema di non rilevabilità di ufficio della prescrizione e di non rilevabilità di ufficio della decadenza riguardo ai crediti fiscali dell'amministrazione tributaria. Nè è incompatibile la disciplina processuale italiana in tema di inammissibilità della relativa eccezione se proposta dal contribuente soltanto in appello. Detta disciplina è quindi applicabile anche alla prescrizione-decadenza dei diritti doganali a posteriori prevista dall'art. 221 (ora 68) del Codice doganale comunitario. Ne consegue che la Commissione tributaria regionale di ha legittimamente dichiarato inammissibile l'eccezione in esame.
2. Con il secondo motivo la ricorrente denunzia la violazione dell'art. 221, comma 3 (art. 221 comma 4 secondo la versione successiva e art. 68 comma 2 secondo il testo di cui al Regolamento 450 del 2008) sostenendo che non ricorrevano nella specie le condizioni ivi prescritte per l'applicazione della proroga (o sospensione) del termine prescrizionale di tre anni.
L'inammissibilità dell'eccezione di prescrizione rende superfluo l'esame del fondamento sostanziale di essa.
3. Con il terzo motivo di ricorso viene dedotta la violazione dell'art. 9 del Regolamento CE n. 1073 del 1999 in quanto l'indagine accertativa dell'OLAF sulla quale era fondata la revisione della dogana italiana riguardava esclusivamente - in conformità all'incarico ricevuto e alle indicazioni dalla stessa OLAF fornite all'autorità tailandese - le esportazioni compiute dal 2000 al gennaio 2003, mentre l'accertamento di rettifica notificato alla società contestava importazioni avvenute tra il marzo 1997 e il luglio 2001.
La Commissione tributaria regionale ha ritenuto che la deduzione proposta con l'appello avverso la decisione della Commissione tributaria provinciale e concernente la mancanza di poteri dell'OLAF riguardo alle eventuali infrazioni che si fossero verificate al di fuori del periodo 2000-2003 era irrilevante dato che la sentenza di primo grado aveva ritenuto provata la rettifica dell'origine dei televisori in base alla documentazione acquisita presso il contribuente durante la verifica operata dalla Dogana di Milano e quindi non era dimostrato che l'accertamento fosse basato su elementi raccolti dall'OLAF. Secondo il ricorso a norma dell'art. 9, comma 2, del citato regolamento n. 1073 le autorità doganali nazionali non possono dilatare il periodo interessato dalle irregolarità accertate dall'OLAF al di là dei limiti cronologici che l'OLAF stesso ha dato alla sua indagine nè tanto meno possono disattendere le raccomandazioni dell'OLAF quanto ai provvedimenti da assumere.
In sostanza sembra che la MSI intenda sostenere che, in presenza di una indagine OLAF limitata ad un determinato periodo, l'autorità doganale non possa accertare analoghe infrazioni eventualmente commesse in un periodo antecedente o successivo.
Il motivo è infondato.
L'art. 9 del Regolamento CE 1073 del 1999 così dispone:
1. Al termine di un'indagine, l'Ufficio redige sotto l'autorità del direttore una relazione che contiene in particolare i fatti accertati, l'eventuale indicazione del danno finanziario e le conclusioni dell'indagine, incluse le raccomandazioni del direttore dell'Ufficio sui provvedimenti da prendere.
2. Queste relazioni sono redatte tenendo conto delle prescrizioni di procedura previste nella legislazione nazionale dello Stato membro interessato. Le relazioni così elaborate costituiscono elementi di prova nei procedimenti amministrativi o giudiziari dello Stato membro nel quale risulti necessario avvalersene al medesimo titolo e alle medesime condizioni delle relazioni amministrative redatte dagli ispettori amministrativi nazionali. Le relazioni sono soggette alle medesime regole di valutazione riguardanti le relazioni amministrative nazionali e hanno valore identico ad esse.
3. La relazione redatta in seguito a un'indagine esterna ed ogni documento utile ad essa pertinente sono trasmessi alle autorità competenti degli Stati membri interessati in base alla regolamentazione relativa alle indagini esterne.
4. (omissis).
E' del tutto chiaro che non vi è nulla, nella norma di cui si denunzia la violazione, che precluda all'autorità doganale nazionale di accertare violazioni analoghe a quelle denunziate dall'OLAF eventualmente compiute in periodi diversi da quelli interessati dall'indagine OLAF. Va anzi evidenziato che il considerando n. 21 premesso al testo del Regolamento espressamente afferma che il regolamento stesso "lascia inalterate le competenze e responsabilità degli stati membri di adottare i provvedimenti necessari per combattere le frodi lesive degli interessi finanziari della Comunità".
Il quesito interpretativo che il ricorso chiede, in via subordinata, alla Corte di riferire alla Corte Europea ai sensi dell'art. 234 del trattato è irrilevante e deve quindi essere disattesa la richiesta di rinvio pregiudiziale. Secondo l'istanza "l'art0 9, commi 1 e 2, del Regolamento CE n. 1073/99 del 25.5.1999, (dispone) che, con riferimento ad indagini esterne dell'OLAF (...), le prove raccolte dall'OLAF sono vincolanti per ciascuno Stato membro in ordine ai riscontri di fatto e documentali eseguiti, ai limiti temporali oggetto dell'indagine ed alle azioni di recupero da intraprendere;
infatti, anche a garanzia del rispetto delle regole sulla concorrenza, ciascuno Stato non può utilizzare a proprio uso e consumo dette prove, riferendole e applicandole anche a periodi di tempo e a prodotti diversi da quelli oggetto dell'indagine OLAF e, quindi, disattendere le raccomandazioni date agli Stati Membri da detto Ufficio sui provvedimenti da assumere".
Tale prospettazione - pur nella pluralità dei significati ad essa attribuibili - non ha a che fare con la sentenza sottoposta all'esame della Corte, posto che in essa non si nega l'efficacia probatoria degli elementi accertati dall'OLAF e non attribuisce alla relativa relazione la prova di fatti accaduti in periodi diversi da quelli indagati dall'OLAF. Sarebbe di contro assurdo - e quindi non meritevole di seria considerazione - ipotizzare che secondo il Regolamento i limiti temporali di una indagine OLAF valgano a precludere all'autorità doganale nazionale l'accertamento di violazioni analoghe commesse prima o dopo il periodo cui l'indagine OLAF si riferisce.
4. Con il quarto motivo di ricorso viene denunziata la violazione dell'art. 2697 cod. civ..
Anche tale motivo è inammissibile. Premesso che si ha violazione dell'art. 2697 cod. civ. (solo) allorquando il giudice, a fronte della mancanza di prova di un fatto, addossi le conseguenze di tale mancanza di prova ad una parte diversa da quella che ha fatto valere tale fatto come costitutivo della propria domanda o della propria eccezione, nella specie la Commissione tributaria regionale non ha ritenuto che la società avesse l'onere di dare la prova negativa delle circostanze di fatto poste a base dell'applicazione del dazio antidumping (utilizzazione di tubi catodici provenienti dalla Corea ed aventi un valore superiore al 35 per cento del costo del televisore) ma ha ritenuto che tale circostanza di fatto risultasse positivamente provata dalla documentazione acquisita dalla Dogana di Milano in occasione della verifica effettuata presso la società stessa. Tale ratio decidendi è sufficiente a fondare la decisione (che, sul punto, non è stata impugnata per vizio di motivazione), mentre l'argomento aggiuntivo (secondo cui la società non aveva dimostrato che la Dogana avesse utilizzato come prove gli elementi accertati dall'OLAF) non implicava addossare alla società l'onere di provare il fatto sostanziale ma solo l'onere di dimostrare la propria confutazione della validità della prova utilizzata dall'ufficio. La circostanza che l'accertamento effettuato dalla Dogana di Milano sia stato fondato sulle scritture acquisite in sede di verifica effettuata in Italia dalla Dogana stessa presso la società contribuente non è neppure contestata o comunque non lo è stata in modo specifico.
5. Con il quinto motivo di ricorso viene sollevata la questione della legittimità dell'art. 1 del Regolamento CE n. 710/95 del 27 marzo 1995 che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di apparecchi riceventi per la televisione a colori originari da Corea, Malesia e Thailandia e del successivo Regolamento n. 2584/98 del 27.11.1998 (modificativo del precedente), per violazione dell'art. 2 n. 11 del Regolamento base antidumping n. 384/96 del 23.12.1995 e del precedente Regolamento n. 2423/88 dell'11.7.1988, nonchè dell'art. 6 dell'Accordo GATT 1994, così come interpretato dall'Accordo antidumping di Marrakesh, e ciò in relazione all'art. 360 c.p.c., n. 3. Conseguentemente la società ricorrente ha chiesto che la questione venisse rimessa alla Corte Europea ai sensi dell'art. 241 del trattato.
Deve essere osservato che analoga questione è stata dichiarata irricevibile dalla Corte di giustizia con ordinanza del 23 marzo 2012 resa su domanda di pronuncia pregiudiziale proposta dal Tribunal d'instance di Parigi nella causa Thomson Sales Europe SA /c. Administration des douanes (Direction Nationale du Renseignement et des Enquetes douanieres) (Causa C-348/11) avendo la Corte rilevato la mancanza di elementi tali da incidere sulla validità dei regolamenti (CE) nn. 710/95 del Consiglio, del 27 marzo 1995, che istituisce un dazio antidumping definitivo sulle importazioni di apparecchi riceventi per la televisione a colori originari della Malaysia, della Repubblica popolare cinese, della Repubblica di Corea, di Singapore e della Tailandia e che decide la riscossione definitiva del dazio provvisorio, e 2584/98 del Consiglio, del 27 novembre 1998, che modifica il regolamento n. 710/95.
6. Con il sesto motivo di ricorso viene dedotta la violazione dell'art. 220 n. 2 lettera b) del regolamento CE n. 2913/92.
Il motivo è inammissibile in quanto dalla sentenza impugnata (che pure specifica quali fossero i motivi di appello) non risulta che tale censura sia stata proposta anche nel giudizio di merito ed al riguardo le indicazioni contenute nel ricorso sono prive di autosufficienza. Comunque il ricorso non specifica neppure in questa sede le circostanze di fatto necessarie per sostenere la buona fede dell'importatrice ed in particolare che la Thompson italiana non sapeva che i televisori prodotti dalla sua consorella tailandese utilizzavano tubi catodici originari della Corea.
7. Con il settimo motivo di ricorso si deduce l'inapplicabilità dell'art. 86 TULD circa la misura degli interessi sui dazi doganali in caso di recupero a posteriori.
Anche tale motivo è inammissibile in quanto mai prima opposto dalla società contribuente.
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P.Q.M.
rigetta il ricorso.
- condanna la M.S.I. s.r.l. in liquidazione (Thomson Multimedia Sales Italy s.p.a.) al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 28.000 oltre a 200 Euro per esborsi.
Così deciso in Roma, il 2 febbraio 2012.
Depositato in Cancelleria il 19 settembre 2012
Avv. Antonino Sugamele

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